CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 gennaio 2019, n. 710
Tributi – Accertamento – Omesse dichiarazioni fiscali – Comportamento doloso del professionista – Sanzioni tributarie
Fatti di causa
1. Il sig. V. G. era destinatario di tre avvisi di accertamento ove era rilevata l’omessa dichiarazione a fini Irpef, Irap, Iva per gli anni 2000, 2001 e 2002. Ne conseguivano maggiori imposte per €.130.000 e sanzioni per €.150.000.
Non è qui oggetto di controversia la quantificazione dell’imposta, poiché il contribuente ha ammesso non fossero stata presentate le dovute dichiarazioni. Si controverte invece sulle sanzioni, poiché il privato afferma che l’omissione sia riferibile unicamente al suo precedente commercialista, rag. M., da lui denunciato penalmente appena venuto a conoscenza del suo comportamento fraudolento. Invocava le disposizioni che escludono la punibilità del contribuente per fatto addebitabile esclusivamente a terzi e denunciato all’autorità giudiziaria. Chiedeva quindi alla CTP l’annullamento delle sanzioni ed in subordine il ricalcolo secondo il più favorevole cumulo giuridico, oltre che una revisione dell’imponibile, tenendo conto della deducibilità di alcune somme per il mantenimento della figlia.
2. Le ragioni del contribuente erano apprezzate dal giudice di prime cure che annullava gli atti Impositivi per la parte delle sanzioni, rideterminava l’imponibile sulla scorta delle somme ritenute deducibili in ragione delle spese eseguite per esigenze della figliola.
Spiccava ricorso l’Ufficio, protestando l’insufficienza della denuncia, essendo necessaria anche la diligenza, cioè un atteggiamento vigile del contribuente che non può disinteressarsi dei suoi obblighi, per il semplice fatto di averli delegati ad altri, professionista, centro associativo o patronale che sia.
Tali profili erano valorizzati dal giudice di secondo grado che si richiamava anche ad arresti di questa Corte in tema di culpa in vigilando del contribuente, ritenendo non provata l’estraneità del contribuente agli accadimenti ed altresì escludevano la deducibilità delle predette spese familiari.
Ricorre dunque il sig. V. G. affidandosi a tre motivi di gravame, cui controdeduce puntualmente l’Avvocatura generale dello Stato, evidenziando la cronologia della presa di distanza fra contribuente e professionista per affermare la culpa in vigilando del primo.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si solleva violazione e falsa applicazione dell’art. 6 d.lgs. n. 472/1997 in paramento all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.; difetto di motivazione in parametro all’art. 350, comma primo, n. 5 steso codice di rito.
Nella sostanza, parte contribuente lamenta non essere stato correttamente sussunto nella norma di riferimento il suo comportamento, ove non si è limitato a denunciare l’infedele commercialista, ma anche a dimostrarne il comportamento fraudolento, consistente nel rilasciare copia delle dichiarazioni falsamente presentate e assistendo l’odierno ricorrente anche in questioni di c.d. condono tombale. Sotto il secondo profilo del motivo, si contesta non esser data adeguata motivazione della culpa in vigilando attribuita al contribuente.
Le circostanze evidenziate in primo grado ed in grado di appello (e ritrascritte in questa sede, ai fini dell’autosufficienza del motivo) sono corredate dalle allegazioni documentali relative alle false attestazioni di presentazione delle dichiarazioni dei redditi, a dimostrazione della piena diligenza del contribuente e del comportamento doloso del professionista officiato (cfr. p. 5 ricorso).
1.1 Sul punto è intervenuta questa Corte, indicando la corretta esegesi della norma di riferimento, espressa in rubrica, per cui l’art. 5, comma 1, riguarda, in generale, l’elemento soggettivo della condotta sanzionabile, la quale deve essere cosciente e volontaria, nonché colpevole, cioè posta in essere con dolo o, quanto meno, con negligenza; l’esimente di cui all’art. 6, comma 3, presuppone l’elemento soggettivo così come individuato dall’art. 5, comma 1, e delimita la condotta sanzionabile in conseguenza della violazione di obblighi tributari non formali.
1.2 L’applicazione dell’esimente di cui alla disposizione richiamata implica pertanto: a) l’inadempimento degli obblighi riconnessi al mancato pagamento del tributo, esclusi pertanto gli obblighi solo formali; b) l’imputabilità di tale inadempimento ad un soggetto terzo (normalmente l’intermediario incaricato), estraneo alla compagine sociale del contribuente (Cass. n. 20113 del 16/11/2012); c) l’adempimento, da parte del contribuente, di un obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria nei confronti dell’intermediario, cui è stato attribuito l’incarico, oltre che della tenuta della contabilità e dell’effettuazione delle dichiarazioni fiscali, di effettuare i pagamenti; d) l’insussistenza del dolo o della negligenza del contribuente nell’adempimento, nemmeno sotto il profilo della culpa in vigilando, dovendo l’inadempimento medesimo essere imputabile in via esclusiva all’intermediario.
È stato, pertanto, enunciato il seguente principio di diritto: «in tema di sanzioni tributarie, l’esimente prevista dall’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997 si applica in caso di inadempimento al pagamento di un tributo – e, dunque, escluse le violazioni solo formali – imputabile unicamente alla condotta di un soggetto terzo (normalmente l’intermediario cui è stato attribuito l’incarico; oltre che della tenuta della contabilità e dell’effettuazione delle dichiarazioni fiscali, di provvedere ai pagamenti), purché il contribuente abbia adempiuto all’obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria e non abbia tenuto una condotta colpevole ai ‘sensi dell’art. 5, comma 1, del citato decreto legislativo, nemmeno sotto il profilo della semplice culpa in vigilando» (così Cass. V, 7.11.2018, n. 28360).
1.3 Ti tale principio non ha fatto buon governo la CTR, disattendendo le allegazioni di parte contribuente e non motivando sul punto specifico, ulteriore alla denuncia penale, del comportamento tenuto dal commercialista e documentato dalla parte.
Debbono rilevarsi altresì le controdeduzioni opposte dal patrono erariale, ove (cfr. ultima pag. controricorso) evidenzia che la denuncia sia stata presentata dal contribuente solo in prossimità dell’accertamento, mentre il commercialista sarebbe stato destinatario di provvedimento di custodia cautelare anni prima (ancorché non per motivi di adempimenti fiscali), circostanza nota al suo cliente, che non avrebbe subito interrotto i rapporti.
Tali circostanze non risultano evidenziate in sede d’appello e, se lo fossero state, non risultano oggetto di motivazione da parte del secondo giudice di merito, evidenziando ulteriormente i profili di illegittimità della gravata sentenza.
Ed infatti, la lunga parte motiva sul primo capo di domanda (quello relativo all’estraneità incolpevole del contribuente), che occupa da metà di pagina 3 a metà di pag. 5, è dedicata alla ricostruzione del quadro normativo, per poi affermare (al terzo capoverso di pag. 5) che il contribuente non avrebbe vigilato, ma senza indicarne i fatti o gli argomenti da cui tale affermazione è dedotta, tantomeno in confutazione delle affermazioni (con allegazioni documentali) di parte contribuente, in bilanciamento con le controdeduzioni erariali, tra cui -oltre quella soprariportata- viene in rilievo anche il diverso apprezzamento dato in ordine all’assistenza sul condono tombale, che per l’Avvocatura è la prova di come il contribuente doveva accorgersi che le tasse non venivano pagate da tempo, mentre secondo il contribuente era la prova dell’assistenza accurata del professionista a tutela degli interessi del suo assistito.
Il motivo è pertanto fondato e merita accoglimento.
2. Con il secondo motivo si contesta violazione e falsa applicazione dell’art. 12 d.lgs. n. 472/1997, in parametro all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., nonché difetto di motivazione in parametro all’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ.; omissione di pronuncia.
In altri termini, si afferma essere stato chiesto il ricalcolo delle sanzioni secondo il sistema del cumulo giuridico, ma di non aver ricevuto risposta sul punto, atteso che la CTR ha accolto integralmente l’appello dell’Ufficio, riformando la prima sentenza con riviviscenza degli originari atti impositivi.
2.1 II motivo risulta sostenuto dalla trascrizione degli atti da cui si desume la sua proposizione in primo grado e la sua riproposizione in secondo grado, in resistenza al gravame interposto dall’Ufficio. Viene così assolto l’onere di autosufficienza dei motivi e adempiuto al dovere di riproporre in sede di appello le domande avanzate in primo grado perché non sia ritenute abbandonate.
2.2 Dalla lettura della sentenza non si rinviene passaggio dedicato alla questione del cumulo giuridico o cumulo materiale delle sanzioni, oggetto di autonomo capo di domanda che è stato implicitamente rigettato con la conferma dell’operato dell’Amministrazione finanziaria in accoglimento integrale dell’appello dell’Ufficio, contenuto nel penultimo capoverso della sentenza impugnata.
Il motivo è quindi fondato e merita accoglimento.
3. Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 32 d.P.R. n. 600/1973 e art. 56 d.P.R. n. 917/1986 in parametro all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ.; difetto di motivazione in parametro all’art. 360, comma primo, n. 5 cod, proc. civ..
Più esplicitamente, parte ricorrente si duole non essere stata ammessa la documentazione esibita nel corso del giudizio di primo grado, in quanto non fornita all’Ufficio nella fase procedimentale amministrativa e quindi ormai sottratta alla produzione processuale.
Nello specifico, si censura l’esegesi della norma di riferimento svolta dal giudice d’appello, dove è stato ritenuto che i documenti non forniti in prima battuta possano essere prodotti in sede di giudizio solo in caso «oggettiva impossibilità, debitamente provata, ad adempiere alle richieste dell’Amministrazione finanziaria», richiamando per contro dei precedenti risalenti di questa Corte, ove si afferma che non sono producibili sono quei documenti intenzionalmente sottratti, per concludere stigmatizzando la genericità delle richieste dell’Ufficio, debitamente trascritte a pag. 15 del ricorso ai fini dell’autosufficienza del motivo, cui non può corrispondere un dovere generale di esibizione, per cui non sarebbero producibili sono quei documenti specificamente richiesti e non consegnati in fase amministrativa.
3.1 Invero, per giurisprudenza consolidata di legittimità, in tema di accertamento, l’omessa esibizione da parte del contribuente dei documenti in sede amministrativa determina l’inutilizzabilità della successiva produzione in sede contenziosa solo ove l’amministrazione dimostri che vi era stata una puntuale richiesta degli stessi, accompagnata dall’avvertimento circa le conseguenze della mancata ottemperanza, e che il contribuente ne aveva rifiutato l’esibizione, dichiarando di non possederli, o comunque sottraendoli al controllo, con uno specifico comportamento doloso volto ad eludere la verifica (Cass. V, 21 marzo 2018, n. 7011; 14 novembre 2018, n. 29314).
Nella trascrizione degli avvisi di accertamento (p.15 ricorso) si evince solo un generico richiamo alla richiesta di documentazione contabile per gli anni di imposta 2000, 2001 e 2002, peraltro con rinvio ai processi verbali menzionati, ma non riportati. Resta comunque dirimente che tale richiesta attiene a documenti contabili, mentre quelli in controversia sono i documenti relativi alle spese contributive e personali oggetto di detrazione.
In ogni caso, l’interpretazione dell’art. 32, comma secondo, d.P.R. n. 600/1973 resa dalla CTR a pag. 5 e 6 della gravata sentenza è distonica con il principio di diritto enunciato da questa Corte.
Il motivo è quindi fondato e merita accoglimento.
In conclusione il ricorso è fondato e dev’essere accolto, la sentenza cassata ed il giudizio rinviato al giudice di merito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR per la Lombardia, in diversa composizione, cui demanda anche la regolazione delle spese del presente grado di giudizio.
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