CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 febbraio 2019, n. 4626
Forme pensionistiche complementari – Insolvenza del datore di lavoro – Mancato versamento delle quote di TFR al Fondo di previdenza complementare
Fatti di causa
Con decreto del 10 marzo 2017, il Tribunale di Nocera Inferiore ammetteva V.C. allo stato passivo del Fallimento I. s.r.l. in liquidazione, in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751bis, n. 1 c.c., per il credito di € 9.248,62, a titolo di T.f.r. maturato e accantonato, ma non versato al Fondo Arca Previdenza: così accogliendo l’opposizione del lavoratore alla sua esclusione dallo stato passivo, sul presupposto del difetto di legittimazione all’insinuazione, in favore esclusivo del fondo di previdenza (Arca sgr s.p.a.) cessionario, in base alla previsione degli artt. 11 e 12 dlg. 252/2005.
Il Tribunale riteneva invece che l’accantonamento datoriale delle quote di T.f.r. maturato dal lavoratore presso il fondo di previdenza complementare dovesse essere qualificato, sulla base di “idonea documentazione” comprovante, alla stregua di una delegazione di pagamento, soggetta a scioglimento per il fallimento del mandatario, comportante il diritto del lavoratore alla restituzione delle somme accantonate.
Con atto notificato il 31 marzo 2017, il Fallimento ricorreva per cassazione con due motivi, cui il lavoratore resisteva con controricorso, poi comunicando comparsa di costituzione di nuovo difensore.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, il Fallimento ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 8, settimo comma dlg. 252/2005 e 78 I. fall., per l’irrevocabilità, se non in forza di una manifestazione di volontà del lavoratore, della sua scelta di adesione al fondo di previdenza complementare (e pertanto della sua sostanziale definitività, confermata anche dalle modalità di gestione e portabilità, ai sensi dell’art. 14 d.Ig. cit.), comportante il conferimento dal datore di lavoro delle quote di T.f.r. trattenute presso di esso, sulla base (non tanto di una delega di pagamento, quanto) di una cessione di credito futuro, per la quale, in caso di insolvenza del datore di lavoro, il Fondo di Garanzia dell’Inps si sostituisce ad esso, provvedendo ad integrare presso il fondo di previdenza complementare la quota di T.f.r., trattenuta al lavoratore ma non versata, con la conseguenza del trasferimento della disponibilità delle somme dal lavoratore al fondo.
2. Con il secondo, il Fallimento ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 99 I. fall., 115 e 116 I. fall., per la carenza di un valido riscontro probatorio, quand’anche ritenuta corretta la qualificazione del rapporto come delegazione di pagamento dal lavoratore al datore, sulla sua effettiva esistenza in base alla copia di documento pressocchè illeggibile prodotta, con un cattivo governo dal Tribunale dei propri poteri istruttori e di prudente apprezzamento delle prove.
3. I due motivi possono essere congiuntamente esaminati, per evidenti ragioni di stretta connessione.
3.1. Essi sono inammissibili.
3.2. Per un corretto inquadramento della controversia, giova premettere come la disciplina delle forme pensionistiche complementari sia stata organicamente riformata (rispetto alla previgente contenuta nel dlg. 124/1993, in attuazione della delega prevista dalla I. 421/1992) nella prospettiva di una complessiva armonizzazione e razionalizzazione del settore, dal dlg. 5 dicembre 2005, n. 252, sulla base della legge delega 243/2004 sorretta dell’obiettivo dichiarato di “incrementare l’entità dei flussi di finanziamento alle forme pensionistiche complementari”.
Nel suo art. 1, esso afferma al primo comma la finalità di integrare, appunto in via complementare, i trattamenti erogati dal sistema obbligatorio pubblico, in modo da “assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale”. In realtà, si tratta di una conferma della finalità già prevista dall’art. 3, lett. v) I. 421/1992, rimasta invariata nella formulazione e valorizzata dalla Corte costituzionale, che ha sottolineato come essa renda evidente la scelta legislativa di istituzione di un collegamento funzionale tra previdenza obbligatoria e complementare, collocando questa “nel sistema dell’art. 38 Cost.” (Corte cost. 28 luglio 2000, n. 393, in adesione alla cd. teoria della “funzionalizzazione della previdenza complementare”, già affermata da Corte cost. 8 settembre 1995, n. 421, sulla base della natura, oltre che della funzione, prettamente previdenziale dei fondi pensione).
La caratteristica peculiare della previdenza complementare, ancorchè funzionalizzata, è rappresentata dall’autonomia, posto che “L’adesione alle forme pensionistiche complementari … è libera e volontaria” (art. 1, secondo comma dlg. 252/2005) e che “Le fonti istitutive delle forme pensionistiche complementari”, nella varia modulazione negoziale collettiva e regolamentare stabilita dall’art. 3, primo comma d.lg. cit., “stabiliscono le modalità di partecipazione, garantendo la libertà di adesione individuale” (art. 3, terzo comma d.lg. cit.).
In estrema sintesi ed esclusivamente ai fini qui d’interesse, la disciplina delle forme pensionistiche complementari ne stabilisce un finanziamento attuabile mediante il versamento di contributi a carico del lavoratore, del datore di lavoro o del committente e attraverso il conferimento del T.f.r. maturando. (art. 8, primo comma).
Esse costituiscono risorse che i fondi di pensione gestiscono secondo le modalità previste dall’art. 6 e provvista per le prestazioni erogate a norma dell’art. 11.
A temperamento della rigidità degli effetti conseguenti alla scelta di adesione al fondo previsti dall’art. 11 (che vincola la partecipazione individuale fino alla maturazione, a norma del secondo comma, dei requisiti per la riscossione delle prestazioni pensionistiche, salva la previsione statutaria o regolamentare del fondo della possibilità di riscatto della posizione individuale ai sensi dell’art. 14, primo comma; con facoltà di ottenere anticipazioni della posizione individuale maturata, a norma del settimo comma dell’art. 11) e in funzione incentivante la partecipazione dei lavoratori, l’art. 14, sesto comma prevede la “portabilità” dell’intera posizione individuale, ossia la facoltà del suo trasferimento ad un’altra forma, così potendo essi scegliere le più convenienti opportunità di impiego nel risparmio previdenziale.
3.3. La questione più delicata, che interessa il caso di specie, è indubbiamente quella del conferimento del T.f.r., che comporta l’adesione alle forme pensionistiche complementari, nella duplice modalità espressa o tacita (art. 8, settimo comma, lett. a), b).
Ed infatti, nell’ipotesi di insolvenza del datore di lavoro che abbia provveduto ad accantonare il T.f.r. conferito al fondo di previdenza complementare, senza tuttavia versarlo, si pone il problema di individuare, nell’ambito del rapporto associativo tra lavoratore e fondo, intermediato dal datore di lavoro quale debitore delle quote tempo per tempo maturate, il soggetto che abbia diritto ad insinuare allo stato passivo la pretesa creditoria (tenuto anche conto della previsione di intervento del Fondo di Garanzia dell’Inps, a norma dell’art. 5, secondo comma d.Ig. 80/1992, nel caso di omissione contributiva del datore di lavoro soggetto a procedura concorsuale).
E ciò anche per l’espressione atecnica di “conferimento”, che deve essere qualificata giuridicamente e che, se si vuole, costituisce un sintomo ulteriore, sotto il profilo della libertà di selezione dello strumento negoziale, del favor per l’autonomia privata in tale ambito previdenziale rispetto a quello obbligatorio.
Sicchè, per una tale qualificazione della posizione individuale del lavoratore rispetto al fondo cui prestata la propria adesione, liberamente negoziabile tra le parti, occorre accertare la natura e la funzione del mezzo di volta in volta utilizzato: se una delegazione di pagamento, con incarico conferito dal lavoratore al datore di versare le quote di T.f.r. al fondo, ovvero di loro cessione, quale credito futuro, direttamente dal lavoratore al fondo, o strumenti ad essi assimilabili. E ciò comporta evidenti effetti diversi, in ordine alla titolarità del credito nei confronti del datore fallito (da insinuare allo stato passivo della procedura concorsuale), a seconda dell’opzione negoziale adottata.
3.4. Ma nel caso di specie, nel quale la Corte territoriale ha ritenuto il diritto del lavoratore di restituzione delle quote di T.f.r. trattenute dal datore di lavoro e non versate al fondo di previdenza complementare, sulla base dell’accertato “accantonamento presso il Fondo Arca con idonea documentazione” (al primo periodo di pg. 2 del decreto), il fallimento ha completamente omesso la specifica indicazione, prima ancora della trascrizione, del modulo negoziale utilizzato tra le parti.
I due motivi sono pertanto generici, in violazione del principio di specificità prescritto dall’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c., a fronte di una tale omissione, ostativa alla soluzione della questione in esame da parte di questa Corte (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 23 aprile 2010, n. 9748; Cass. 4 ottobre 2017, n. 23194; Cass. 4 aprile 2018, n. 8204).
5. Dalle superiori argomentazioni discende l’inammissibilità del ricorso, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il fallimento alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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