CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 novembre 2021, n. 34399

Tributi – Condoni – Definizione agevolata delle controversie tributarie – Art. 6 del D.L. n. 119 del 2018 – Perfezionamento – Estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere

Fatti di causa

Nella controversia originata dall’impugnazione da parte della L.S. s.a.s. di A.B. e dai soci L.S., V.S., C.S. e C.S. dell’avviso di accertamento, emesso ai sensi dell’art. 39, comma primo, lett. d) del D.P.R. n. 600/1973 e relativo a IVA e IRAP dell’annualità 2004, a carico delle Società, e dei conseguenti avvisi, relativi a IRPEF, a carico dei predetti soci, nonché delle cartelle di pagamento emesse sulla scorta dei predetti accertamenti, la Società e i soci, come sopra indicati, ricorrono, su quattro motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso) e di E.S. S.p.a. (che non ha svolto attività difensiva) avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Campania, accogliendo l’appello formulato dall’Agenzia dell’Entrate avverso la prima decisione (favorevole ai contribuenti), ha rigettato i ricorsi introduttivi. In particolare, il Giudice di appello, citata a conforto giurisprudenza di questa Corte, ha ritenuto che gli atti impositivi fossero legittimi in quanto fondati su dati che evidenziavano una anomalia gestionale, a fronte della quale i contribuenti non avevano fornito convincenti elementi giustificativi, neppure per dubitare della correttezza della percentuale di ricarico applicata, inferiore di 20 punti rispetto a quella prevista per il settore.

Il P.G. ha depositato requisitoria scritta chiedendo il rigetto del ricorso ed i ricorrenti, fatta comunque salva l’istanza di rinvio della trattazione, memoria ex art.378 cod.proc.civ.

Nella diversa controversia promossa da altro socio, A.S., avverso l’avviso di accertamento, relativo a IRPEF della stesso anno di imposta 2004, conseguente all’accertamento nei confronti della società in accomandita L.S., e della successiva cartella di pagamento ricorre, invece, su due motivi, l’Agenzia delle entrate nei confronti del contribuente (che non resiste, avendo depositato in atti solo procura rilasciata al difensore) avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con cui la C.T.R. della Campania aveva determinato il reddito da partecipazione, in contestazione, in percentuale di quello societario, corrispondente alla quota parte di partecipazione in capo allo stesso contribuente. La sesta sezione civile di questa Corte, con ordinanza resa il 6.11.2014, disponeva il rinvio a nuovo ruolo per la trattazione congiunta con il ricorso n.9537/2014 (avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento a carico della Società e degli altri soci).

Con istanza del 19 maggio 2020, la ricorrente, premesso che la Direzione Provinciale di Caserta aveva comunicato che il contribuente aveva presentato domanda di definizione della controversia ai sensi dell’art. 6 del d.l. n.119 del 2018, provvedendo al pagamento di quanto previsto per il perfezionamento, ha chiesto a questa Corte di dichiarare l’estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere con compensazione delle spese ai sensi dell’art.46, comma 3, d.lgs. n.546 del 1992.

Il P.G. ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi cessata la materia del contendere.

Ragioni della decisione

1. Preliminarmente il Collegio, in ragione del principio dell’unitarietà dell’accertamento dei redditi in capo alle società di persone e ai soci nonché nel rispetto del litisconsorzio necessario tra società e soci, riunisce al ricorso iscritto al n.r.g.9537/2014 (concernente l’accertamento a carico della Società e di alcuni soci) quello portante il n.r.g. 21597/2013 (concernente l’accertamento a carico del singolo socio A.S.).

2. Sempre preliminarmente, il Collegio ritiene di disattendere, siccome generica e non idoneamente documentata, l’istanza di rinvio della trattazione del ricorso iscritto al n.r.g. 9537/2014.

3. Va, poi, dato atto che, con riferimento al ricorso iscritto al n.r.g.21597/2013, l’Agenzia delle entrate, ricorrente, con nota del 19 maggio 2020 -premesso che la Direzione provinciale competente aveva comunicato il perfezionamento, con il pagamento integrale di quanto dovuto, della definizione della controversia, ai sensi dell’art.6 del d.l. n.119 del 2018, da parte di A.S.- ha chiesto dichiararsi estinto il relativo giudizio per cessazione della materia del contendere.

Attese l’istanze e la documentazione allegata il giudizio nei confronti dì A.S. va, pertanto, dichiarato estinto per cessazione della materia del contendere ai sensi dell’art.6 del d.l. n.119 del 2018, senza pronuncia sulle spese.

4. Procedendo, quindi, alla trattazione del ricorso iscritto al n.r.g. 9537/2014, con il primo motivo, i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art.360, primo comma, num.3 cod.proc.civ., la violazione dell’art.2697 cod.civ., laddove, secondo la prospettazione difensiva, la sentenza impugnata, con motivazione apodittica, aveva assunto che la gestione di impresa era contraria ai criteri di ragionevolezza economica, ribaltando sulla società l’onere di dimostrare il contrario.

5. Con il secondo motivo, articolato ai sensi dell’art.360, primo comma, n.3 cod.proc.civ., sì censura la sentenza impugnata per avere fatto mal governo dei principi in tema di sindacabilità, da parte dell’Ufficio finanziario, delle condotte antieconomiche degli imprenditori, con violazione degli artt. 2697, 2727, 2729 cod.civ. e dell’art.39, comma primo, del d.P.R. n.600 del 1973.

6. Con il terzo motivo si deduce, nuovamente, la violazione di legge, di cui al mezzo di impugnazione precedente, perpetrata dalla C.T.R. per avere ritenuto legittimi gli atti impositivi impugnati, sulla base dell’applicazìone della mera media di settore disattendendo l’insegnamento consolidato, in materia di questa Corte.

7. Con il quarto motivo, infine, si evidenzia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num.4 cod.proc.civ., un’omessa pronuncia da parte del Giudice di appello sulla eccezione secondo cui la rettifica, essendo basata sugli studi di settore, avrebbe dovuto essere preceduta, a pena di nullità, dall’instaurazione del contraddittorio.

8. Per ragioni di ordine logico-giuridico delle questioni rimesse all’esame di questa Corte, il quarto motivo va trattato da primo ed è inammissibile perché inconferente rispetto al decisum.

Nell’illustrazione del motivo viene, infatti, citata a conforto la giurisprudenza di questa Corte in materia di necessità del contraddittorio nelle ipotesi di accertamenti basati esclusivamente sugli studi di settore, mentre, per come è pacifico, nella specie, si verte di un accertamento conseguente a verifica “a tavolino”, emesso ai sensi dell’art. 39 del d.P.R. n.600 del 1973, essendosi riscontrata una gestione antieconomica.

8.1 Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 24823 del 09/12/2015) affermando i seguenti principi:

-<<in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino”>>;

-<< In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito >.

8.2 Nel caso in esame, ferma restando la non necessità dell’attivazione del contraddittorio per i tributi non armonizzati, anche con riferimento all’IVA non risulta agli atti che i contribuenti abbiano mai assolto all’onere sugli stessi incombente.

9. Il primo, il secondo e il terzo motivo del ricorso, intimamente connessi, possono trattarsi congiuntamente e non meritano accoglimento.

9.1 In particolare, il primo motivo è inammissibile. Sotto l’egida della violazione di legge in materia di presunzioni, i ricorrenti, in realtà, contestano la valutazione che la C.T.R. ha compiuto delle risultanze di bilancio, concludendo che dalle stesse- raffrontando costi e ricavi- emergeva il quadro di una gestione antieconomica. Tale antieconomicità, peraltro, è stata rilevata dal Giudice di appello anche sulla base di altro elemento quale l’incoerenza degli indici relativi al valore aggiunto per addetto e al margine operativo lordo, risultato pari a 11,43 a fronte di un minimo e un massimo di 21,40 e 79,43.

9.2 Alla stessa sanzione di inammissibilità soggiace il secondo motivo laddove, nell’illustrazione del mezzo, non viene neppure spiegato come e con quale argomentazione la C.T.R. abbia violato le norme invocate ma si contesta, in realtà, ancora una volta la valutazione degli elementi istruttori come compiuta dal giudice di merito.

9.3 Il terzo motivo di ricorso è, in parte, inammissibile e, in parte, infondato. Premesso che è pacifico in atti che la verifica dalla quale sono scaturiti gli avvisi di accertamento impugnati ha preso le mosse da una riscontrata (sulla base degli elementi indicati in bilancio e in dichiarazione dalla stessa Società) antieconomicità della gestione e non solo dallo scostamento della percentuale di ricarico applicata, come dato atto, dalla stessa sentenza impugnata (senza che alcuna censura sia stata sollevata sul punto la percentuale di ricarico applicata dall’Ufficio è stata parametrata per difetto a quella risultante dalla tabella dei coefficienti di maggiorazione di cui ai decreti dirigenziali dell’art.7, comma 11, lett-a) della legge n.488 del 1999.

10. In conclusione, alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso iscritto al n.r.g. 9537/2014 va rigettato.

11. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate nella misura indicata in dispositivo in favore dell’Agenzia delle entrate mentre non vi è luogo a provvedere nei confronti di E.S. S.p.a. rimasta intimata.

P.Q.M.

Riunisce il ricorso iscritto al n.r.g.21597/2013 a quello portante il n.r.g. 9537/2014.

Dichiara estinto il giudizio e cessata la materia del contendere, ai sensi dell’art. 6 del d.l. n.119 del 2018, con riferimento al ricorso iscritto al n.21597/2013 nei confronti dì A.S.

Rigetta il ricorso iscritto al n.r.g.9537/2014 e condanna L.S. s.a.s. di A.B., L.S., V.S., C.S. e C.S., in solido, alla refusione in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese liquidate in complessivi euro 7.300, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto che sussistono, con riferimento al ricorso iscritto al n.r.g.9537/2014 i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis dell’art.13 del d.P.R. n.115 del 2002, se dovuto.