CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 marzo 2021, n. 7218
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Contrazione del volume di vendita – Riduzione di personale – Assunzione di altro lavoratore a pochi giorni di distanza dal licenziamento – Violazione dell’obbligo di repechage
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 2.3.2018, respingeva il gravame proposto da M.L. avverso la decisione del Tribunale di Sondrio che aveva rigettato la domanda del predetto, intesa all’accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimatogli, con lettera del 7.5.2013, dalla s.n.c. C. L.E. e M. per addotto giustificato motivo oggettivo, ed alla applicazione della tutela reale o, in subordine, alla condanna della società al risarcimento del danno equivalente cagionatogli.
2. La Corte distrettuale, per quel che rileva nella presente sede, osservava che la valutazione effettuata dal primo Giudice in ordine alla sussistenza del giustificato motivo oggettivo era da condividere, atteso che la contrazione del volume di vendita era stata determinata dalla chiusura del negozio di Sondrio in via C. 9, che aveva reso necessaria la riduzione del personale, e che non era significativa la circostanza che il L. fosse specificamente addetto al laboratorio di produzione dei generi alimentari commercializzati dalla C. s.n.c.
3. Aggiungeva che non poteva attribuirsi rilevanza in senso contrario all’assunzione di altro lavoratore, L.R., avvenuta a pochi giorni di distanza dal licenziamento dell’appellante ed addetto in via assolutamente prevalente a mansioni di pasticciere, differenti da quelle espletate dal L. durante il rapporto di lavoro, in seguito alle dimissioni del precedente pasticciere. Evidenziava che la comprovata adibizione del R. a tali mansioni per la maggior parte del proprio orario lavorativo rendeva irrilevante la qualifica di panificatore attribuita allo stesso all’atto della sua assunzione, dovendo l’esame circa la sussistenza del g.m.o. essere condotto con riguardo all’aspetto concreto e sostanziale dell’organizzazione aziendale, che superava il dato meramente formale risultante dalla Comunicazione al Centro per l’Impiego riferito all’inquadramento contrattuale.
4. Rilevava che tale esame era stato compiuto dal Tribunale sulla base di una corretta valutazione delle risultanze istruttorie ed osservava che l’assunzione del R. non era incompatibile con la motivazione addotta dalla società a giustificazione del licenziamento del L., né con l’obbligo di repechage gravante sulla datrice di lavoro, in quanto il nuovo rapporto di lavoro aveva riguardato mansioni differenti ed una posizione lavorativa rimasta scoperta a seguito di dimissioni.
5. Ribadiva che era evidente come l’apertura e chiusura di un punto vendita si ripercuotesse sui volumi della produzione realizzata nel laboratorio e sul conseguente fabbisogno di personale. Infine, andava evidenziato che correttamente era stata rilevata la tardività della deduzione concernente la violazione dell’obbligo di repechage, non indicata nel ricorso di primo grado fra i motivi di impugnazione del licenziamento.
6. Di tale decisione ha domandato la cassazione il L., affidando l’impugnazione a quattro motivi.
7. La società è rimasta intimata.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, il L. denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., nonché violazione dell’obbligo del repechage, rilevando come il riferimento legislativo alla manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento vada inteso con riferimento ad entrambi i presupposti di legittimità della fattispecie e che quindi la Corte distrettuale abbia errato nel ritenere che la violazione dell’obbligo di repechage fosse domanda nuova, posto che sul datore incombe l’onere di allegare e dimostrare il fatto che rende legittimo l’esercizio del potere di recesso, ossia l’effettiva sussistenza della ragione inerente l’attività produttiva e l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle in precedenza svolte.
1.1. Osserva che la prova doveva fondarsi su concrete offerte di ricollocazione lavorativa e che non era stata fornita dimostrazione alcuna al riguardo, non essendo stato richiesto ad esso ricorrente di ricoprire un altro ruolo all’interno dell’azienda, eventualmente anche quello affidato al neo assunto R.
1.2. Assume che la società avrebbe dovuto dimostrare di non potere ragionevolmente, senza rilevanti modifiche organizzative comportanti aumenti di organico o strutturali, utilizzare il dipendente in mansioni equivalenti o, in mancanza, anche deteriori e sostiene che, prima di assumere il R., la società avrebbe dovuto sondare attraverso un interpello la sua disponibilità.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta erronea valutazione dei fatti sottoposti a giustizia, difetto di motivazione o motivazione erronea circa la sussistenza del g.m.o. del licenziamento datoriale, sul presupposto della avvenuta assunzione, in concomitanza con il licenziamento, di altro lavoratore da adibire a mansioni equivalenti a quelle svolte dal L..
2.1. Adduce che il licenziamento sia fondato su motivazione meramente apparente di presunta riduzione del personale e che il recesso sia da ritenere, oltre che privo di causa, anche discriminatorio, per essere avvenuto nello stesso periodo in cui era stato dato corso anche al licenziamento della moglie di esso ricorrente.
3. Il terzo motivo ascrive alla decisione impugnata motivazione contraddittoria, non coerente valutazione dei fatti sottoposti a giustizia e difetto di motivazione in ordine al ritenuto collegamento, ai fini della riduzione di personale, della chiusura del punto vendita di via C. con la posizione di lavoro del L. che era quella di Ardenno, via C. (..), come era dato evincere dal contratto di assunzione del predetto. Si assume l’illogicità della motivazione laddove la stessa è palesemente contraddetta dall’assunzione del panettiere R.L. avvenuta tre giorni prima del licenziamento del L.
3.1. Si evidenzia come il calo di produzione di pane non rendeva evidente la ragionevolezza della motivazione in ordine alla assunzione di nuovo panettiere.
4. Con il quarto motivo, ci si duole della violazione o falsa applicazione delle norme in materia di spese processuali ed in tema di soccombenza, non potendo asseritamente le molteplici ragioni di contestazione del licenziamento condurre alla condanna del L.
5. Il primo motivo va disatteso.
5.1. In base ai principi reiteratamente affermati da questa Corte, che questo Collegio intende ribadire in questa sede, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il lavoratore ha l’onere di dimostrare il fatto costitutivo dell’esistenza del rapporto di lavoro a tempo indeterminato così risolto, nonché di allegare l’illegittimo rifiuto del datore dì continuare a farlo lavorare in assenza di un giustificato motivo, mentre incombono sul datore di lavoro gli oneri di allegazione e di prova dell’esistenza del giustificato motivo oggettivo, che include anche l’impossibilità del c.d. repéchage, ossia dell’inesistenza di altri posti di lavoro in cui utilmente ricollocare il lavoratore (Cass. n. 12101 del 2016, v. pure Cass. 5592 del 2016; conf. Cass. 160 del 2017). Il duplice onere va dunque riferito sia all’allegazione e dimostrazione del fatto che rende legittimo l’esercizio del potere di recesso, ossia l’effettiva sussistenza di una ragione inerente l’attività produttiva, l’organizzazione o il funzionamento dell’azienda, sia all’allegazione prova dell’impossibilità di una diversa utilizzazione del lavoratore all’interno dell’azienda (cfr. in tali termini, Cass. 1.10.2019 n. 24491).
5.2. E’ stato precisato che grava sul datore di lavoro, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, per la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore, l’onere di provare in giudizio che al momento del licenziamento non sussisteva alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa per l’espletamento di mansioni equivalenti, non venendo tuttavia in rilievo tutte le mansioni inferiori dell’organigramma aziendale, ma solo quelle che siano compatibili con le competenze professionali del lavoratore, ovvero quelle che siano state effettivamente già svolte, contestualmente o in precedenza, senza che sia previsto un obbligo del datore di lavoro di fornire un’ulteriore o diversa formazione del prestatore per la salvaguardia del posto di lavoro (cfr., da ultimo, Cass. 3.12.2019 n. 31520).
5.3. La sentenza ha dato conto della prova fornita da parte datoriale in ordine al nesso causale tra motivazione economica e riduzione dell’organico, con specifico riferimento alla posizione individuata in concreto in quella occupata in azienda dal L., essendo stata dimostrata la sensibile contrazione del volume d’affari in relazione alla chiusura di un punto vendita di ritenuta rilevanza ai fini della commercializzazione dei prodotti realizzati nei laboratori di panificazione ed, in merito al c.d. repéchage, la sentenza ha applicato correttamente i relativi principi, rilevando come l’assunzione del R., adibito a mansioni di pasticciere – su cui si appunta la critica del ricorrente – fosse avvenuta per colmare il vuoto di organico in relazione alle relative mansioni, determinatosi per le dimissioni, nel mese di ottobre del 2012, di lavoratore a ciò destinato, al di là del dato formale della qualifica di panificatore del nuovo pasticciere comunicata al Centro per l’impiego.
6. Il rilievo formulato nel secondo motivo, attinente al profilo discriminatorio, è nuovo e, per il resto, il motivo è inammissibilmente dedotto ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., non denunziabile ratione temporis in ipotesi di doppia conforme, ai sensi di quanto disposto dall’art. 348 ter, comma 5, c.p.c., ripercorrendo valutazioni di merito insindacabili in questa sede.
7. In merito alla censura avanzata con il terzo motivo, è sufficiente osservare che una adeguata motivazione è stata fornita, come sopra evidenziato, e la doglianza, che in ultima analisi adombra un’ipotesi di motivazione apparente, è inidonea a scalfire l’iter giuridico argomentativo seguito dalla Corte distrettuale, non contrastato a mezzo di rilievi prospettabili in sede di legittimità.
7.1. Il vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., riformulato dall’art. 54 del D.L. 22.6.2012 n. 83 conv. in legge 7.8.2012 n. 134, è denunciabile in cassazione solo per l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente alla esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella motivazione “apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di motivazione (Cass. 7.4.2014 n. 8053; Cass. 10.2.2015 n. 2498): le predette ipotesi non sono ravvisabili nella gravata pronuncia.
7.2 In realtà, il motivo scrutinato è essenzialmente inteso alla sollecitazione di una rivisitazione del merito della vicenda e alla contestazione della valutazione probatoria operata dalla Corte territoriale, sostanziante il suo accertamento in fatto, di esclusiva spettanza del giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 27197 del 2011; Cass. n. 6288 del 2011). E ciò per la corretta ed esauriente argomentazione, senza alcun vizio logico nel ragionamento decisorio, delle ragioni adottate dalla Corte territoriale che ha ritenuto sussistente il presupposto, posto a base dell’intimato licenziamento per giustificato motivo oggettivo, costituito dalla riduzione di personale a seguito della chiusura dell’esercizio commerciale in Sondrio (ove era addetto il L., come sottolineato dal primo giudice con congrua motivazione) e dalla impossibilità di collocare altrove il lavoratore ricorrente, specificando al riguardo l’irrilevanza dell’ assunzione di altro personale.
8. Il quarto motivo è palesemente infondato, non ravvisandosi alcuna violazione del principio che collega l’onere delle spese alla soccombenza. Il sindacato di legittimità trova, invero, ingresso nella sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia violato il principio della soccombenza ponendo le spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa, e ciò vale sia nel caso in cui la controversia venga decisa in ognuno dei suoi aspetti, processuali e di merito, sia nel caso in cui il giudice accerti e dichiari la cessazione della materia del contendere e sia, perciò, chiamato a decidere sul governo delle spese alla stregua del principio della cosiddetta soccombenza virtuale (cfr. Cass. 31.8.2020 n. 1828).
9. Sulla base delle svolte considerazioni, il ricorso va complessivamente respinto.
10. Nulla va statuito in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità, essendo la società rimasta intimata.
11. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.13, comma 1bis, del citato D.P.R., ove dovuto.
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