CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 giugno 2020, n. 11535
Licenziamento disciplinare – Svolgimento di attività incompatibile con lo stato di malattia – Accertamenti investigativi
Fatti di causa
Con sentenza del 14 giugno 2018, la Corte d’Appello di Torino confermava la decisione resa dal Tribunale di Novara e rigettava la domanda proposta da G.I. nei confronti della B. G. e R. Fratelli S.p.A. avente ad oggetto la declaratoria dell’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato al dipendente per aver l’impresa datrice, ricorrendo ad un’agenzia investigativa, accertato a carico del primo lo svolgimento di attività incompatibile con lo stato di malattia addotto a giustificazione dell’assenza dal lavoro.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto legittimi gli accertamenti investigativi, corrette le valutazioni del primo giudice circa la valenza confessoria attribuita alle giustificazioni rese dal dipendente anche in relazione alle operazioni di carico manuale della legna, la rilevanza in relazione al thema decidendum degli ulteriori comportamenti addebitati, l’inattendibilità dei testi indotti ed, infine, provato anche in via presuntiva il compimento di sforzi non consentiti dalle prescrizioni mediche.
Per la cassazione di tale decisione ricorre l’I., affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, la Società.
La Società controricorrente ha poi presentato memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 2110, 2119, 2697 e 2729 c.c. nonché la nullità dell’impugnata sentenza ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., lamenta il carattere apparente della motivazione dalla Corte territoriale posta a fondamento del proprio pronunciamento, fondata su un dato non emerso in sede istruttoria per cui il ricorrente avrebbe dovuto astenersi dal compiere attività che potevano comportare un sia pur minimo impegno fisico o anche solo apprezzabili sollecitazioni agli arti superiori e comunque l’incongruità logica e giuridica della valutazione delle risultanze istruttorie operata dalla Corte medesima.
Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 437 c.p.c., 1175, 1375, 2106, 2110, 2119 c.c. ed ancora la nullità dell’impugnata sentenza ai sensi dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., il ricorrente lamenta il carattere apparente della motivazione dell’impugnata sentenza in base alla quale la Corte territoriale approderebbe alla conclusione del compimento da parte del ricorrente di condotte idonee a porre in pericolo e a ritardare potenzialmente la guarigione prescindendo da un accertamento tecnico del dato stante la mancata ammissione della CTU.
Entrambi i motivi, i quali, in quanto strettamente connessi, possono essere qui trattati congiuntamente, devono ritenersi inammissibili, atteso che il convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine all’idoneità delle condotte tenute dal ricorrente a porre in pericolo e a ritardare potenzialmente la guarigione in quanto lo stesso era tenuto ad astenersi dal compiere attività che potevano comportare un sia pur minimo impegno fisico o anche solo apprezzabili sollecitazioni agli arti superiori si rivela sostenuto da argomentazioni ineccepibili sul piano logico e giuridico che le censure mosse non valgono ad inficiare cosicché rispetto a queste le prime risultano tali da resistervi si deve infatti osservare come, da un lato, il valore confessorio attribuito dalla Corte territoriale alle giustificazioni del ricorrente e qui non disconosciuto rilevino al fine di fondare, anche in via presuntiva, il giudizio sulla veridicità delle condotte addebitate e sull’inattendibilità dei testi e come, dall’altro, la corretta considerazione per cui la censurabilità delle condotte non dipende dalla concreta e accertata incidenza ex post delle attività del lavoratore sul processo di guarigione bensì sulla loro potenziale idoneità ad interferire con tale processo valgano ad avvalorare la decisione di mancata ammissione della richiesta CTU e la conclusione, non certo smentita dal rilievo del ricorrente per cui il periodo di rigorosa osservanza del riposo doveva ritenersi, alla luce del certificato medico scaduto, il giorno precedente a quello in cui si era accertato fossero state tenute quelle condotte, per cui il dovere di correttezza e buona fede doveva indurre il ricorrente ad astenersi da attività, come il carico e scarico della legna o il trasporto di taniche o anche la guida di un trattore, potenzialmente idonee a pregiudicare il recupero.
Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.500,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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