CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 giugno 2018, n. 15839
Tributi – Accertamento – Reddito d’impresa – Cartolarizzazione dei crediti – Rimborso titoli
Fatti di causa
Con avviso di accertamento, notificato nel dicembre 2003, l’Agenzia delle Entrate di Sassari, rettificava, ai fini dell’Irpeg e dell’Ilor, il reddito imponibile per l’anno di imposta del 1997, del Banco di Sardegna S.p.A., disconoscendo, per quanto ancora qui rileva, la deducibilità di oneri relativi a perdite per cessione di crediti, di oneri relativi a provvigioni corrisposte alle Casse Comunali di credito agrario, di altri oneri perché ritenuti non di competenza dell’esercizio.
Il ricorso proposto dalla Banco di Sardegna S.p.A. avverso l’atto impositivo veniva parzialmente accolto dalla Commissione tributaria di Sassari (la quale confermava unicamente la ripresa dell’indeducibilità dei costi relativi all’acquisto dei beni ed erogazioni di servizi resi nel 1996) ma la decisione, appellata da entrambe le parti, veniva riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione Tributaria Regionale della Sardegna (d’ora in poi C.T.R.) la quale, rigettando l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate ed accogliendo l’appello incidentale proposto dal Banco, annullava integralmente l’avviso di accertamento.
In particolare il Giudice di appello ha ritenuto:
– con riguardo al rilievo con il quale era stata disconosciuta la deducibilità degli oneri relativi a perdite per cessioni di crediti, che, nella specie, la contribuente aveva posto in essere con una Banca estera, con la creazione di una Società cd. veicolo, un’operazione di cartolarizzazione dei crediti e che, nell’ambito di tale operazione, la cessione doveva ritenersi pro soluto e non come ipotizzato dall’Ufficio pro solvendo, essendo espressamente previsto che l’eventuale patrimonio residuo, rispetto al quale il Banco di Sardegna rimaneva estraneo, dopo il rimborso dei titoli dovesse essere devoluto in beneficenza, aggiungendo, inoltre, che la circostanza che il Banco avesse garantito titoli della classe B e sottoscritto titoli di Classe C era irrilevante ai fini della certezza della perdita;
– che le provvigioni passive fossero deducibili in quanto dovute in base ad un vincolo contrattuale assunto dal Banco nei confronti delle Casse agrarie ed in quanto inerenti all’attività di impresa quale quella della raccolta di risparmio;
– che relativamente agli ulteriori oneri, la cui certezza era stata conseguita solo nell’esercizio successivo, correttamente la Società li aveva dedotti nell’anno in cui erano stati ricevuti i documenti contabili.
Avverso la sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso su sette motivi.
Banco di Sardegna s.p.a. resiste con controricorso ulteriore illustrato con il successivo deposito di memoria ex art. 378 cod.proc.civ.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 66, comma e degli artt. 71 e 75 co 5 d.p.r. 917/86 in combinato disposto con l’art.2697 cod.civ. laddove la C.T.R. aveva ritenuto deducibili i costi per la perdita derivante dalla cessione del crediti qualificandola come cessione pro soluto. In particolare, secondo la prospettazione difensiva, aveva errato il Giudice di appello In quanto la certezza e la determinabilità della cessione di credito non poteva essere valutata con riferimento allo schema negoziale adottato dalle parti contraenti, dovendosi avere riguardo all’operazione economica sottesa che, nella specie, data la sottoscrizione da parte del Banco di una tranche dei titoli emessi dalla Società veicolo e la prestazione di garanzia a favore della cessionaria per altri titoli di diversa classe, non poteva ritenersi definitiva.
2. Con il secondo motivo, articolato ai sensi dell’art. 360, 1 comma, n. 5 c.p.c., si censura la sentenza impugnata di motivazione illogica e contraddittoria laddove il Giudice di merito aveva ritenuto smentito dai fatti il trasferimento del rischio di insolvenza del debitore ceduto, nell’ambito di una cessione di credito, ove il cedente presti garanzie personali sui titoli emessi a seguito di un procedimento di cartolarizzazione del credito.
2.1. I due motivi possono trattarsi congiuntamente siccome connessi e non sono meritevoli di accoglimento.
2.2. Sul punto, la Commissione tributaria regionale, con argomentata e diffusa motivazione, ha ritenuto che l’operazione, malgrado effettuata nel 1997, ricalcasse gli schemi e la modalità confermati nella successiva disciplina specifica dell’istituto della cartolarizzazione dei crediti, introdotta con la legge 29 aprile 1999 n.130 e che, alla luce degli atti prodotti dalle parti, risultasse che la Società ricorrente aveva trasferito, con cessione pro soluto (in via definitiva) una serie di crediti ad una Banca estera la quale ha provveduto ad effettuarne la cartolarizzazione attraverso la successiva cessione ad una società veicolo (cd. Special Purpose Vehicle) che ne ha finanziato l’acquisto emettendo titoli obbligazionari. Tali titoli sono stati emessi in tre franche delle quali … (per quello che qui rileva) la seconda postergata rispetto alla prima ma beneficiaria di garanzia fideiussoria sul valore di emissione da parte del Banco e la terza non assistita da garanzia, postergata alle altre due classi nel diritto al rimborso sottoscritta dallo stesso Banco.
Sulla base di tale accertamento di fatto, rimasto incensurato e, quindi, oggi pacifico – la C.T.R. ha, altresì, argomentato diffusamente, sulla base degli atti acquisiti in giudizio, che la tesi sostenuta nell’avviso di accertamento (ovvero che si trattasse di una cessione pro solvendo) e basata su una clausola contrattuale (contenuta in una informativa preliminare) risultava smentita dal contenuto degli atti successivi e definitivi intervenuti tra le parti (nei quali tale clausola non risultava riproposta) in quanto da tali atti emergeva chiaramente che l’atto istitutivo dello SPV prevede che qualora residui del patrimonio dal rimborso dei titoli questo debba essere devoluto in beneficienza e ancora che l’eventuale patrimonio residuo a conclusione dell’operazione resterà di esclusiva pertinenza del Trust proprietario di SVP senza ingerenza alcuna del Banco di Sardegna. Ha, quindi, concluso che, nella specie, la perdita conseguita alla cessione dei crediti, in virtù dell’operata cartolarizzazione, era certa e definitiva. Anche tale accertamento in fatto è rimasto incensurato.
La C.T.R., poi, ha espressamente motivato, anche sulla tesi sostenuta dall’Ufficio e sostanzialmente riproposta, oggi, dall’Agenzia delle entrate, con il primo e con il secondo motivo di ricorso (ovvero che la perdita non sarebbe certa dal momento che il Banco, avendo garantito titoli della classe B e sottoscritto quelli della classe C non si sarebbe privato del rischio di incasso dei crediti ceduti) ritenendola erronea ed illogica richiamando, e facendo proprio, il contenuto di una risoluzione dell’Agenzia delle entrate, resa in risposta ad un interpello, secondo cui il mancato trasferimento dei rischi connessi a crediti ceduti non è un elemento che può mettere in discussione gli effetti fiscali della cessione stessa e che, una cartolarizzazione di crediti continua fiscalmente ad essere considerata a tutti gli effetti una cessione, anche se il contribuente non la raffigura più come tale nel proprio bilancio.
2.3. Così ricostruiti i termini fattuali della vicenda processuale, va rammentato che per giurisprudenza costante di questa Corte in tema di imposte sui redditi, l’art. 66, terzo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, prevedendo che, al di fuori dell’ipotesi in cui il debitore sia assoggettato a procedure concorsuali, le perdite su crediti sono deducibili dal reddito imponibile soltanto se risultino da elementi certi e precisi, pone a carico del contribuente l’onere di allegare e documentare gli elementi di riferimento che hanno dato luogo alla perdita: pertanto, nell’ipotesi in cui l’Amministrazione abbia negato la deducibilità delle perdite su crediti acquistati a seguito di cessione, la mera allegazione che quest’ultima ha avuto luogo “pro soluto” anziché “pro solvendo”, secondo gli schemi predisposti dalla normativa civilistica, non esonera il contribuente dal documentare, mediante elementi certi e precisi (ad esempio, il prezzo stimato del credito rispetto al suo valore nominale), che la perdita risultante dalla cessione era da intendersi come oggettivamente definitiva, né preclude al giudice di merito l’esercizio del suo potere di apprezzare liberamente la sufficienza di quelle risultanze probatorie (v. Cass. n. 5357 del 10/3/2006; 20450 del 06/10/2011).
2.4. Nel caso in esame, come sopra illustrato, il Giudice di appello, nell’esercizio del suo libero apprezzamento delle risultanze probatorie, dando atto di tutti gli elementi fattuali e argomentando specificamente su tutte le questioni introdotte in giudizio dalle parti, è giunto alla conclusione della certezza e definitività della perdita conseguente alla cartolarizzazione, con accertamento in fatto che sul punto è rimasto incontrastato.
2.5. Ed infatti, richiamato il passo motivazionale per ultimo illustrato non si apprezza la dedotta illogicità e contradditorietà della motivazione della sentenza impugnata, soprattutto, ove si consideri la genericità del mezzo di impugnazione, il quale nel censurare la sentenza del Giudice di merito, omette del tutto l’argomentazione motiva posta a fondamento della decisione.
2.6. Eguale considerazione va svolta in ordine al primo motivo prospettante violazione di legge. Con il mezzo, infatti, la ricorrente – nel ribadire l’errore commesso dal Giudice di appello, per non avere considerato che il Banco di Sardegna, pur essendosi spogliato dei crediti ceduti, con la sottoscrizione delle obbligazioni e l’assunzione di garanzia, non aveva realizzato al momento della cessione la definitiva, certa e precisa perdita del credito – formula una censura generica omettendo, del tutto, di indicare perché e in quale modo l’argomentazione svolta, sul punto, dal Giudice di merito (del tutto ignorata in ricorso) violi le norme invocate; e ciò in contrasto coi principi costantemente ribaditi da questa Corte secondo cui <<il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata>>(cfr. tra le tante, di recente, Cass.n.24298 del 29/11/2016).
3. Con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 56 e dell’art. 75 d.p.r. 917/86 in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3 c.p.c., laddove il Giudice di appello aveva ritenuto che le considerazioni fatte per il mancato riconoscimento della perdita su crediti valessero per il superamento delle contestazioni sulla mancata contabilizzazione degli interessi di mora ceduti. Secondo la prospettazione difensiva, avendo lo stesso Giudice di merito accertato che la cessione era avvenuta nella data successiva del 31.12.1997 era logica conseguenza il fatto che il Banco era tenuto a contabilizzare ed imputare in bilancio gli interessi moratori dei crediti ceduti maturati nell’esercizio anteriore al momento della cessione.
3.1. Anche tale censura va incontro alla sanzione di inammissibilità. Sul punto la C.T.R. ha cosi motivato: le considerazioni fatte per il mancato riconoscimento della perdita su crediti valgono per il superamento delle contestazioni sulla mancata contabilizzazione degli interessi di mora sui crediti ceduti. Questa contestazione si fondava sul presupposto che ai fini fiscali i crediti non dovessero considerarsi mai effettivamente ceduti. La Risoluzione sopra citata ha sostenuto esattamente l’opposto e cioè che gli effetti fiscali della cessione si preservano anche se la stessa viene azzerata ai fini della rappresentazione contabile.
3.2. La conseguenzialità del rigetto del motivo di appello, proposto sul punto dall’Agenzia, al rigetto di quello conseguente al rilievo concernente le perdite, una volta constatata la definitività e certezza della cessione dei crediti, appare corretto e, su ciò concorda la stessa ricorrente la quale, nel mezzo, asserisce che l’eventuale accoglimento del primo e del secondo motivo comporterebbe l’automatica riforma del capo di sentenza impugnato. Ciò posto, nel resto, il mezzo di impugnazione appare estremamente generico giacché oltre a non investire l’ulteriore argomentazione svolta dal Giudice di appello (come sopra riportata) non chiarisce in cosa e come si sia concretizzata la prospettata violazione di legge, dato, tra l’altro e per quello che è dato comprendere, che l’esercizio in cui è avvenuta la cessione è lo stesso di quello in cui sarebbero maturati gli interessi di mora.
4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 75, comma 5 d.p.r. 917/86 in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c. laddove la C.T.R. aveva ritenuto deducibili i costi relativi alla corresponsione di provvigioni aggiuntive da parte del Banco di Sardegna alle Casse Comunali di Credito agrario, in quanto collegate all’attività di corrispondenza e raccolta del risparmio svolta dalle stesse Casse, costituenti, pertanto, elementi costitutivi del prezzo globale del servizio e, quindi, concorrenti a formare il reddito e, pertanto, deducibili.
4.1 Secondo l’orientamento prevalente di questa Corte, che il Collegio condivide, <<l’inerenza all’attività d’impresa delle singole spese e dei costi affrontati, indispensabile per ottenerne la deduzione ex art. 75 (ora 109) del d.P.R. n. 917/86, va definita come una relazione tra due concetti – la spesa (o il costo) e l’impresa – sicché il costo (o la spesa) assume rilevanza ai fini della qualificazione della base imponibile, non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con un’attività potenzialmente idonea a produrre utili (cfr. Cass. 27 febbraio 2015, n. 4041, 22 dicembre 2016, n. 26749; e di recente Cass. 6185/2017; id. n. 20049/17).
4.2. Alla luce di detti principi la cd. “provvigione aggiuntiva” che la S.p.A. Banco di Sardegna si era contrattualmente impegnata a corrispondere alle Casse Comunali di Credito Agrario qualora si fossero verificate perdite relative all’esercizio dell’attività resa dalle stesse Casse in favore del Banco (ovvero la raccolta al risparmio) ben può ritenersi inerente in quanto correlata ad un’attività potenzialmente idonea a produrre utili.
4.3. Ne consegue il rigetto del motivo di ricorso. La sentenza impugnata si muove, infatti, lungo tale solco interpretativo e l’accertamento in fatto compiuto in ordine alla correlazione tra detto costo e attività potenzialmente idonea a generare utili non è stato idoneamente contrastato in ricorso.
5. Con il quinto motivo si deduce la medesima violazione di legge laddove la C.T.R. aveva ritenuto deducibili nell’anno 1997, anche i costi relativi all’acquisto di beni e di servizi resi nell’anno 1996, in quanto il loro ammontare era stato determinato solo con la documentazione contabile dell’esercizio 1998.
6. Con il sesto motivo si censura il medesimo capo di sentenza di insufficiente motivazione, ai sensi del n.5 dell’art. 360 c.p.c., laddove la C.T.R. non aveva considerato che la Società non aveva fornito alcuna prova, neppure presuntiva, della determinazione dei costi deducibili nell’esercizio successivo a quello di competenza.
6.1.In particolare secondo la prospettazione difensiva la C.T.R. non aveva sufficientemente motivato la decisione con riferimento all’effettiva prova fornita dalla contribuente circa la quantificazione dei costi deducibili nell’anno successivo a quello in cui le prestazioni erano state rese.
7. Con il settimo motivo si deduce, sempre sullo stesso capo di sentenza, l’illogicità e contraddittorietà della motivazione laddove il Giudice di appello aveva postulato l’avvenuta acquisizione della prova della quantificazione dei costi per l’erogazione di servizi in un momento successivo all’esecuzione della prestazione, sulla base della natura del servizio reso.
8. Esaminati i motivi congiuntamente, siccome connessi, va rilevato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (v., tra le altre, di recente Cass. n. 1107 del 18/01/2017), <<in tema di reddito d’impresa, i corrispettivi conseguiti per prestazioni di servizi devono essere imputati all’esercizio in cui le prestazioni sono state ultimate, salvo che non ne sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, sicché incombe sull’Amministrazione finanziaria, che, assumendo un’erronea imputazione, pretenda una maggiore imposta, dimostrare il momento di ultimazione delle prestazioni e sul contribuente, il quale abbia registrato i ricavi in altro periodo d’imposta, che solo in tale anno questi sono diventati certi e determinabili nell’ammontare, mentre non io erano alla chiusura del precedente esercizio, né alla scadenza dei termini per la presentazione della relativa dichiarazione dei redditi>>.
Si è, poi, ribadito, (v. Cass. n. 13048 del 24/05/2017) che in tema di imputazione dei componenti negativi del reddito d’impresa, ai sensi dell’art. 75, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986 (nel testo vigente “ratione temporis”), in assenza di diverse disposizioni specifiche, nel caso di incertezza nell’an o di indeterminabilità nel quantum di detti componenti, si applica, in deroga al generale principio di competenza, il principio di cassa, secondo cui gli stessi possono essere imputati all’esercizio in cui ne diviene certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare, qualora di tali qualità fossero privi nel corso dell’esercizio di competenza”.
8.1. Nel caso in esame la C.T.R. ha ritenuto che la Società avesse dimostrato che i costi relativi a cessioni di beni e servizi, anche a causa della loro natura, non fossero determinabili in misura obiettiva nell’esercizio 1996, condizione che si era verificata solo nel corso dell’esercizio 1997 col ricevimento dei relativi documenti contabili.
8.2. L’accertamento in fatto effettuato dal Giudice di appello, il quale ha correttamente applicato la normativa di riferimento, come interpretata da questa Corte (con conseguente rigetto del quinto motivo) non è stato idoneamente contrastato con i mezzi di impugnazione, con la conseguenza che tale capo di sentenza rimane immune di censura.
8.3 Ed invero, in ordine al sesto motivo (insufficiente motivazione), è sufficiente ricordare, per dichiararne l’inammissibilità che, ai sensi dell’art. 360 n.5 c.p.c. (previgente formulazione applicabile alla fattispecie), l’insufficienza motivazionale va sempre rapportata all’omesso o insufficiente esame di un “fatto” storico, mentre nella specie, con il mezzo, si censura la C.T.R. per la valutazione degli elementi offerti al suo esame per mancanza di prova documentale.
8.4. Analoga considerazione va svolta in ordine al settimo motivo. Con il mezzo, infatti, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione non viene rapportata ad un fatto ma, anche in questo caso, alla stessa valutazione ad opera della C.T.R. degli elementi alla stessa forniti dalla Società. In tale ipotesi, infatti, si è condivisibilmente affermato (Cass. n.16526 del 05/08/2016) che in tema di ricorso per cassazione per vizi della motivazione della sentenza, il controllo di logicità del giudizio del giudice di merito non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto tale giudice ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe, pur a fronte di un possibile diverso inquadramento degli elementi probatori valutati, in una nuova formulazione del giudizio di fatto. E, più, in generale (tra le altre di recente Cass. n.29404 del 07/12/2017) che con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità.
9. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, il ricorso va, pertanto, rigettato con condanna dell’Agenzia delle entrate, soccombente alla refusione in favore della controricorrente delle spese processuali liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, alla refusione delle spese processuali che liquida in complessivi euro 12,000 oltre rimborso spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.