CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 maggio 2019, n. 13014
Licenziamento – Soppressione della posizione di direttore generale – Riorganizzazione aziendale – Nesso causale tra la modifica organizzativa per giustificare il licenziamento e le mansioni assegnate al lavoratore da diversi anni – Accertamento
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Catanzaro, pronunciando sulle opposte impugnazioni, ha rigettato il reclamo principale proposto dall’Associazione Interregionale V.I. e, in accoglimento del reclamo incidentale proposto da T.A., in parziale riforma della gravata sentenza, ha dichiarato la nullità del licenziamento intimato alla T. e condannato l’Associazione convenuta a risarcimento dei danni in misura pari alla retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento a quella della reintegrazione, oltre accessori.
2. Il Giudice del lavoro del Tribunale di Catanzaro, pronunciandosi in senso difforme dall’ordinanza emessa in esito alla fase sommaria ex art. 1, comma 49 legge n. 92 del 2012, aveva accolto parzialmente l’impugnativa del licenziamento intimato in data 11 giugno 2015 per giustificato motivo oggettivo.
Escluso il carattere ritorsivo del recesso, il giudice di primo grado aveva giudicato illegittimo il licenziamento per manifesta insussistenza del fatto addotto a suo fondamento, sulla base dei seguenti rilievi: sin dal 2003 l’Associazione aveva soppresso la posizione di direttore generale che la ricorrente ricopriva presso la sede di Marcellinara con funzioni di organizzazione del personale; dal settembre 2010, a seguito dell’annullamento di un precedente licenziamento disciplinare, la T. era stata reintegrata in servizio con mansioni amministrative, coerenti con l’intervenuta riorganizzazione aziendale; pertanto, la ricorrente aveva diritto a svolgere le mansioni di impiegata amministrativa che aveva espletato sino al 2009; il giustificato motivo del licenziamento intimato nel 2015 doveva essere verificato con riguardo a tali mansioni impiegatizie e non alla posizione direttiva che l’Azienda aveva soppresso molti anni prima; la ricorrente aveva diritto alla tutela di cui al quarto comma dell’art. 18 legge 300 del 1970, come novellato dalla legge n. 92 del 2012 e così alla reintegra nel posto di lavoro quale impiegata amministrativa con funzioni di coordinamento da ultimo svolte, nonché a titolo risarcitorio alla retribuzione maturata dalla data del licenziamento a quella della reintegrazione, fino a un massimo di 12 mensilità, oltre al versamento dei contributi previdenziali e alla rifusione delle spese di lite.
3. La Corte territoriale ha respinto le censure mosse dalla reclamante principale avverso tale sentenza, osservando, quanto al primo motivo, con cui era stata reiterata l’eccezione di inammissibilità del ricorso in opposizione perché depositato in forma cartacea e non telematica, che, in assenza di una sanzione espressa di nullità, si è in presenza di una mera irregolarità, che non impedisce il raggiungimento dello scopo dell’atto.
3.1. Quanto alla censura avente ad oggetto il giudizio di manifesta insussistenza del fatto posto a fondamento licenziamento impugnato, la Corte di appello ha ribadito che non vi era nesso causale tra la modifica organizzativa addotta dall’azienda per giustificare il licenziamento e le mansioni che aveva assegnato alla ricorrente ormai da diversi anni: se il posto di lavoro assegnato in azienda non era quello di direttore generale, non poteva giustificarsi il licenziamento del 2015 intimato per la prospettata intervenuta soppressione di quella stessa posizione organizzativa, a motivo della esternalizzazione delle mansioni di amministrazione e gestione del personale; il licenziamento era stato motivato con riguardo alle difficoltà economiche dell’azienda, alle quali si era scelto di far fronte licenziando la reclamata proprio a causa della inservibilità della sua figura professionale di direttore, ossia di una figura che la stessa non rivestiva formalmente, né sostanzialmente già da anni.
3.2. La Corte territoriale ha invece accolto il reclamo incidentale cui era stata riproposta la domanda di tutela di cui al primo comma dell’art. 18 legge n. 300 del 1970 per avere il licenziamento carattere ritorsivo.
Premesso che solo la giustificazione del recesso vanifica l’allegazione del motivo illecito, facendo venir meno il requisito dell’esclusività di cui all’art. 1345 cod. civ., la Corte di appello, a fondamento del decisum, ha osservato che il succedersi cronologico delle condotte datoriali rivelava che l’esclusiva finalità perseguita era quella di estromettere la ricorrente dal contesto aziendale e in tal senso deponevano: l’anomala scelta di sospenderla dal servizio, pur continuando a retribuirla dal 2009 al 2010; l’illegittimo trasferimento disposto del 2010, che giustificò il rifiuto della ricorrente di rendere la prestazione lavorativa sino alla definizione vittoriosa della conseguente controversia giudiziale; l’unilaterale collocazione in ferie sino al 2015; l’incontestata circostanza che sin dal 2011 la ricorrente non era stata retribuita; infine, il licenziamento oggetto di impugnazione.
3.3. Ha dunque osservato che l’insieme degli elementi lasciava intendere che la strategia aziendale fosse quella di punire la lavoratrice per le iniziative giudiziali che la stessa aveva intrapreso vittoriosamente contro azienda.
4. Per la cassazione di tale sentenza l’Associazione Interregionale V.I. propone ricorso affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria ex art. 378 cod. proc. civ.. Resiste con controricorso la T..
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 16 bis, comma 1, d.l. n. 179 del 2012 per avere la Corte territoriale richiamato un orientamento giurisprudenziale che riguarda il deposito telematico di un’opposizione ex art. 1, comma 58, legge n. 92 del 2012 effettuato anteriormente alla data di entrata in vigore del predetto art. 16-bis, il quale impone l’obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti e che riguarda i procedimenti di nuova instaurazione a partire dal 30 giugno 2014.
2. Con il secondo motivo l’Associazione ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., censurando la sentenza nella parte in cui ha confermato l’illegittimità del licenziamento per manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo. Denuncia in particolare la mancata considerazione di circostanze ritenute dirimenti: la T. aveva rivendicato, sin dal ricorso introduttivo e a più riprese, la posizione dirigenziale (F2) ricoperta prima della riorganizzazione aziendale, con la quale tale posizione era stata soppressa.
3. Con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., per avere i giudici di merito riconosciuto la reintegra in una posizione lavorativa di livello impiegatizio che la ricorrente non aveva mai rivendicato, avendo costruito le proprie tesi difensive sulla rivendicazione di una posizione dirigenziale. La Corte d’appello era così incorsa nel vizio di ultrapetizione per avere attribuito un bene non richiesto.
4. Il ricorso è infondato.
5. Con la prima censura parte ricorrente sostiene la violazione dell’art. 16-bis, co. 1, d. l. 179/2012, conv., con mod. in l. 221/2012 per avere la Corte di appello respinto il motivo di gravame con cui si era censurata la validità del ricorso in opposizione ex art. 1, co. 51, L. 92/2012 redatto in forma cartacea.
L’art. 16-bis, co. 1, d. l. 179/2012, conv., con mod. in L. 221/2012, stabilisce che «a decorrere dal 30 giugno 2014 nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale, il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche».
5.2. La questione posta dal primo motivo è quella di stabilire se l’atto di impulso della fase dell’opposizione sia da considerare proposto da una “parte precedentemente costituita”, poiché l’art. 16-bis, co. 1, richiede che in tal caso gli atti processuali e i documenti di parte siano depositati “esclusivamente con modalità telematiche”.
5.3. Ritiene il Collegio che, in considerazione dei dati testuali contenuti nell’art. 1, co. 51 e 53, L. 92/2012, il passaggio alla seconda fase richieda una specifica costituzione in giudizio. Difatti, il ricorso in opposizione deve contenere i requisiti di cui all’art. 414 cod. proc. civ. e deve essere depositato dinanzi al Tribunale (art. 51, primo comma); le modalità di costituzione dell’opposto sono delineate a norma e con le decadenze previste dall’art. 416 cod. proc. civ. (art. 53, primo comma). Si tratta di adempimenti che ricalcano quelli della fase introduttiva del giudizio di primo grado nel rito del lavoro. Pertanto, nel c.d. rito Fornero, il giudizio di primo grado, pur articolandosi in due fasi procedimentali, richiede per l’introduzione della seconda fase un’autonoma costituzione in giudizio delle parti. Alla stregua dei tali considerazioni, non ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’art. 16-bis, co. 1, dl. 179/2012 cit..
5.4. Deve aggiungersi che nelle more del deposito della presente sentenza è stata pubblicata la sentenza n. 2930 del 2019 con cui questa Corte, in altra analoga fattispecie decisa all’udienza del 23 ottobre 2018, è pervenuta alla medesima soluzione interpretativa.
6. Il secondo motivo difetta di specificità, dovendosi distinguere le richieste formulate in sede giudiziale dalla lavoratrice rispetto alla valutazione della legittimità o meno del licenziamento alla stregua della motivazione posta a suo fondamento.
L’eventuale incongruità della richiesta di reintegra nelle mansioni dirigenziali (richiesta che infatti i giudici di merito di primo e di secondo grado non hanno accolto) non rifluisce sulla valutazione di illegittimità del licenziamento, che la Corte territoriale ha valutato alla stregua della manifesta insussistenza del giustificato motivo oggettivo.
6.1. Il motivo si prospetta, pertanto, inammissibile ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ., in quanto non pertinente alla motivazione della sentenza impugnata e del tutto avulso dall’iter logico sotteso a tale decisione.
7. Il terzo motivo è palesemente infondato, in quanto l’ordine di reintegra emesso dal giudice ai sensi dell’art. 18 legge 300 del 1970 non è vincolato alle richieste formulate dalla parte, ben potendo il giudice di merito, alla stregua della ricostruzione dell’intera vicenda giudiziale, ritenere che il posto occupato dalla lavoratrice al tempo di licenziamento corrisponda ad una posizione diversa da quella prospettata e rivendicata.
8. Per completezza, va rilevato che non vi sono censure che riguardino l’ordine argomentativo con cui la Corte territoriale ha ritenuto il licenziamento ritorsivo, accogliendo in parte qua il reclamo incidentale della T..
9. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55
10. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dell’Associazione ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità della stessa.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma1-bis, dello stesso articolo 13.
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