CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 giugno 2018, n. 15854
Imposte dirette – IRPEF – Istanza di rimborso – Fondi previdenziali integrativi – Regime fiscale – Indagini bancarie – Contenzioso tributario
Fatti di causa
Nella controversia scaturita dall’impugnazione da parte di G. A., già dirigente Enel, del silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria ad istanza di rimborso delle ritenute Irpef applicate dal datore di lavoro (ENEL) all’atto della corresponsione, avvenuta nel 2000, di una somma a titolo di liquidazione anticipata dì pensione integrativa come da accordo collettivo stipulato nel 1996, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, in accoglimento dell’appello proposto dal contribuente avverso la prima decisione (di rigetto del ricorso), accertava che il regime fiscale da applicare fosse quello relativo alle prestazioni in forma dì capitale corrisposte in dipendenza dì contratti di assicurazione sulla vita o di capitalizzazione e cioè sulla parte relativa al rendimento, la ritenuta del 12,50% mentre sull’importo dei contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore eccedenti il 4% della retribuzione annua l’aliquota prevista per la tassazione del T.F.R., riconoscendo, quindi, provato il diritto al rimborso della somma di euro 23.700,21.
Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione, su due motivi, l’Agenzia delle Entrate.
Resiste con controricorso G. A..
L’Agenzia delle entrate ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Va esaminata, preliminarmente, l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente il quale ha rilevato il difetto di legittimazione dell’Avvocatura Generale dello Stato alla rappresentanza e difesa dell’Agenzia delle entrate.
1.1. L’eccezione è infondata alla luce del consolidato orientamento di questa Corte (v.Cass. n. 22434 del 04/11/2016; id.n.14785 del 2011) la quale, in materia, ha condivisibilmente statuito che, in tema di contenzioso tributario, l’Avvocatura dello Stato, per proporre ricorso per cassazione in rappresentanza dell’Agenzia delle entrate, deve avere ricevuto da quest’ultima il relativo incarico, del quale, però, non deve farsi specifica menzione nel ricorso atteso che l’art. 366, n. 5, c.p.c., inserendo tra i contenuti necessari del ricorso “l’indicazione della procura, se conferita con atto separato”, fa riferimento esclusivamente alla procura intesa come negozio processuale attributivo dello ius postulandi (peraltro, non necessario quando il patrocinio dell’Agenzia delle entrate sia assunto dall’Avvocatura dello Stato) e non invece al negozio sostanziale attributivo dell’incarico professionale al difensore.
2. Procedendo, quindi, all’esame del ricorso, con il primo motivo si deduce la violazione di plurime disposizioni di legge, in relazione all’art.360 n.5 c.p.c. laddove la Commissione tributaria regionale (d’ora in poi C.T.R.) aveva ricondotto la prestazione di previdenza integrativa in forma di capitale erogata nell’anno di imposta 2002 dall’ENEL ai contratti di capitalizzazione e ai contratti di assicurazione sulla vita.
3. Con il secondo motivo si deduce un’insufficiente motivazione laddove la C.T.R. aveva riconosciuto la debenza della somma da rimborsare sulla base di attestazione rilasciata dall’Enel senza esaminarne il contenuto ovvero spiegare le ragioni per le quali da quel prospetto era dato ricavare “il rendimento”.
4. Le censure, esaminate congiuntamente, sono fondate nei termini di cui infra.
4.1. Va, anzitutto, evidenziato che a decorrere dal 1 gennaio 1986 (in base al comma 4 dell’art. 12 del CCNL del 16 maggio 1985, recepito dall’Enel) venne prevista a favore dei dirigenti Enel la stipula di un’assicurazione sulla vita con la previsione contrattuale dell’erogazione di una prestazione al momento del collocamento a riposo; successivamente, sempre nel 1986, a seguito di apposita richiesta delle rappresentanze sindacali dei dirigenti, tale previsione venne modificata con l’accordo tra l’Enel e la Federazione nazionale dirigenti di aziende industriali (Fndai), in virtù del quale venne sostituito il trattamento assicurativo di cui sopra con un rapporto dì previdenza pensionistica integrativa (c.d. P.I.A., ovvero Previdenza Integrativa Aziendale) con prestazioni da erogare in forma di trattamento periodico (ciò peraltro con efficacia retroattiva al 1 gennaio 1986, da ciò potendosi desumere che la disposizione che prevedeva la stipula di polizze vita di fatto non venne mai applicata).
Tale forma di previdenza venne però dismessa nel 1998 e i fondi accumulati trasferiti a Fondenel, Fondo di Previdenza integrativa esterno, chiamato a gestire una forma di previdenza complementare a capitalizzazione individuale; essa dava diritto, ai dirigenti Enel che vi avevano aderito e che ne facevano richiesta al momento della cessazione del rapporto di lavoro, alla liquidazione dell’intero capitale accumulato in luogo della rendita vitalizia.
4.2 Quanto al regime fiscale di tale prestazione, alla tesi dei contribuenti, secondo cui il capitale richiesto, in quanto originato da un contratto assicurativo, deve essere assoggettato alla ritenuta a titolo dì imposta nella misura del 12,5% ai sensi dell’art. 6 legge 26 settembre 1985, n. 482 (e ciò quantomeno sulla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2 per cento per ogni anno successivo al decimo se il capitale è corrisposto dopo almeno dieci anni dalla conclusione del contratto, ai sensi dell’art. 42, comma 4, t.u.i.r.), si contrapponeva quella dell’Amministrazione finanziaria, secondo cui, invece, l’erogazione in oggetto non poteva considerarsi come reddito di capitale in dipendenza di un contratto assicurativo sulla vita, ma come reddito di lavoro dipendente, soggetto a tassazione separata ai sensi degli artt. 16, comma 1, lett. a), e 17 t.u.i.r.
4.3 Intervenendo, dunque, sul tema, anche per dirimere il contrasto insorto nella giurisprudenza di legittimità, la sentenza delle Sezioni Unite n. 13642 del 2011 ha in primo luogo evidenziato l’esistenza di un fondamentale discrimine temporale, che distingue la situazione dei soggetti che siano iscritti a forme pensionistiche complementari prima dell’entrata in vigore del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124 (28 aprile 1993) e quella dei soggetti che siano iscritti a forme analoghe in epoca successiva all’entrata in vigore del predetto provvedimento legislativo (il quale all’art. 13, comma 9, assoggetta le prestazioni in forma di capitale «comunque» a tassazione separata): discrimine discendente dalla norma interpretativa di cui all’art. 1, comma 5, d.l. 31 dicembre 1996 n. 669 (convertito, con modificazioni, dalla I. 28 febbraio 1997 n. 30), il quale prevede che «la disposizione contenuta nell’art. 13, 9° comma, d.lgs. 21 aprile 1993 n. 124, e quella contenuta nell’art. 42, 4° comma, ultimo periodo del t.u.i.r. introdotta dall’art. 11, 3° comma, l. 8 agosto 1995 n. 335, … devono intendersi riferite esclusivamente ai destinatari iscritti alle forme pensionistiche complementari successivamente alla data di entrata in vigore del citato d.lgs. n. 124 del 1993»; nel citato arresto è stato quindi evidenziato che «a questa situazione “binaria”, che distingue tra “vecchi iscritti” e “nuovi iscritti” a forme pensionistiche complementari, pose fine l’art. 12, comma 1, d.lgs. 18 febbraio 2000 n. 47 (come modificato dall’art. 9, comma 1, lett. a), d.lgs. 12 aprile 2001 n. 168), a norma del quale <<per i soggetti che risultano iscritti a forme pensionistiche complementari alla data da cui ha effetto il presente decreto, le disposizioni introdotte dall’art. 10 … [relativamente al “trattamento tributario delle prestazioni pensionistiche erogate ai sensi del d.leg. 21 aprile 1993 n. 1241 … si applicano alle prestazioni riferibili agli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001. Per i medesimi soggetti, relativamente alle prestazioni maturate fino a tale data, continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti anteriormente». E’ dato, pertanto, evincere un primo dato certo rappresentato dal fatto che sono soggetti a tassazione separata ai sensi degli artt. 16, comma 1, lett. a), e 17 t.u.i.r., senza alcuna distinzione circa la loro interna composizione, sia i capitali (tutti) maturati dai soggetti iscritti a forme pensionistiche complementari dopo l’entrata in vigore del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, sia i capitali maturati successivamente al 1 gennaio 2001 dai soggetti iscritti a forme pensionistiche complementari anteriormente all’entrata in vigore di quest’ultimo provvedimento; con riferimento invece ai capitali maturati anteriormente alla predetta data dai soggetti iscritti a forme pensionistiche complementari prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 124 del 1993 — in relazione ai quali occorre applicare, come detto, «le disposizioni vigenti anteriormente» — le Sezioni Unite hanno evidenziato che «il trattamento tributario delle prestazioni erogate non è, e non può essere, indipendente dalla composizione strutturale delle prestazioni stesse», le quali «nel caso concreto, trattandosi di un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono composte da una “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore), e da un “rendimento netto”, imputabile alla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato»,
«sicché» — ha soggiunto la Corte —«possono essere tassate in modo analogo al t.f.r. esclusivamente le somme liquidate a titolo di capitale, mentre alle somme corrispondenti al rendimento di polizza (nella fattispecie Pia), si applica la tassazione nella misura del 12,50 per cento ai sensi dell’art. 6 l. 26 settembre 1985 n. 482. Le esposte considerazioni sono state quindi condensate nel seguente conclusivo principio di diritto: «In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 124 del 1993, ad un Fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino a 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17 (T.U.I.R.), solo per quanto riguarda la “sorte capitale” corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dai 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17 t.u.i.r.».
4.4 Tale principio non è risultato, di fatto, interamente risolutivo delle controversie pendenti, essendo emerse tra le parti in lite contrapposte interpretazioni circa il concetto di «rendimento netto», cui applicare la detta ritenuta del 12,5%; si è infatti prospettata, da parte dei contribuenti, la tesi secondo cui, con riferimento almeno alla parte del capitale corrisposto riferibile agli accantonamenti in P.I.A. (anteriori dunque al 1998), il criterio impositivo previsto dall’art. 6 legge n. 482 del 1985 andrebbe comunque applicato alla differenza tra detto capitale e il complessivo ammontare dei premi, essendo stati questi ultimi versati in funzione di un programma avente origine assicurativa e in coerenza, pertanto, con quanto previsto dalla citata disposizione che riferisce il detto criterio, espressamente, ai «capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita, esclusi quelli corrisposti a seguito di decesso dell’assicurato»; sostiene di contro l’amministrazione che, avendo avuto il piano (P.I.A.) natura e scopo previdenziali e avendo esso operato attraverso l’accantonamento, secondo tecniche attuariali, di somme in assoluta prevalenza versate dall’ente datore di lavoro, idonee a costituire riserva matematica sufficiente a coprire sin da subito le prestazioni erogande (a loro volta commisurate su base retributiva, e non contributiva), queste ultime, a fini fiscali, in nulla si differenziavano dal TFR e andavano pertanto soggette, quale retribuzione differita, a tassazione separata ai sensi degli artt. 16, comma 1, lett. a), e 17 t.u.i.r.
4.5. Sul punto la successiva giurisprudenza di questa Corte si è già attestata, con numerosissimi arresti, di gran lunga prevalenti su quelli di segno diverso, su una lettura del principio affermato dalle Sezioni Unite secondo la quale il predetto più favorevole criterio impositivo può trovare applicazione limitatamente alle somme rivenienti dall’effettivo investimento, da parte del fondo, sul mercato finanziario, del capitale accantonato e che ne costituiscono il rendimento (cfr. ex multis Cass. nn. 720/2017, 10604/2015, 8310/2014, 3132/2014, 22950/2013, 7724-7728/2013);
4.6. Reputa questo Collegio che tale orientamento, del tutto prevalente, meriti sostanziale condivisione, con la sola precisazione (già effettuata da Cass.n.10285/2017 che si condivide integralmente) che l’applicazione del più favorevole meccanismo impositivo ex art. 6 legge n. 482 del 1985 si giustifica in ragione della «equiparazione» tra i capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e (quelli corrisposti in dipendenza di contratti) di capitalizzazione posta dagli artt. 41 (ora 44), comma 1, lett. g-quater), e 42 (ora 45), comma 4, t.u.i.r., e non già, dunque, per effetto di una diretta riconduzione della fattispecie alla previsione di cui all’art. 6 legge n. 482 del 1985 (invero espressamente riferita solo ai capitali corrisposti da «imprese di assicurazione» in dipendenza di «contratti di assicurazione sulla vita, esclusi quelli corrisposti a seguito di decesso dell’assicurato»), ma solo in via di applicazione analogica di tale disposizione ai capitali corrisposti in dipendenza di contratti di capitalizzazione, analogia a sua volta giustificata dalla comune considerazione delle due fattispecie nel t.u.i.r., quali ipotesi omogenee dì redditi di capitale.
4.7. E’ indubbio, dunque, che la ragione dell’eventuale assoggettabilità a detto meccanismo dei capitali corrisposti, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, ai dirigenti Enel aderenti al descritto fondo di previdenza integrativa, non vada ricercata — neppure con riferimento a quelli riferibili agli accantonamenti operati in regime di P.I.A. prima del 1998 — in una non predicabile natura assicurativa della prestazione, né tanto meno del soggetto erogante, quanto piuttosto nella possibilità di ravvisare in quelle prestazioni redditi di capitale derivanti da contratti di capitalizzazione (e nei limiti in cui tale possibilità sussista). Non si tratta, pertanto, di (redditi derivanti da) contratti di assicurazione sulla vita, come si desume dal contenuto degli accordi succedutisi nel tempo tra Enel e organizzazioni sindacali di categoria ma solo se e in quanto nei capitali corrisposti possano identificarsi «redditi di capitale derivanti da contratti di capitalizzazione» può giustificarsi l’applicazione del meccanismo impositivo di cui all’art. 6 legge n. 482 del 1985, dovendosi al riguardo pertanto escludere la possibilità di distinguere tra P.I.A. e Fondenel — ossia tra rendimenti degli accantonamenti operati prima del 1998 nel fondo denominato P.I.A. e rendimenti riferibili invece alla gestione Fondenel del periodo successivo — e considerare i primi comunque assoggettabili al detto meccanismo in ragione di una presunta, ma come detto insussistente, natura assicurativa delle prestazioni.
4.8. Tale distinta considerazione non può in particolare ricavarsi dal ripetuto arresto delle Sezioni Unite, il quale invero descrive il fondo de quo in termini chiari e univoci, e senza alcuna distinzione rispetto alle diverse configurazioni succedutesi nel tempo, quale «fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente» le cui prestazioni sono composte «da una “sorte capitale”, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro (e in notevole minor misura dal lavoratore), e da un “rendimento netto”, imputabile alla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato»; data tale premessa non può dubitarsi – anche per la congiunzione «sicché» che lega i due periodi da nesso logico di conseguenzialità – che il successivo riferimento testuale al «rendimento di polizza (nella fattispecie P.I.A.)» abbia solo un valore descrittivo/esemplificativo della parte dei capitali corrisposti eventualmente tassabile nella misura del 12,5 per cento ai sensi dell’art. 6 legge n. 482 del 1985, fermo restando il requisito poco prima indicato perché un tale rendimento possa effettivamente identificarsi, rappresentato dall’essere lo stesso discendente dalla «gestione sul mercato del capitale accantonato»;
4.9. Resta dunque confermato, anche alla luce della superiore analisi, che sono tassabili con l’aliquota del 12,5% ai sensi dell’art. 6 legge n. 482 del 1985 i capitali maturati anteriormente al 1 gennaio 2001 dai soggetti iscritti al fondo di previdenza integrativa di che trattasi (P.I.A., poi Fondenel) prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 124 del 1993, limitatamente a quella parte di essi costituita dal rendimento netto, derivante dalla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato; se da un lato, per quanto detto, tale requisito andrà ricercato anche per i capitali maturati e gli accantonamenti effettuati anteriormente alla trasformazione del fondo da P.I.A. a Fondenel, dall’altro, però, non v’è ragione di ulteriormente circoscrivere tale requisito ai soli (eventuali) investimenti nel mercato finanziario, secondo indicazione contenuta nella Risoluzione n. 102/E del 26 novembre 2012 dell’Agenzia delle entrate e avallata da diverse sentenze successive alla pronuncia delle Sezioni Unite (v. ex aliis Cass. nn. 7724-7728, 12491- 12496, 22950 del 2013; nn. 3136, 6380 e 8310 del 2014; n. 1977 del 2015), ma invece non contenuta in quest’ultima che, del tutto condivisibilmente, parla soltanto di «gestione sul mercato», senza alcuna aggettivazione; il requisito dell’essere il rendimento imputabile alla «gestione sul mercato» del capitale accantonato identifica invero la ragione stessa della più favorevole tassazione di tale reddito rappresentata dall’essere questo il risultato dagli investimenti effettuati dall’ente di gestione della somma versata, investimenti che, se certamente saranno per lo più indirizzati verso i vari prodotti del mercato finanziario (strumenti finanziari, valori mobiliari, etc.), nulla esclude possano esserlo anche verso altri tipi di mercato (es. mercato immobiliare).
4.10 E’, però, certamente da escludere che tale requisito possa considerarsi soddisfatto dall’essere il rendimento ottenuto corrispondente alla redditività ottenuta sul mercato dell’intero patrimonio dell’Enel (rapporto tra il margine operativo lordo e il capitale investito); tale coerenza (del rendimento ottenuto dal capitale accantonato con quello ottenuto dal patrimonio dell’Enel) costituisce, infatti, comunque un dato estrinseco e non causale, nel senso che il primo non può comunque considerarsi frutto dell’investimento di quegli accantonamenti nel libero mercato, come richiesto perché abbia a configurarsi il reddito da capitale della specie richiesta, essendo al contrario esso stesso dipeso da un predeterminato calcolo di matematica attuariale;
4.11. Può in conclusione ribadirsi (facendo seguito a Cass.n. 10285/2017; id.n.21423/2017; id.n.24525/17) il seguente principio di diritto: «In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma di capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, ad un fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati a decorrere dal 10 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui agli artt. 16, comma 1, lett. a), e 17 d. P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (nel testo vigente ratione temporis); b) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, invece, la prestazione è assoggettata a detto regime di tassazione separata solo per quanto riguarda la sorte capitale, costituita dagli accantonamenti imputabili ai contributi versati dal datore di lavoro e dal lavoratore e corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dall’art. 6 legge 26 settembre 1985, n. 482, alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento. Sono tali le somme derivanti dall’effettivo investimento del capitale accantonato sul mercato — non necessariamente finanziario — non anche quelle calcolate attraverso l’adozione di riserve matematiche e di sistemi tecnico- attuariali di capitalizzazione, al fine di garantire la copertura richiesta dalle prestazioni previdenziali concordate».
5. Alla luce delle considerazioni sin qui svolte la sentenza impugnata la quale -peraltro, con carente motivazione (non illustrando le ragioni per cui era stata data valenza alle risultanze dell’estratto conto redatto dalla stessa Enel)- non ha fatto corretta applicazione di tali principi, va cassata e va disposto il rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, la quale provvederà al riesame e al regolamento delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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