CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 gennaio 2019, n. 701

Tributi – IVA – Avviso di accertamento – Inosservanza del termine di sessanta giorni di cui all’art. 12, co. 7, della Legge n. 212/2000 – Annullamento

Fatti di causa

1. Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto (in seguito, la CTR), veniva rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate e confermata la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Treviso (in seguito, la CTP) n. 135/01/2006, avente ad oggetto un avviso di accertamento di maggiore imposta IVA relativo all’anno di imposta 2000, oltre interessi e sanzioni, emesso nei confronti di C. S.p.a., poi fusa per incorporazione in Unicredito Italiano S.p.a., oggi UNICREDIT S.P.A. (in seguito, la contribuente).

2. La contribuente impugnava in sede giurisdizionale l’avviso di accertamento, eccependo, tra l’altro, l’inosservanza del termine di sessanta giorni di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, l’eccesso di potere per contraddittorietà rispetto ad accertamenti emessi da altri uffici finanziari, l’illegittimità della contestazione relativa all’omessa fatturazione di presunte prestazioni rese alla Unicredit Servizi Informativi S.p.a., anche perché operazioni esenti ex art. 6, comma 1, della legge n. 133/1999, l’illegittimità oggettiva – sotto un duplice profilo – e, infine, l’illegittimità delle sanzioni.

In sede di costituzione l’Agenzia ribadiva la legittimità del proprio operato, salva la rettifica delle sanzioni che continuava a pretendere in misura di € 258,23.

3. La CTP accoglieva l’eccezione preliminare della contribuente di inosservanza del termine di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, dichiarando assorbite le restanti censure.

L’Agenzia proponeva appello, disatteso dalla CTR, e, avverso la sentenza, l’Agenzia propone ricorso per Cassazione affidato ad un unico motivo, cui resiste la contribuente con controricorso.

4. All’udienza del 23 aprile 2015 la controversia è stata differita, come da conclusioni del sostituto procuratore generale, in attesa della pronuncia delle Sezioni unite di questa Corte nel processo iscritto al n.r.g. 25162/2013 avente ad oggetto, tra l’altro, una questione rilevante ai fini della presente controversia, concernente l’ambito e gli eventuali limiti di applicazione del principio del contraddittorio, in presenza del divieto di emanazione dell’avviso di accertamento prima della scadenza del termine di cui all’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000.

5. Depositata la sentenza delle Sezioni unite 9 dicembre 2015 n. 24823, con ordinanza resa in adunanza camerale in data 28 novembre 2017, questa Corte ha disposto infine la trasmissione della controversia alla pubblica udienza. In particolare, è stata ritenuta di particolare rilevanza ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ., anche con riferimento ai profili nomofilattici, la questione del coordinamento fra la previsione dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000 secondo l’interpretazione datane dalla sentenza delle Sezioni unite 29 luglio 2013 n. 18184 con quella fornita dalla citata sentenza n. 24823 del 2015, sempre in tema di contraddittorio endoprocedimentale, con riferimento ai tributi armonizzati.

6. La contribuente deposita memoria.

Ragioni della decisione

7. Con l’unico motivo di ricorso, si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della legge n. 212/2000 e degli articoli 21 septies e 21 octies della legge n. 241/1990 – in relazione all’art. 360, comma 1, n.3, cod. proc. civ. – per aver la CTR ritenuto invalido l’atto impositivo impugnato in quanto emesso prima dello scadere dei 60 giorni previsti dall’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000 per consentire al contribuente di comunicare osservazioni e richieste agli uffici impositori.

L’Agenzia, in primo luogo, ritiene che sussistesse in concreto il caso di particolare e motivata urgenza di cui alla previsione normativa, in quanto era incombente la scadenza per l’effettuazione dell’accertamento, e, in secondo luogo, afferma che si sarebbe trattato comunque di un provvedimento a natura vincolata e, di conseguenza, non annullabile per eventuali violazioni di norme sul procedimento o di forma.

8. Il motivo è infondato.

La previsione dello Statuto del contribuente, dalla cui violazione, ad avviso della CTR, deriverebbe la nullità del provvedimento dell’Amministrazione finanziaria, con cui è stato disposto un recupero IVA a seguito di accesso presso i locali destinati all’esercizio dell’attività d’impresa, è la seguente: «Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza. Per gli accertamenti e le verifiche aventi ad oggetto i diritti doganali di cui all’articolo 34 del testo Unico delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, si applicano le disposizioni dell’articolo 11 del decreto legislativo 8 novembre 1990, n. 374» (art. 12, comma 7, legge 27 luglio 2000, n. 212).

9. Nella cospicua giurisprudenza della S.C. in materia di contraddittorio endoprocedimentale, sono due le sentenze che costituiscono il punto di riferimento, sia in quanto rese dalle Sezioni unite, sia in quanto non successivamente superate.

Con una prima decisione, la 29 luglio 2013 n. 18184, le Sez. unite hanno statuito che «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio».

10. Ulteriore chiave interpretativa è stata poi fornita per i controlli c.d. a tavolino dalla sentenza 9 dicembre 2015 n. 24823, secondo la quale: «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino”». La medesima decisione ha inoltre sancito la necessità di operare, per i tributi armonizzati, una “prova di resistenza” ai fini della valutazione del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, in determinati casi: «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito».

11. Orbene, secondo una prima interpretazione dell’art. 12, comma 7, dello Statuto resa alla luce delle due sentenze citate e, in particolare, della seconda, parrebbe che il diritto nazionale riservi ai tributi armonizzati una protezione inferiore a quella assicurata ai tributi non armonizzati. Ciò sarebbe dovuto al fatto che, per i secondi, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica, il mancato rispetto del termine di 60 giorni determinerebbe necessariamente la nullità del provvedimento per violazione del contraddittorio endoprocedimentale. Al contrario, per gli armonizzati, questo effetto conseguirebbe solo eventualmente, all’esito della necessaria valutazione da parte del giudice della c.d. prova di resistenza, da condursi nei termini chiariti dalla decisione delle Sezioni Unite n. 24823/2015, al fine di verificare in concreto l’impatto della violazione sull’esito del provvedimento, a condizione che l’allegata violazione sia sostanziata da parte del contribuente.

Significativa in tal senso è in particolare una decisione di questa Corte, che ha riconosciuto questa dicotomia, ritenendo nondimeno che, per i tributi non armonizzati, il maggior grado di tutela è costituzionalmente legittimo perché in piena armonia con il principio della massimizzazione delle tutele, che consente ad un singolo ordinamento di apprestare più elevati livelli di protezione di un diritto fondamentale – nella specie quello al contraddittorio (endoprocedi- mentale) – rispetto a quelli garantiti dal sistema eurounitario per i tributi non armonizzati (Cass. 25 gennaio 2017 n. 1969).

Diversa è la posizione espressa da altre pronunce, tra le quali si distingue l’ordinanza Cass. 17 gennaio 2017 n. 1007, secondo la quale in caso di «accesso, ancorché finalizzato ad un’acquisizione documentale immediata, comunque la c.d. “prova di non resistenza” non può trovare ingresso in virtù della obbligatorietà generalizzata del contraddittorio preventivo sancito per legge dall’art. 12, comma 7, I. 212/2000».

12. Il Collegio ritiene di non poter avallare un’interpretazione dell’art. 12, comma 7, dello Statuto che restringa la protezione da accordare ai tributi armonizzati rispetto a quella che è assicurata dal diritto interno ai tributi non armonizzati, per le seguenti ragioni.

13. L’art. 111 Cost. prevede il diritto al contraddittorio espressamente solo in caso di processo giurisdizionale, anche se, progressivamente, la giurisprudenza della Consulta ha desunto dall’art.97 Cost. il diritto al contraddittorio endoprocedimentale nei procedimenti amministrativi sanzionatori, in particolare in quelli disciplinari (Corte Cost. 14 dicembre 1995 n. 505), e nei procedimenti che determinano la decadenza da incarichi dirigenziali delle aziende sanitarie (Corte Cost. 28 novembre 2008 n. 390).

Il Collegio non ignora inoltre che, anche nei procedimenti amministrativi tributari, un’interpretazione lata del diritto è stata inizialmente offerta anche da questa Corte, sia pure in occasione di un processo riguardante la peculiare fattispecie deH’iscrizione ipotecaria effettuata dall’Amministrazione finanziaria (Cass. Sez. un. 18 settembre 2014 n. 19667).

Tuttavia, la costante giurisprudenza di legittimità successiva è nel senso che il diritto al contraddittorio endoprocedimentale esiste per le materie non armonizzate nei soli casi in cui sia espressamente previsto dalla legge. Ciò, ad esempio, è stato affermato da Cass. 9 aprile 2018 n. 8619, in materia di imposta di registro in caso di riqualificazione del negozio, e da Cass. 31 maggio 2016 n. 11283 in materia di imposte dirette, pronunce tutte rese in applicazione dell’insegnamento delle Sez. un. del 9 dicembre 2015 n. 24823.

14. Diverso è il quadro offerto dal diritto unionale, in cui la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE) tutela espressamente il diritto al contraddittorio nel modo molto più ampio, non solo in sede di processo giurisdizionale, all’art. 47, nel contesto del rispetto del diritto ad un ricorso effettivo e ad un giudice imparziale, ma anche nella fase anteriore del procedimento amministrativo. Infatti, l’art. 41 CDFUE, rubricato “diritto ad una buona amministrazione”, al § 2, lettera a), consacra «il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio».

La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha applicato il diritto al contraddittorio, coerentemente con la sua natura di diritto fondamentale, affrontando il caso in cui il diritto comunitario non disciplini espressamente le modalità di esercizio di tale fondamentale diritto di difesa. E’ stato così statuito, dalla sentenza Kamino, che: «Quando il diritto dell’Unione non fissa né le condizioni alle quali deve essere garantito il rispetto dei diritti della difesa né le conseguenze della violazione di tali diritti, tali condizioni e tali conseguenze rientrano nella sfera del diritto nazionale, purché i provvedimenti adottati in tal senso siano dello stesso genere di quelli di cui beneficiano i singoli in situazioni di diritto nazionale comparabili (principio di equivalenza) e non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) (v. sentenza G. e R., EU:C:2013:533, punto 35 nonché giurisprudenza ivi citata)» (CGUE 3 luglio 2014, C-129 e 130/13, Kamino International Logistics BV e Datema Hellmann Worldwide Logistics BV contro Staatssecretaris van Financien, § 75).

Orbene, siffatta decisione è stata resa in relazione ad una disciplina nazionale, quella olandese, che non prevedeva ai fini del contraddittorio un termine, e si è affermata in tal caso la necessità di una “prova di resistenza”, secondo un pragmatico canone che ricorre spesso nella giurisprudenza unionale. Infatti, la violazione del principio del rispetto dei diritti della difesa, ha proseguito la Corte, «comporta l’annullamento della decisione di cui trattasi soltanto quando, senza tale violazione, il procedimento avrebbe potuto condurre ad un risultato differente» (CGUE, sent. ult. cit., § 80).

15. Più simile alla previsione del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente, è la disciplina nazionale portoghese, la quale ha originato il rinvio pregiudiziale deciso da CGUE il 18 dicembre 2008, nella causa C-349/07, Sopropé – Or- ganizagòes de Calgado Lda contro Fazenda Pública. In quel caso, il diritto interno prevedeva un termine per osservazioni, e si discuteva in particolare della congruità del termine per il contraddittorio, compreso in una forbice tra 8 e 15 giorni. Orbene, la Corte di Giustizia ha affermato al proposito: «(…) / destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione. A tal fine essi devono beneficiare di un termine sufficiente (v., in particolare, sentenze citate Commissione/Lisrestal e a.r punto 21, e Mediocurso/Commissione, punto 36)» (CGUE, sent. ult. cit., § 37).

Il paragrafo successivo della medesima decisione sviluppa la linea di ragionamento della Corte ed è fondamentale per chiarire le condizioni alle quali il diritto nazionale possa essere ritenuto rispettoso del diritto comunitario, nel disciplinare condizioni ed effetti del contraddittorio endoprocedimentale: «Tale obbligo incombe sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto comunitario, quand’anche la normativa comunitaria applicabile non preveda espressamente siffatta formalità. Trattandosi dell’attuazione del principio in parola e, più in particolare, dei termini per esercitare i diritti della difesa, si deve precisare che, qualora non siano fissati dal diritto comunitario, come nella causa principale, essi rientrano nella sfera del diritto nazionale purché, da un lato, siano dello stesso genere di quelli di cui beneficiano i singoli o le imprese in situazioni di diritto nazionale comparabili, e, dall’altro, non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti della difesa conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario.». (CGUE, ibid., § 38). L’insegnamento è riaffermato anche di recente da diverse decisioni della Corte di Giustizia che, per brevità, è sufficiente qui richiamare a campione: CGUE 8 marzo 2017, C-14/16, Euro Park Service, § 36, in materia di rimborsi; CGUE 20 dicembre 2017, C-276/16, Preqù Italia srl, § 45 sul diritto al contraddittorio in materia doganale.

16. Assume poi particolare importanza, ai fini che qui interessano, perché resa specificamente in materia di IVA e per la sua valenza riassuntiva dei principi giurisprudenziali precedentemente espressi in materia di contraddittorio endoprocedimentale in applicazione della Carta dei diritti fondamentali, la sentenza della Corte del Lussemburgo Ispas, la quale ha affermato che, in mancanza di una disciplina specifica del diritto unionale in materia di garanzie procedimentali, spetta all’ordinamento giuridico interno degli Stati membri, in virtù del principio di autonomia di cui ciascuno di essi dispone in tale materia, stabilire le modalità procedurali intese a garantire la tutela dei diritti riconosciuti ai contribuenti in forza dei principi generali del diritto dell’Unione, primo tra tutti il diritto di difesa, nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività (CGUE 9 novembre 2017, C-298/16, Ispas, §§ 26, 28 e 29 e ss..)

17. Dalla rapida disamina condotta, emerge che sono due i principi cardine del diritto comunitario che regolano il diritto fondamentale al contraddittorio endoprocedimentale:

1) il principio di equivalenza, ossia le modalità previste per l’applicazione del tributo armonizzato non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi procedimenti amministrativi per tributi di natura esclusivamente interna;

2) il principio di effettività, ovvero la disciplina nazionale non deve rendere in concreto impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione, e quindi il contribuente dev’essere posto nelle condizioni di esercitare il contraddittorio.

18. Orbene, dando continuità ai principi giurisprudenziali sopra esposti, ai fini dell’interpretazione dell’art.12, comma 7, l. n. 212/2000, la Corte in primo luogo osserva che tale disposto normativo non a caso non distingue tra tributi armonizzati e non.

Infatti, in via generale, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, è già stata operata dal legislatore una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio, attraverso la comminatoria di nullità dell’atto impositivo nel caso di violazione del termine dilatorio di 60 giorni per consentire al contribuente l’interlocuzione con l’Amministrazione finanziaria, a far data dalla conclusione delle operazioni di controllo. Questa è una disciplina nazionale che, già a monte, assorbe la “prova di resistenza”, nel pieno rispetto della giurisprudenza della CGUE (cfr. sentt. Kamino, cit., § 80 e Sopropè, cit., § 37).

Così interpretato, l’art. 12, comma 7, l. 212/2000 garantisce pienamente sia il principio di equivalenza (il quale, anzi, risulterebbe violato se la norma fosse applicabile ai soli tributi non armonizzati), sia quello di effettività.

La norma, nel prevedere la deroga alla regola generale del rispetto del termine dilatorio nel caso di esistenza di ragioni di urgenza, opera un bilanciamento degli interessi coinvolti, escludendo che siano compromessi gli effetti della normativa unionale in tema di riscossione dell’IVA (cfr. sent. Kamino, cit., § 77).

Siffatta interpretazione è al tempo stesso rispettosa anche dei principi generali dell’ordinamento giuridico nazionale civile, amministrativo e tributario, secondo cui la regola della strumentalità delle forme, ai fini del rispetto del contradditorio, viene meno in presenza di un’espressa sanzione di nullità comminata dalla legge per la violazione in questione. Non pare potersi dubitare che tali principi generali valgano anche ai fini del contraddittorio endoprocedi- mentale tributario.

19. In secondo luogo, coerentemente con quanto precede, l’operatività della c.d. prova di resistenza affermata dalle Sezioni unite 9 dicembre 2015 n. 24823 non può che essere circoscritta al caso di assenza di una specifica previsione del legislatore nazionale di nullità per violazione del contraddittorio.

La predetta sentenza, pertanto, correttamente interpretata in rapporto di continuità e di complementarità con la n. 18184/13 cit., non introduce (e non si basa su) un discrimine – una summa divisio- tra tributi non armonizzati e tributi armonizzati in tema di disciplina del contraddittorio endoprocedimentale, bensì distingue tra esistenza, o meno, di una normativa specifica sul punto; se questa esiste (v. art. 12 cit.), la stessa si applica a tutti i tributi, proprio nel pieno rispetto del principio di equivalenza, laddove, in mancanza e quindi in via residuale, subentra il principio generale unionale, ovviamente in tutta la sua portata e, dunque, anche con il limite della prova di resistenza.

20. In terzo luogo, quale ulteriore logica conseguenza, va affermato che, anche per i tributi armonizzati, scatta la prova di resistenza ai fini del contraddittorio endoprocedimentale nel solo caso in cui la normativa interna non commini espressamente la sanzione della nullità. Specularmente, ove il legislatore la preveda, non dev’essere applicata anche la prova di resistenza.

Infatti, solo in assenza di una specifica previsione di nullità introdotta dal legislatore per sanzionare la violazione del contraddittorio vi può essere spazio per il giudice affinché possa operare una valutazione ex post, caso per caso, sull’intervenuto rispetto o meno del contraddittorio medesimo.

In conclusione, ai fini delle imposte armonizzate, la prova di resistenza non si deve applicare nelle tre ipotesi in cui nei confronti del contribuente sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, dovendosi applicare solo nel caso di verifiche a tavolino.

21. Vanno pertanto affermati i seguenti principi di diritto:

1) l’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 prevede, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio operata dal legislatore, attraverso la previsione di nullità dell’atto impositivo per mancato rispetto del termine dilatorio, che già, a monte, assorbe la “prova di resistenza” e, volutamente, la norma dello Statuto del contribuente non distingue tra tributi armonizzati e non;

2) il principio di strumentalità delle forme ai fini del rispetto del contraddittorio, principio generale desumibile dall’ordinamento civile, amministrativo e tributario, viene meno in presenza di una sanzione di nullità comminata per la violazione, e questo vale anche ai fini del contraddittorio endoprocedimentale tributario;

3) per i tributi armonizzati la necessità della “prova di resistenza”, ai fini della verifica del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, scatta solo se la normativa interna non preveda già la sanzione della nullità.

22. Resta ora da governare in base a tali principi la fattispecie concreta, la quale riguarda unicamente una ripresa per tributi armonizzati (IVA).

Va innanzitutto escluso che le ragioni di urgenza dedotte dall’Agenzia possano essere desunte dall’imminenza della scadenza di un termine, essendo questa circostanza oggettivamente prevedibile e rimessa all’organizzazione dell’Ufficio accertatore (giurisprudenza costante: tra le più recenti, Cass. nn. 5149 del 2016, 8749 del 2018).

In secondo luogo, il Collegio constata che non vi è spazio per applicare al caso in esame la c.d. prova di resistenza: nel caso concreto vi è stato un accesso da parte degli accertatori e, dunque, ricorre una delle tre ipotesi nelle quali, unitamente all’ispezione o alla verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, trova applicazione generale e senza distinzioni l’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000.

Conseguentemente, nella fattispecie doveva essere rispettato il termine dilatorio di 60 giorni previsto dallo Statuto, termine che, pacificamente, non è stato osservato dall’Amministrazione finanziaria. A tale violazione consegue la nullità dell’atto impositivo prevista dal legislatore, e ciò esclude la necessità di dover scrutinare la natura vincolata o meno del provvedimento amministrativo e, ancor prima, di vagliare la serietà delle allegazioni difensive a sostegno della c.d. prova di resistenza, per la quale non vi è uno spazio rimesso all’interprete.

23. Il ricorso va così rigettato, e la complessità delle questioni trattate consente la compensazione integrale delle spese di lite.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e compensa le spese.