CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 giugno 2018, n. 15892

Previdenza – Pensione di anzianità – Determinazione dell’importo – Coefficienti di riduzione

Fatti di causa

1. P. M., titolare di pensione di anzianità in regime di totalizzazione, con un periodo maturato presso I.N.P.S. ed un periodo inerente la gestione della Cassa Italiana di Previdenza ed Assistenza dei Geometri, ha agito davanti al Tribunale di Como per sentir accertare il diritto alla determinazione dell’importo della pensione di anzianità, nella quota riguardante la Cassa, con esclusione dal calcolo dei coefficienti di riduzione di cui all’art. 3 del “Regolamento per l’attuazione delle attività di previdenza ed assistenza” adottato ex d. Igs. 30 giugno 1994, n. 509.

2. La domanda, già respinta dal Tribunale di Como, è stata poi accolta dalla Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 1148/2011.

La Corte distrettuale ha ritenuto che, nel caso di specie, il calcolo della pensione dovesse effettivamente avvenire secondo le regole proprie della gestione privatizzata, ma al contempo ha affermato che non potevano trovare applicazione i coefficienti di riduzione propri della pensione di anzianità, tra l’altro non previsti per un’anzianità come quella del M., dovendosi semplicemente, nella logica propria della totalizzazione, proporzionare la quota a carico della Cassa all’anzianità effettivamente posseduta presso la medesima gestione privatizzata.

La Corte ha inoltre ritenuto che l’introduzione dei predetti coefficienti di riduzione, entrando essi in conflitto con il principio del prò rata, non potesse essere convalidata dal sopravvenire dell’art. 1, comma 763 L. 296/1996, che, nel fare salve le delibere adottate anteriormente ad esso dagli enti privatizzati, non poteva sanare deliberazioni anteriori che erano invalide secondo la legge del tempo in cui esse erano state assunte.

3. Avverso tale sentenza la Cassa Italiana di Previdenza ed Assistenza dei Geometri ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, poi illustrati da memoria, resistiti con controricorso dal M.. Anche l’I.N.P.S. ha proposto controricorso protestando la propria estraneità alla contesa inerente la misura della quota di pensione a carico della Cassa. La Cassa ed il M. hanno depositato memorie illustrative.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo la Cassa afferma la violazione degli artt. 1 e 4 all. 1 d. Igs. 42/2006, sostenendosi che, mentre la totalizzazione dei periodi contributivi rileva ai fini dell’accesso alla pensione (art. 1 d. Igs. 42/2006), essa sarebbe indifferente nel calcolo delle quote di pensione della gestione privatizzata, in quanto viceversa (art. 4, co. 5) se vi è anzianità almeno pari a quella utile alla pensione di vecchiaia nel regime privatizzato, si applicherebbero i criteri di calcolo propri di quest’ultimo, tra cui quello che prevede l’abbattimento delle pensioni di anzianità in dipendenza dell’anzianità contributiva e dell’età.

Con il secondo e terzo motivo è invece dedotta la violazione dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale e dell’art. 3, comma 12, della L. 335/1995 per essersi ritenuto che l’art. 1, comma 763, della L. 296/2006 non consentisse, per le pensioni successive al 1.1.2007, la rimodulazione dei trattamenti, anche sulla base di delibere pregresse e comunque per avere omesso di considerare il fatto decisivo consistente nell’avere la pensione decorrenza successiva al 1.1.2007.

2. Il ricorso non è fondato.

3. La Corte d’Appello ha sviluppato una doppia ratio deciderteli, in quanto, nella motivazione, si afferma, da un lato, che il Regolamento contenente i coefficienti di abbattimento delle pensioni di anzianità cui si sia acceduto con meno di quaranta anni di contribuzione non troverebbe applicazione perché frutto di una deliberazione illegittima per il tempo in cui essa fu formata; per altro verso, la sentenza sostiene ancor prima che, comunque, i coefficienti di abbattimento non potrebbero trovare applicazione anche per effetto di una corretta applicazione del Regolamento del testo così novellato.

4. L’accoglimento del ricorso postulerebbe quindi non solo l’aggressione, che effettivamente vi è stata, di entrambe le rationes decidendi, ma anche la fondatezza di entrambi i profili di censura.

5. In effetti, il secondo ed il terzo motivo di ricorso, sono fondati, essendosi stabilito, per quanto in forza anche di disciplina interpretativa sopravvenuta, che “in materia di prestazioni pensionistiche erogate dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del d.lgs. n. 509 del 1994, la liquidazione dei trattamenti pensionistici, a partire dal 1 ° gennaio 2007, è legittimamente operata sulla base dell’art. 3, comma 12, della l. n. 335 del 1995 riformulato dall’art. 1, comma 763, della I. n. 296 del 2006, che, nel prevedere che gli enti previdenziali adottino i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario, impone solo di aver presente – e non di applicare in modo assoluto – il principio del “prò rata”, in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti, e comunque tenendo conto dei criteri di gradualità e di equità tra generazioni, con salvezza degli atti approvati dai Ministeri vigilanti prima dell’entrata in vigore della legge n. 296 del 2006 e che, in forza dell’art. 1, comma 488, della I. n. 147 del 2013, si intendono legittimi ed efficaci purché siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine” (Cass., S.U., 8 settembre 2015, n. 17742).

Non può quindi essere condivisa l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata in ordine ad un’illegittimità tout court, per i trattamenti riconosciuti a partire dal 1.1.2007, quale è quello del M., delle delibere antecedenti alla L. 296/2006 con cui si sono stabiliti i coefficienti di riduzione delle pensioni di anzianità.

Non vi è però neppure da valutare in concreto se la delibera che rileva nel caso di specie sia conforme ai criteri (finalizzazione alla sostenibilità finanziaria di lungo periodo) fissati dalla normativa di salvaguardia sopra richiamata; l’ulteriore disamina in tal senso è infatti superflua, alla luce dell’infondatezza del primo motivo, con cui si assume che tali delibere consentirebbero, nel caso di specie, l’applicazione dei menzionati coefficienti di riduzione.

In sostanza, pur se si dovesse infine ritenere l’applicabilità del Regolamento nel testo modificato, da ciò non consegue, per l’infondatezza del primo motivo, che attiene appunto al regime derivante da tale applicazione, l’accoglimento del ricorso, in quanto la restante ratio decidendi è destinata a resistere all’impugnativa.

6. Venendo appunto al primo motivo di ricorso, non è qui in sé in discussione, come già ha incidentalmente rilevato la Corte d’Appello, il criterio di calcolo della pensione nella quota inerente la Cassa.

E’ infatti certo che, avendo il M. raggiunto, alla data del pensionamento, un’anzianità di 31 anni nella Cassa, pari a quella utile (ove combinata ad un’età di almeno sessantacinque anni), nel regime di transitorio di cui all’art. 34 del Regolamento, per il biennio 2007/2008, all’accesso alla pensione di vecchiaia, il calcolo della misura della pensione andava sviluppato, ai sensi dell’art. 4, comma 5, del d. Igs. 2 febbraio 2006, n. 42, secondo i criteri propri della gestione privatizzata e non secondo i criteri di cui ai commi 3 e 4 dello stesso art. 4.

Il richiamo con il primo motivo di ricorso alla disciplina dell’art. 4, comma 5, non è quindi errato, ma esso è insufficiente a dirimere quanto oggetto di causa.

La questione da risolvere è infatti se, sull’importo calcolato nei termini di cui sopra, si debbano applicare i coefficienti di riduzione previsti dal Regolamento, per i casi in cui l’accesso alla pensione di anzianità avvenga con un’anzianità, presso la Cassa, inferiore ai 40 anni.

In proposito, l’art. 3 del Regolamento, se riconnette i coefficienti di abbattimento ai criteri di accesso alla pensione di anzianità (nel senso che, ove non sia raggiunta l’anzianità di quarant’anni, la pensione soggiace a riduzioni in ragione dell’anzianità effettiva e dell’età), prevede poi tali abbattimenti solo in relazione ad anzianità comprese tra 35 e 39 anni, il che è ovvia conseguenza del fatto che, per ottenere la pensione di anzianità, sempre secondo il predetto Regolamento – art. 3.1 lettera b – sono necessari almeno trentacinque anni di iscrizione.

In presenza di totalizzazione, l’effetto è però quello per cui a chi vi abbia accesso è consentito di “cumulare” i diversi periodi assicurativi non coincidenti “al fine del conseguimento di un’unica pensione” (art. 1 d. Igs. 42/2006 cit.), salvo poi calcolarsi secondo un sistema proporzionale (prò rata) le quote che ciascuna gestione deve pagare.

Ciò significa che, rispetto ai singoli ordinamenti pensionistici, le anzianità contributive sono da considerare pari alla somma di tutti i contributi totalizzati e pertanto l’accesso a pensione di anzianità, anche con riferimento alla Cassa, va qui inteso come derivante, per effetto della totalizzazione, dalla sussistenza di quarant’anni di contribuzione.

D’altra parte, il sistema come sopra ricostruito appare consonante rispetto alla ratio degli istituti e delle regole che vengono a coesistere.

Infatti, se la totalizzazione impone di considerare, per l’accesso alla pensione di anzianità, l’anzianità contributiva quale deriva dall’insieme dei periodi che la legge consente di cumulare e se lo scopo del Regolamento della Cassa è evidentemente quello di disincentivare l’accesso a pensione di anzianità per chi abbia meno di quarant’anni di contributi, è palese che le concomitanti esigenze convergono in un sistema unitario allorquando, per effetto del cumulo, l’anzianità da considerare sia appunto quella, complessiva e maggiore, derivante dalla totalizzazione.

Del resto, poiché il diritto a pensione, per effetto della totalizzazione, è indiscusso, costituirebbe una evidente forzatura, come giustamente osserva la Corte territoriale, che il trattamento da applicare, per il caso in cui l’anzianità presso la Cassa fosse inferiore ai trentacinque anni, venisse ricavato dall ‘art. 3.1 lett. b) del Regolamento, applicando il coefficiente di abbattimento previsto per la (superiore) anzianità di trentacinque anni.

Deve invece ritenersi che ad operare sia il requisito di accesso di cui all’art. 3.1 lettera a) del Regolamento.

E’ vero che tale ipotesi fa riferimento alla maturazione di quarantanni di contribuzione “alla Cassa”, ma, in presenza di totalizzazione, essa va estensivamente interpretata come inerente la contribuzione complessiva, in coerenza con il sistema quale è stato sopra ricostruito e proprio perché effetto della totalizzazione è quello di far sì che, rispetto all’accesso a pensione, siano efficaci, per i singoli ordinamenti, i contributi maturati anche presso altre gestioni.

La pensione del M. è quindi dovuta senza l’applicazione degli abbattimenti, come lo sono le pensioni che maturano, nel sistema della Cassa, per il conseguimento dei quarantanni di anzianità contributiva.

7. La reiezione del ricorso assorbe la questione, sollevata dall’I.N.P.S,. rispetto all’inammissibilità della sua evocazione in sede di legittimità rispetto a profili che non attengono alla liquidazione della quota di pensione a suo carico.

8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere alle controparti le spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore del M., in euro 4.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi e, in favore dell’I.N.P.S., in euro 2.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, in misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.