CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 giugno 2018, n. 15856
Tributi – Accertamento – Dichiarazione dei redditi – Documentazione – Costi infragruppo
Fatti di causa
La L. s.p.a. impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate recuperava costi non deducibili e, conseguentemente, rettificava l’imponibile ai fini IRPEG, IVA ed IRAP, per l’anno 2004, sulla scorta dei rilievi operati con processo verbale di constatazione del 19/2/2007.
La Commissione tributaria provinciale di Varese respingeva il ricorso, ma la decisione, appellata dalla contribuente, veniva riformata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia Emilia, che annullava l’accertamento e compensava le spese di lite.
Osservava il giudice di appello che la fattura relativa alla parcella dell’avvocato C., essendo stata ricevuta dalla contribuente solo il 26/11/2004, ben oltre i termini della dichiarazione relativa all’esercizio 2003, è stata correttamente imputata all’esercizio 2004, che i costi ad utilità pluriennale, comportanti un recupero di Euro 22.668,00, sono stati imputati al conto economico dell’esercizio di sostenimento (2004), secondo le regole civilistiche, in quanto relativi alla progettazione di un impianto per la produzione di stabilizzanti in polvere destinati al settore automobilistico poi non realizzato, che la contestata antieconomicità e la non inerenza dei costi per servizi commerciali, comportanti il recupero di Euro 27.960,00, non può basarsi “su considerazioni ipotetiche di carattere generale (…) non supportate da reali riscontri probatori”, che il recupero di Euro 4.880,00, relativo all’ammontare delle fatture emesse dal Geometra B., per prestazioni professionali rese presso lo stabilimento di G.M., si scontra “con la documentazione, versata in atti, che comprova il complesso di incarichi assegnati al professionista in azienda ed all’impegno costante di monitoraggio e di responsabilità da lui svolti”, che gli affitti passivi intercompanies, comportanti un recupero di Euro 31.187,00, comprendono, oltre al canone relativo alla sublocazione, “una serie di vantaggi che risultano dalla documentazione prodotta” e, quindi, non sono sproporzionati, che le spese per servizio meccanografico amministrativo intercompanies, comportanti un recupero di Euro 185.925,00, ricomprendono anch’esse una pluralità di servizi, nonché “l’utilizzo del sistema informatico SAP da parte degli addetti alla Società che non dispone di un sistema informatico proprio”.
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui resiste con controricorso la contribuente.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente Agenzia delle Entrate, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia la violazione degli artt. 108, comma 3, 83 e 109, d.p.r. 917 del 1986, giacché la CTR non ha considerato che le norme richiamate dettano uno specifico regime di ammortamento per le spese pluriennali, la cui deducibilità è ripartita in più esercizi, per cui la spesa di progettazione generale dell’impianto, attività affidata alle società C. e S., non più realizzato ma nell’anno 2004 ancora realizzabile, va ritenuta “relativa a più esercizi deducibile in quote costanti nell’esercizio in cui è sostenuta e nei quattro anni successivi”, mentre “la contribuente l’ha imputata integralmente, all’interno del bilancio civilistico, nell’unico esercizio in cui l’ha sostenuta”, pur non essendo la spesa di competenza esclusiva dell’esercizio.
Con il secondo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, denuncia l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacché la CTR ha escluso la dedotta antieconomicità dei costi per servizi commerciali resi dalla società B., senza alcun riferimento ai mezzi di prova al riguardo forniti dalle parti, e senza operare alcuna ragionata valutazione degli stessi, al fine di dare conto dell’iter logico seguito per pervenire alla decisione.
Con il terzo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, denuncia l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata, in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacché la CTR ha considerato che le non meglio precisate prestazioni professionali dell’ex dipendente B. avrebbero potuto essere svolte da un dipendente della società contribuente, “di cui era allegata dall’Agenzia la costanza del rapporto lavorativo”, e che nella sentenza impugnata neppure vengono indicati i mezzi di prova valutati ai fini del giudizio d’inerenza delle prestazioni rispetto all’attività dell’impresa.
Con il quarto motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, denuncia l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacché la CTR non ha adeguatamente valutato le risultanze emergenti dal p.v.c. in forza delle quali l’Agenzia ha reputato sproporzionati i costi per servizi accessori relativi all’utilizzo dell’immobile, affittato dalla capogruppo L., avuto riguardo ai criteri ed alle modalità di suddivisione delle relative spese tra controllante e controllata.
Con il quinto motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, denuncia l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, giacché la CTR non ha considerato che i verificatori, nel valutare la congruità delle spese per servizio meccanografico prestato dalla capogruppo in favore della controllata, hanno applicato le tariffe dell’Ordine dei Dottori Commercialisti nella misura più elevata, che l’importo addebitato alla società L. è risultato cinque volte superiore, come da allegati al p.v.c., e che la capogruppo L. ha chiuso il bilancio al 31/12/2004 in perdita, non assoggettando a tassazione i ricavi in questione e fornendo alla controllata L. costi rilevanti per abbattere il reddito imponibile.
Giova, preliminarmente, rilevare che l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dall’art. 6 del d.lgs. n. 40 del 2006, e contenente la previsione della formulazione del quesito di diritto, come condizione di ammissibilità del ricorso per cassazione, si applica “ratione temporis” ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 (data di entrata in vigore del menzionato decreto), e fino al 4 luglio 2009, data dalla quale opera la successiva abrogazione della norma, disposta dall’art. 47 della I. n. 69 del 2009 (Cass. 24597/2014), mentre la sentenza impugnata risulta pubblicata il 23/2/2010.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Con riferimento alla deducibilità operata (nell’anno 2004) dalla società contribuente, per l’intero, della spesa sostenuta per la progettazione (“lavoro preparatorio” secondo l’Agenzia delle Entrate) di un impianto per la produzione di stabilizzanti in polvere, da realizzare nello stabilimento di Gorla Minore, essendo stata l’iniziativa accantonata, per tale ragione addebitata al conto economico 2004, l’Agenzia delle Entrate sostiene che, trattandosi di costi pluriennali, avrebbero dovuto essere oggetto di ammortamento quinquennale.
L’assunto è errato in diritto in quanto si pone in contrasto con l’art. 2426 c.c., primo comma, n. 5, e con il d.p.r. n. 917 del 1986, art. 108 (già art. 74), comma 3, applicabile ratione temporis, disposizioni dalle quali era ricavabile la facoltatività dell’ammortamento quinquennale di detti costi e non la sua obbligatorietà, prevista invece con decorrenza dal 22 marzo 2005 per effetto della modifica apportata dall’art. 11, comma 1. lettera e), del digs. n. 38 del 2005, che ha introdotto all’art. 108, comma 3, d.p.r. n. 917 del 1986, la disposizione secondo cui “Le medesime spese” – cioè quelle relative a più esercizi, diverse da quelle considerate nei commi 1 (studi e ricerche) e 2 (pubblicità e propaganda) – non capitalizzabili per effetto dei principi contabili internazionali, sono deducibili in quote costanti nell’esercizio in cui sono state sostenute e nei quattro successivi” (Cass. n. 26500/2016).
Nel caso di specie, la ripresa a tassazione è, dunque, illegittima, atteso che la contribuente, pur non disconoscendo la potenziale utilità pluriennale della spesa, ove naturalmente l’impianto industriale fosse stato effettivamente realizzato, ne ha tuttavia prevista la deduzione in un unico esercizio, imputando la spesa nel conto economico tra i componenti negativi del reddito, come la disciplina ratione temporis applicabile consentiva di fare, sicché non appaiono condivisibili, per quanto innanzi esposto, le contrarie deduzioni svolte dall’Agenzia delle Entrate.
Il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso, scrutinabili congiuntamente, sono fondati.
Giova osservare che, in tema di imposte sui redditi delle società, la nozione di inerenza che connota i costi deducibili, fondata sul richiamo all’art. 75, comma 5, d.p.r. n. 917 del 1986, esprime la riferibilità dei costi sostenuti, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, all’attività d’impresa propriamente detta, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea a tale attività, e secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la nozione di inerenza implica quella di congruità, sicché deve escludersi la deducibilità di costi sproporzionati o eccessivi, in quanto non inerenti.
Un costo, pertanto, non è deducibile se non è funzionale all’attività della impresa, ed è inerente nella misura in cui può dirsi congruo.
Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, l’inerenza all’attività d’impresa delle singole spese e dei costi affrontati, indispensabile per ottenerne la deduzione ex art. 75 ( ora 109 ) d.p.r. n. 917 del 1986, va definita come una relazione tra due concetti – la spesa (o il costo) e l’impresa -, sicché il costo (o la spesa) assume rilevanza ai fini della qualificazione della base imponibile non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con un’attività potenzialmente idonea a produrre utili ( v. Cass. n. 20049/2017, n. 4041/2015, n. 1465/2009).
Spetta al contribuente l’onere di provare l’esistenza, l’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, la coerenza economica dei costi deducibili, ed a tal fine non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di costi antieconomici, sproporzionati ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (Cass. n. 13300/2017, n. 10269/2017, n. 10914/2015, n. 21184/2014, in senso parzialmente difforme n. 450/2018). Tale è il principio che andava applicato nel caso in esame, avendo l’Amministrazione finanziaria negato alla società contribuente, nel periodo d’imposta per cui è causa, la deducibilità dei costi relativi ai servizi commerciali (elaborazione dati) della B., alle prestazioni professionali rese dall’ex dipendente B., all’utilizzo dei locali subaffittati dalla capogruppo L., al servizio meccanografico reso da quest’ultima società a quella controllata, ma la laconicità delle affermazioni contenute nella impugnata sentenza rendono inidonea la motivazione a giustificare la decisione.
Si rammenti, al riguardo, che, secondo costante orientamento di questa Corte, ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma primo, n. 5, quando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (tra le altre, Cass. n. 9113/2012, n. 23812/2016).
Ed è quanto accaduto nel caso di specie, atteso che il giudice di appello ha sostanzialmente omesso di illustrare i motivi che lo hanno indotto a ritenere indimostrata la sussistenza delle predette esimenti reddituali, così da non consentire di comprendere come sia giunto alla formazione di quel giudizio.
Quanto alla deducibilità del costo relativo al servizio di elaborazione dati statistici reso dalla B., non è in discussione la convenienza della scelta economica discrezionalmente operata dalla impresa, ma la coerenza economica di tale scelta, da riscontrare sulla base delle ragioni addotte e del supporto documentale offerti dalla contribuente, avuto riguardo alle contestazioni dell’Agenzia delle Entrate, che quindi non possono liquidarsi, sommariamente, perché “ipotetiche di carattere generale (…) non supportate da reali riscontri probatori”.
Quanto alla deducibilità del costo delle prestazioni professionali rese dall’ex dipendente B., valgono analoghe considerazioni, posto che il giudice di appello si è limitato a valutare i profili della esistenza della prova degli incarichi e della effettività delle prestazioni, ma non quelli che rilevano ai fini della inerenza della relativa spesa ad attività produttive di ricavi.
Quanto alla deducibilità del costo dell’utilizzo dei locali subaffittati dalla capogruppo L., in tesi comprensivo di ulteriori vantaggi (servizi accessori) fruiti, nonché di quello del servizio meccanografico da quest’ultima società reso alla controllata, il giudice di appello si è espressa con argomentazioni apodittiche, che non si confrontano assolutamente con il tema dei costi c.d. infragruppo (ovvero laddove la società capofila di un gruppo d’imprese decida di fornire servizi o curare direttamente le attività di interesse comune alle società del gruppo, ripartendone i costi fra di esse, al fine di coordinare le scelte operative delle aziende formalmente autonome e ridurre i costi di gestione attraverso economie di scala), in quanto costituisce ius receptum che “l’onere della prova in ordine all’esistenza ed all’inerenza dei costi sopportati incombe sulla società che affermi di aver ricevuto il servizio, occorrendo, affinché il corrispettivo riconosciuto alla capogruppo sia deducibile ai fini delle imposte dirette e l’IVA contestualmente assolta sia detraibile, che la controllata tragga dal servizio remunerato un’effettiva utilità e che quest’ultima sia obiettivamente determinabile e adeguatamente documentata” (Cass. n. 23027/2015, n. 8808/2012, n. 11949/2012, n. 14016/1999).
Nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria chieda conto dei criteri e delle modalità di suddivisione di tali spese, il contribuente controllato dovrà, dunque, produrre la documentazione giustificativa, che ne provi certezza ed effettività, pena la indeducibilità del costo.
Ne discende che il giudice di appello avrebbe dovuto intrattenersi sul profilo dell’onere della prova a carico del contribuente, dandone conto in motivazione, andando ad operare i riscontri finalizzati alla verifica della regolarità fiscale della determinazione del costo, e della sussistenza dei requisiti di deducibilità, in particolare, attraverso l’analisi della correttezza del criterio di determinazione e di ripartizione del compensocosto, dei vantaggi conseguiti dalla società affiliata, e non solo dalla capogruppo, della congruità del corrispettivo (in termini anche di determinazione del valore normale), considerato che la prevalenza dell’interesse del gruppo, su quello della singola società, è questione di rilievo sia civilistico, che tributario, stante l’esigenza dell’erario ad una corretta allocazione dei flussi reddituali infragruppo In relazione ai profili di censura ritenuti fondati il ricorso va accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio ad altra sezione della Commissione regionale della Lombardia, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia.
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