CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 giugno 2018, n. 15891
Successione di appalto – Lavoratore licenziato dalla società uscente – Comunicazione non impugnata tempestivamente ex art. 6, L. n. 604/1966 – Diritto di ricusazione delle parti – Deroga al principio del giudice naturale precostituito per legge – Casi di astensione obbligatoria del giudice ex art. 51 c.p.c. – Ipotesi di stretta interpretazione e non suscettibili di applicazione per via di interpretazione analogica
Fatti di causa
1. Con sentenza depositata il 24.11.2016 la Corte di appello di Roma, confermando la sentenza del Tribunale di Velletri, ha respinto la domanda di A. S. di assunzione da parte della società A.T.I. I. S. s.p.a. – G. s.r.l. quale società subentrata nell’appalto con il Comune di Anzio (evocato in giudizio) per l’erogazione dei servizi di igiene urbana, alle medesime condizioni di quelle godute presso l’impresa appaltatrice uscente (la società V. Ambiente s.p.a. in liquidazione, anch’essa evocata in giudizio). La Corte distrettuale ha rilevato che il lavoratore risultava licenziato dalla società V. A. con telegramma del 2.3.2007 spedito presso l’indirizzo del lavoratore stesso (indirizzo dichiarato nel contratto di lavoro e utilizzato per il ricevimento di altra corrispondenza anche in periodo successivo), comunicazione non impugnata tempestivamente ai sensi dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966.
2. Il S. ricorre per la cassazione di questa sentenza con sette motivi, al loro interno ulteriormente articolati, illustrati da memoria. La società V. A. s.p.a. in liquidazione E. J. resiste con controricorso. Il Comune di Anzio, la curatela del fallimento della I. Source s.r.l. in liquidazione e la Gesam s.r.l. sono rimaste intimate.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 111 Cost. e 51 cod.proc.civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ.) rilevandosi la nullità della sentenza impugnata in quanto emessa da collegio della Corte distrettuale di cui faceva parte un giudice (dott. F. A. N. de R.) che aveva fatto parte del collegio di Tribunale che aveva deciso (con ordinanza depositata il 16.2.2007) il reclamo avverso l’ordinanza emessa ex art. 700 cod.proc.civ.
2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce nullità della sentenza per omessa pronuncia sul primo motivo di appello (integralmente riportato), in violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod.proc.civ.), motivo di appello concernente la “erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto sussistente un licenziamento (intimato al sig. S. con telegramma del 5 marzo 2007) non impugnato”, rilevandosi che la Corte distrettuale nulla ha statuito sulla violazione del potere d’ufficio prevista dall’art. 421 cod.proc.civ. commessa dal Tribunale che ha ritenuto di non acquisire la lettera di impugnazione del licenziamento esibita dal lavoratore all’udienza del 31.5.2001.
3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce error in procedendo, invocando la violazione degli artt. 113, 115, 116 cod.proc.civ., 2 della legge n. 604 del 1966 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod.proc.civ.) avendo la Corte territoriale considerato legittimo il licenziamento intimato dalla V. con il telegramma 2.3.2007 nonostante la documentazione prodotta dal S. con le note autorizzate dal Tribunale dimostrasse il cambio di residenza del lavoratore e nonostante l’esibizione in originale della lettera di impugnazione del licenziamento (in risposta alla comunicazione della V. del 2.4.2007) depositata successivamente con le note.
4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce “travisamento della prova, violazione degli artt. 115, 116 cod.proc.civ. e 2, 6 della legge n. 604 del 1966 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, omesso di motivare in ordine alla ricezione della comunicazione di licenziamento da parte del S. e alla sua tempestiva contestazione.
5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697, 2705, 2729 cod.civ., 115, 116 cod.proc.civ., 2 della legge n. 604 del 1966 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente e acriticamente recepito gli approdi interpretativi forniti dal Tribunale circa la idoneità del telegramma inviato dalla società V. a S. il 2.3.2007 quale comunicazione di licenziamento, in particolare sotto il profilo della riconducibilità alla volontà del legale, trattandosi di telegramma telefonicamente dettato all’ufficio postale.
6. Con il sesto motivo il ricorrente denunzia violazione dell’ art. 2 della legge n. 604 del 1966, nonché degli artt. 1334, 1335, 1362, 2729 cod.civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente interpretato il telegramma del 2.3.2007 spedito dalla V. che aveva mero contenuto ricognitivo dell’esito del procedimento giudiziale cautelare e, inoltre, non è mai pervenuto all’indirizzo del lavoratore.
7. Con il settimo motivo si articolano plurimi sub-motivi: motivo A: violazione e falsa applicazione degli artt. 132 cod.proc.civ. e 118 disp. att. cod.civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod.proc.civ.; motivo B: omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ.; motivo B.2: violazione e falsa applicazione dell’art. 6 della legge n. 604 del 1966 e art. 115 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod.proc.civ.; motivo C: violazione degli artt. 414, 416, 420, 421, 437 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ. Il ricorrente lamenta la nullità della sentenza avendo, la Corte distrettuale, erroneamente valutato la “decisività” e la tempestività della lettera di impugnativa di licenziamento inviata dal S. il 26.4.2007 (esibita in originale all’udienza del 31.5.2011 e prodotta con le note autorizzate nel corso del giudizio di primo grado) ed avendo omesso l’indicazione del dies a quo e del dies ad quem dei termini previsti dall’art. 6 della legge n. 604 del 1966. La Corte distrettuale non ha considerato i documenti prodotti, in primo grado, con le note autorizzate che costituivano prova del mancato ricevimento del telegramma del 2.3.2007 della V. e, comunque, tempestiva impugnativa del licenziamento, documenti che – in ossequio al principio della ricerca della verità materiale – il giudice doveva acquisire d’ufficio.
8. Il primo motivo non è fondato.
Dalla ricostruzione effettuata dallo stesso ricorrente (nonché dal controricorrente) dei diversi giudizi promossi dal S. e dalla società V. Ambiente s.p.a., emerge che il giudice F. A. N. de R. ha fatto parte del collegio che ha deciso il reclamo avverso l’azione cautelare promossa dal S. nei confronti della società V. A. per il riconoscimento del diritto di assunzione presso la suddetta società V. A. s.p.a. Diversamente, come emerge dalla sentenza impugnata, la presente causa è stata promossa dal S., seppure anche nei confronti della società V. A. s.p.a. in liquidazione, per il riconoscimento del diritto di assunzione nei confronti dell’A.T.I. I. S. s.p.a. – G. s.r.l., subentrata nell’appalto con il Comune di Anzio per il servizio di igiene urbana. Il ricorrente ha, pertanto, invocato l’obbligo di astensione del giudice in relazione a due procedimenti giudiziari distinti, come evidenziato altresì dalla sentenza impugnata che ha precisato come “l’oggetto del giudizio concluso con la sentenza 5947/2015 di questa Corte è differente rispetto a quello del presente giudizio che riguarda, invece, la legittimità del licenziamento sopra indicato e le relative richieste risarcitone avanzate dal S.. Con la sopra indicata sentenza n. 5947/2015 si è, invece, stabilito il diritto del S. ad essere assunto da parte della V. Ambiente in epoca anteriore rispetto al licenziamento per cui è causa, nonché il suo diritto alle retribuzioni maturate dal giorno 4.4.2006 sino al giorno 15.1.2007”.
Questa Corte ha già affermato che i casi di astensione obbligatoria del giudice stabiliti dall’art. 51 cod.proc.civ., ai quali corrisponde il diritto di ricusazione delle parti, in quanto incidono sulla capacità del giudice, determinando una deroga al principio del giudice naturale precostituito per legge, sono di stretta interpretazione e non sono, pertanto, suscettibili di applicazione per via di interpretazione analogica; ne consegue che l’obbligo di astensione sancito dal n. 4 del citato articolo nei confronti del giudice che abbia conosciuto della causa come magistrato in altro grado del processo – rivolto ad assicurare la necessaria alterità del giudice chiamato a decidere, in sede di impugnazione, sulla medesima res iudicanda nell’unico processo – non può essere inteso nel senso di operare in un nuovo e distinto procedimento, ancorché riguardante le stesse parti e pur se implicante la risoluzione di identiche questioni (Cass. n. 22930/2017).
Inoltre, questa Corte ha già ripetutamente affermato che il motivo di astensione di cui all’art. 51, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., che la parte non abbia fatto valere in via di ricusazione del giudice a termini dell’art. 52, cod. proc. civ., non può in seguito essere invocato in sede di gravame; tale principio non trova deroga in relazione alla deduzione di tardiva conoscenza della composizione del collegio giudicante, tenuto conto che le parti sono in grado di avere tempestiva contezza di tale composizione dal ruolo di udienza e dall’intestazione del verbale di causa ad opera del cancelliere e, quindi, di proporre rituale istanza di ricusazione (cfr. Cass., ord., n. 26976 del 2011).
9. Tutti gli altri motivi, che per ragione di stretta connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Inammissibilmente formulati, per avere ricondotto sotto l’archetipo della violazione di legge o dell’error in procedendo censure che, invece, attengono alla tipologia del difetto di motivazione ovvero al gravame contro la decisione di merito mediante una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale. Né può rinvenirsi un vizio di falsa applicazione di legge, non lamentando, il ricorrente, un errore di sussunzione del singolo caso in una norma che non gli si addice.
Invero, è principio più volte espresso da questa Corte (per tutte Cass. n. 16698/2010) quello secondo cui: “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra ¡’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa”.
In ordine alla lamentata incongruità della motivazione della sentenza impugnata, è stato più volte ribadito che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva (cfr. Cass. Sez. U. n. 24148 del 2013, Cass. n. 8008 del 2014). Secondo il novellato testo dell’art. 360 n. 5 (come interpretato dalle Sezioni Unite, sentenza n. 8053 del 2014), tale sindacato è configurabile soltanto qualora manchi del tutto la motivazione oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo “talmente contraddittorio da non permettere di individuarla”.
Invero, il ricorrente lamenta l’erronea applicazione delle disposizioni di legge dettate in materia di forma scritta del licenziamento (con riguardo alla valutazione effettuata dalla Corte del telegramma spedito il 2.3.2007 dalla società V. Ambiente s.p.a.), del principio di presunzione di conoscenza (con riguardo alla ricezione del suddetto telegramma), della efficacia probatoria tipica del telegramma (con riguardo al suddetto telegramma), del criterio di decadenza in caso di impugnazione tardiva del licenziamento (con riguardo alla lettera inviata il 26.4.2007), della nozione di presunzione semplice (con riguardo al suddetto telegramma) ed illustra la carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta effettuata dalla Corte territoriale, procedendo a contestare la valutazione delle risultanze di causa.
Il ricorrente, pertanto, non ha contestato al giudice di merito di aver errato nella individuazione della norma regolatrice della controversia bensì di aver erroneamente ravvisato, nella situazione di fatto in concreto accertata, la ricorrenza degli elementi costitutivi di una determinata fattispecie. Tale censura comporta un giudizio non già di diritto, bensì di fatto, eventualmente impugnabile sotto il profilo del vizio di motivazione. Sotto questo ultimo aspetto, la sentenza si presenta comunque immune da vizi logico-formali, essendosi dato conto sia della chiara volontà di interrompere il rapporto di lavoro esplicitata con il telegramma del 2.3.2007 dalla società V. Ambiente s.p.a. sia del corretto invio del suddetto telegramma all’indirizzo del lavoratore, come dichiarato dallo stesso lavoratore nel contratto di lavoro (stipulato, come emerge dall’estratto della sentenza di Tribunale riprodotta in ricorso e come confermato dal controricorrente, in data 15.1.2007, appena due mesi prima del telegramma) nonché utilizzato (dallo stesso) per il corretto ricevimento di corrispondenza successiva a detta data, a fronte di mancato deposito di certificato anagrafico attestante la modifica della residenza alla data del 5.3.2007 (data di ricezione del telegramma) o di comunicazione, inoltrata alla società, di cambiamento di domicilio.
Il vizio di omessa pronuncia del giudice di secondo grado in ordine ad uno dei motivi dedotti nell’atto di appello non è fondato, avendo la Corte distrettuale – come illustrato – affrontato sia la questione dell’interpretazione del telegramma inviato dalla società V. Ambiente s.p.a. il 2.3.2007 (alla stregua di una comunicazione di interruzione del rapporto di lavoro) sia la valutazione dell’atto di impugnazione del lavoratore.
In ordine alla lamentata violazione degli artt. 414, 416 e 421 cod.proc.civ., questa Corte ha affermato che, nel rito del lavoro, l’omessa indicazione dei documenti prodotti nell’atto di costituzione in giudizio, e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza dal diritto di produrli, salvo che si siano formati successivamente alla costituzione in giudizio o la loro produzione sia giustificata dall’evoluzione della vicenda processuale (Cass. Sez.U. n. 8202 del 2005; successivamente, tra le tante Cass. n. 16337 del 2009; Cass. n. ). Invero, nel rito del lavoro è inammissibile la produzione, successiva alla costituzione in giudizio, di documenti di formazione antecedente il giudizio stesso, genericamente indicati e sulla cui esibizione sia intervenuta una decadenza, né in tal caso può essere esercitato il potere officioso del giudice di ammissione di nuovi mezzi di prova, che opera sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi a seguito del contraddittorio delle stesse. Invero, stante l’esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale, allorché le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, il giudice, anche in grado di appello, ove reputi insufficienti le prove già acquisite, può in via eccezionale ammettere, anche d’ufficio, le prove indispensabili per la dimostrazione o la negazione di fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati o contestati e sussistano altri mezzi istruttori, ritualmente dedotti e già acquisiti, meritevoli di approfondimento (cfr. Cass. n. 12856 del 2010).
Ebbene, la censura è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto dei verbali di udienza del giudizio di primo grado, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 cod.proc.civ., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 cod.proc.civ., comma 2, n. 4 (Cass. 12 febbraio 2014, n. 3224; Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726). Ciò al fine di apprezzare la sussistenza, alla prima udienza utile immediatamente successiva al deposito della memoria di costituzione della società V. Ambiente s.p.a., di puntuali allegazioni di replica al dedotto intervenuto licenziamento (del 2.3.2007) nonché di tempestiva richiesta di produzione del documento a supporto dell’eccezione di impugnazione del licenziamento. L’esigenza si manifestava vieppiù a fronte del tenore testuale del ricorso introduttivo del giudizio (riportato da parte ricorrente) ove veniva allegato che “il Sig. S. è stato definitivamente ed illecitamente estromesso dall’attività prestata alle dipendenze della V. Ambiente sin dal 2.4.2007”, dalla quale emergeva la consapevolezza del lavoratore di essere stato definitivamente espulso dall’azienda.
La Corte di appello, confermando la pronuncia del Tribunale in ordine alla decadenza di produrre documenti con le note difensive, ha sottolineato l’irrilevanza della questione relativa alla mancata annotazione, nel verbale di udienza del 31.5.2011, della esibizione di un tempestivo atto di impugnazione del licenziamento, essendo tardivo “rispetto al telegramma sopra indicato” in quanto non attinente al suddetto licenziamento (bensì relativo a lettera inviata successivamente dalla società V. Ambiente s.p.a.).
Questa Corte ha già affermato che è tardiva l’istanza di deposito di documentazione attestante la tempestiva impugnazione stragiudiziale del licenziamento allegata solo dopo la prima udienza di discussione successiva alla comparsa di costituzione contenente l’eccezione di decadenza (Cass. n. 15167 del 2011).
Deve ribadirsi, inoltre, in adesione alla citata sentenza delle Sezioni Unite n. 8202 del 2005, che il sistema di preclusioni di cui al combinato disposto dell’art. 416 cod.proc.civ., comma 3, pur trovando un contemperamento nei poteri d’ufficio del giudice in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa, è limitato all’esercizio di tali poteri esclusivamente con riferimento a fatti allegati tempestivamente e ritualmente dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse e, tanto, avuto riguardo anche al caso in cui la produzione postuma di documenti sia giustificata dal tempo della loro formazione o dall’evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione, essendo pur sempre necessario che detta produzione allegazione del fatto – avvenga nella prima udienza successiva utile, verificandosi altrimenti la preclusione di cui al combinato disposto dell’art. 416 cod.proc.civ., comma 3, e art. 437 cod.proc.civ., comma 2, non superabile, in questo caso, anche ex art. 437 cod.proc.civ., comma 2.
L’affermazione della Corte territoriale sulla ritenuta idoneità del telegramma a far sorgere nel lavoratore la conoscenza del provvedimento di trasferimento è conforme ai principi ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui un telegramma (cosi come una lettera raccomandata), anche in mancanza di avviso di ricevimento, costituisce prova certa della spedizione, attestata dall’ufficio postale attraverso la relativa ricevuta, dalla quale consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione anzidetta e dell’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico, di arrivo al destinatario e di conoscenza dell’atto (Cass. n. 24015 del 2017, Cass. n. 12954 del 2007, Cass. n. 8649 del 2006, Cass. n.758 del 2006, Cass. n. 22133 del 2004).
Questa Corte ha in altre occasioni evidenziato come non sussista alcun ostacolo giuridico né all’affermazione dell’equivalenza, sul piano dell’efficacia probatoria, del telegramma dettato per telefono all’operatore a quello spedito tramite un ufficio telegrafico né ad una applicazione estensiva del dato normativo dell’art. 2705 cod.civ. che consenta di ritenere la dichiarazione di licenziamento proveniente, dal soggetto che nel testo del telegramma risulti l’autore di detta dichiarazione – nonostante la mancanza, di sottoscrizione – sempre che siano state rispettate le vigenti norme postali. In questo caso, come in quello di telegramma spedito a mezzo di un ufficio telegrafico, si tratterà di fornire la prova dell’incarico a consegnare (o dell’avvenuta consegna): prova che potrà essere offerta con ogni mezzo, anche fornendo elementi indiziari, precisi e concordanti, intesi a delineare presunzioni a favore della situazione allegata (cfr. in tali sensi: Cass. n. 14297 del 2000, Cass. n. 19689 del 2003, Cass. n. 10291 del 2005, Cass. n. 23882 del 2006, sempre per l’assunto che la dimostrazione delle condizioni richieste dall’art. 2705 cod.civ. perché il documento abbia efficacia probatoria della scrittura privata, qualora vi sia contestazione da controparte, deve essere operata attraverso la prova – anche per presunzioni – della consegna del telegramma all’ufficio, postale oppure dalla sottoscrizione da parte del mittente).
Orbene in applicazione di detti principi la censura appare priva di fondamento avendo il giudice d’appello con una valutazione di merito, congruamente motivata e corretta sul piano logico- giuridico – e pertanto non suscettibile di alcuna critica in questa sede di legittimità – concluso che il telegramma del 2.3.2007 recava in calce la firma dell’amministratore delegato della V..
10. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ. a favore della società V. Ambiente s.p.a. in liquidazione. Nulla sulla spese nei confronti delle parti rimaste intimate.
11. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità nei confronti della società contro ricorrente liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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