CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 marzo 2018, n. 6429
Rendita Inail – Esposizione all’amianto – Eziologia professionale della malattia
Fatti di causa
La Corte d’appello di Messina, in riforma della sentenza del Tribunale, ha rigettato la domanda di G.C. volta ad ottenere nei confronti dell’Inail la rendita per il carcinoma polmonare conseguente all’espletamento dell’attività lavorativa presso i C.N. Cassara e poi presso la ditta S. Cantieri dal 1976 al 2002 con esposizione all’amianto.
Secondo la Corte territoriale il CTU, nominato in appello, era incorso nel medesimo errore in cui era incorso il CTU di primo grado, di ritenere la sussistenza dell’eziologia professionale della malattia considerando provato il presupposto circa l’effettiva esposizione all’amianto in modo apprezzabile durante l’arco dell’attività lavorativa, presupposto che invece nel giudizio non aveva trovato adeguato riscontro probatorio. La Corte ha affermato, infatti, che tale prova non poteva ritenersi raggiunta dall’atto di sindacato ispettivo condotto presso “la zona falcata del porto di Messina comprendente anche la soc S.C.N. presso cui il C. aveva svolto attività da tale atto nulla emergeva circa l’esposizione a rischio amianto.
Avverso la sentenza ricorre il C. con un motivo. Resiste l’Inail. A seguito dell’avvenuta cancellazione dell’avv. N.M., difensore del C., la causa è stata rinviata all’udienza odierna per consentire alla parte ricorrente di nominare un nuovo difensore.
Ragioni della decisione
Con un unico motivo il ricorrente denuncia violazione di norme e vizio di motivazione, Deduce che la Corte, dopo aver disposto una nuova CTU che aveva affermato, come quella di primo grado, la sussistenza di una patologia di origine professionale, peraltro tabellata, ha concluso in modo contraddittorio escludendo, in quanto non provata, l’esposizione al rischio amianto.
Osserva che entrambi gli elaborati tecnici avevano accertato il carcinoma polmonare in soggetto esposto a sostanze potenzialmente cancerogene, quale amianto e idrocarburi, e che a fronte di tali valutazioni peritali la Corte aveva in modo superficiale concluso in senso difforme, senza neppure procedere alla prova testimoniale richiesta, né provvedere ad ordinare all’Inail la produzione in giudizio di tutta la documentazione relativa ai C.N. spa di Messina.
Il ricorso va accolto.
Il C. ha affermato che aveva prestato attività lavorativa dall’1/1/1958 presso i C.N. Cassaro di Messina e, successivamente, alle dipendenze della SMEB C.N. spa svolgendo le mansioni di capo officina sia all’interno delle officine della società, sia a bordo delle navi a stretto contatto con copiosa quantità di amianto.
La Corte territoriale si è dissociata dalle conclusioni accolte dai consulenti nominati, sia in primo grado sia in appello, che avevano riconosciuto tale esposizione, a suo dire in modo del tutto superficiale e contraddittorio pervenendo a riformare la sentenza del Tribunale che aveva, invece, riconosciuto fondata la domanda del C. volta ad ottenere la rendita vitalizia per il carcinoma polmonare da cui era affetto.
La Corte territoriale ha affermato che la CTU aveva ritenuto provato un presupposto che nel corso del giudizio non aveva trovato alcun riscontro probatorio, ossia l’effettiva esposizione a rischio amianto in modo apprezzabile, ed insiste nel rilevare la mancata prova dell’effettiva esposizione rilevante al rischio amianto.
La Corte, tuttavia, non confuta in modo adeguato le conclusioni assunte dai consulenti d’ufficio, sia davanti al Tribunale sia in Corte d’appello. Così come riporta il ricorrente, emerge, infatti, che il CTU in Tribunale aveva affermato che il ricorrente aveva svolto l’attività lavorativa per decenni “in ambienti prevalentemente al chiuso, poco areati e senza alcuna protezione, ha dovuto manipolare l’amianto, usato in fonderia per la tenuta del metallo fuso, con la conseguenza di un’innegabile esposizione al rischio specifico di malattia professionale da amianto Anche il CTU in grado di appello ha affermato l’esistenza del nesso causale tra l’attività lavorativa svolta dal C. e la malattia neoplastica da cui era affetto” vista l’attività lavorativa svolta … e la lunga esposizione a sostanze cancerogene (amianto, idrocarburi policiclici).
La Corte, inoltre, pur dissociandosi dalle conclusioni dei due tecnici, non ha ritenuto di svolgere la prova testimoniale richiesta o provvedere all’acquisizione presso l’Inail del materiale relativo ai C.N. SMEB attestante, secondo parte ricorrente, la presenza di amianto.
Va, altresì, rilevato che la Corte, da un lato, afferma che manca la prova dell’esposizione all’amianto. Dall’altro lato la Corte sembra sottolineare, invece, la mancanza di un’esposizione “apprezzabile” all’amianto. Con riferimento a tale ultima considerazione della Corte territoriale va sottolineato che la sentenza impugnata non sembra neppure conformarsi ai principi affermati da questa Corte di legittimità (v., da ultimo Cass. 24 maggio 2017, n. 13024), non considerando che nelle malattie asbesto-correlate il fattore di rischio è previsto in tabella (dal D.P.R. n. 336 del 1994 e segg.; ed oggi alla voce n. 57 della tabella di cui al decreto 9 aprile 2008 del Ministero del lavoro e della previdenza sociale) in termini ampi (“Lavorazioni che espongono all’azione delle fibre di asbesto”), senza indicazione di soglie quantitative, qualitative e temporali. Anche sotto profilo la sentenza è censurabile.
La decisione impugnata deve, pertanto, essere cassata affidandosi al giudice di rinvio il riesame della fattispecie al fine di valutare l’effettività dell’esposizione del C. all’amianto nel corso dell’attività lavorativa/accertando la presenza di amianto nei C.N. ove il C. aveva operato, come affermato dai CTU, I’ espletamento delle mansioni di capo officina , l’estrema volatilità e diffusività delle minuscole fibre in discorso, la rilevanza dell’esposizione ambientale secondo l’ordinamento e la mancanza di limiti di soglia ai fini della tutela assicurativa in discorso.
Il Giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Catania anche per le spese del presente giudizio.
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