CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 novembre 2022, n. 33628
Licenziamento collettivo – Cessione in affitto dell’azienda – Contratto in frode alla legge – Nullità – Ripristino del rapporto di lavoro in capo alla cessionaria – Ricorso – Tardività della notifica – Inammissibilità
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Catanzaro ha respinto il reclamo proposto dalla M.O. s.r.l., confermando la sentenza di primo grado che, nel rigettare l’opposizione proposta dalla medesima società, aveva confermato l’ordinanza emessa all’esito della fase sommaria. Con tale ordinanza era stata dichiarata l’illegittimità del licenziamento intimato il 21.7.2016 a P.F.C., dipendente della Società V.M. s.r.l., all’esito della procedura di mobilità, ed era stata disposta, ai sensi dell’art. 2112 c.c., la prosecuzione del rapporto di lavoro alle dipendenze della S.M.O. s.r.l., divenuta in forza di contratto del 18.8.2016 affittuaria dell’azienda, con condanna di quest’ultima alla reintegra del lavoratore e al risarcimento del danno.
2. La Corte territoriale ha così ricostruito la sequenza dei fatti che hanno preceduto il licenziamento:
– in data 23.5.2016, con comunicazione ai sensi degli artt. 4 e 24, l. n. 223 del 1991, la V.M. s.r.l. ha avviato una procedura di licenziamento collettivo per “crisi aziendale”;
– in data 28.6.2016 è stato sottoscritto un verbale di accordo sindacale in cui si dava atto che “i lavoratori interessati alla procedura sono 31 unità; […] che risultando prevista la cessazione delle attività di produzione e la risoluzione dei rapporti di lavoro, non si renderà necessaria l’adozione di alcuna graduatoria di fuoriuscita”;
– in data 21.7.2016 la società ha inviato al C. la lettera di licenziamento, che è stata tempestivamente impugnata;
– il 3.8.2016 è stata costituita la S.M.O. s.r.l., per lo svolgimento dell’attività di fabbricazione di materassi;
– 18.8.2016 è stata sottoscritta la scrittura privata di cessione in affitto dell’azienda sita in Oriolo, esercente attività di fabbricazione di materassi e rivestimenti per materassi, di proprietà della V.M. srl, alla S.M.O. s.r.l.; nella citata scrittura privata l’affittante dichiarava che “non vi sono in essere rapporti di lavoro dipendente”;
– la S.M.O. s.r.l. ha assunto una parte dei dipendenti della società V.M. s.r.l..
3. La sentenza d’appello ha ritenuto che l’operazione negoziale descritta fosse in frode alla legge, ai sensi dell’art. 1344 cod. civ., cioè posta in essere allo scopo di eludere le disposizioni in materia di licenziamenti collettivi e la disposizione di cui all’articolo 2112 cod. civ.
4. Ha osservato che nella comunicazione di avvio della procedura di mobilità era stata dichiarata dalla V.M. s.r.l. l’impossibilità di un rilancio dell’attività e della ricollocazione del personale, tacendo ai sindacati l’intenzione di procedere all’affitto dell’azienda che avrebbe invece consentito il passaggio dei lavoratori, o di parte di essi (individuati in base ai criteri di legge o dei contratti collettivi), alle dipendenze della affittuaria; ha ritenuto che l’attività della cedente non fosse di fatto cessata ma fosse proseguita presso la S.M.O. s.r.l., costituita pochi giorni prima di diventare destinataria del contratto di affitto, con il medesimo oggetto sociale e la stessa sede legale della cedente e che ha continuato ad operare nello stesso settore, con gli stessi clienti e fornitori e con la stessa gestione della società cedente.
5. Secondo la Corte di merito, il licenziamento collettivo adottato all’esito della procedura di mobilità perseguiva il solo scopo di consentire l’affitto dell’azienda epurata dai rapporti di lavoro pendenti e consentiva alla società affittuaria di assumere solo una parte dei lavoratori già dipendenti della V.M. s.r.l., scegliendoli discrezionalmente senza dover rispettare alcuna graduatoria.
6. Per tali ragioni la sentenza d’appello ha dichiarato il licenziamento affetto da nullità, per elusione delle disposizioni di cui alla legge n. 223 del 1991 e dell’art. 2112 cod. civ., con le conseguenze sanzionatorie previste dall’articolo 18, commi 1 e 2, della legge n. 300 del 1970, come modificato dalla legge n. 92 del 2012. Dalla accertata nullità del licenziamento i giudici del reclamo hanno fatto discendere la riviviscenza del rapporto di lavoro tra il C. e la cedente, con la conseguenza che al momento della stipula del contratto di affitto di azienda tale rapporto di lavoro si è trasferito, unitamente al compendio aziendale, in capo alla cessionaria tenuta quindi a reintegrare il dipendente nel posto di lavoro.
7. Avverso tale sentenza la S.M.O. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. P.F.C. ha resistito con controricorso, illustrato da successiva memoria. La Società V.M. s.r.l. unipersonale in liquidazione non ha svolto difese.
Ragioni della decisione
8. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cod. civ. nonché l’inesistenza della violazione di cui all’art. 1344 cod. civ.
9. Si afferma che la sentenza d’appello ha ricondotto la fattispecie oggetto di causa alla previsione dell’art. 1344 cod. civ. discostandosi dalla decisione impugnata e creando un’altra motivazione. Si sostiene che l’art. 1344 cod. civ. sia inapplicabile nel caso di specie per difetto di prova di un intento fraudolento.
10 Si assume l’erronea applicazione della disciplina in tema di cessione di azienda in quanto presuppone giuridicamente la contemporanea esistenza di cedente e cessionario, circostanza nel caso di specie mancante per essere la Società V.M. s.r.l. cessata di fatto e di diritto alla data del 29.7.2016 mentre la S.M.O. s.r.l. è stata costituita in data 5.8.2016. Si rileva, inoltre, come il passaggio dei lavoratori alle dipendenze del cessionario presupponga l’esistenza del rapporto di lavoro all’atto del trasferimento, mentre nel caso in esame il rapporto di lavoro era stato già legittimamente risolto all’epoca di stipula del contratto di affitto di azienda.
11. Con il secondo motivo di ricorso si deduce errore applicazione del principio di successione aziendale e carenza assoluta di motivazione su questo punto decisivo della controversia.
12. Si ribadisce come non possa configurarsi successione nel contratto di lavoro se questo è cessato prima della costituzione della società cessionaria; si afferma la legittimità del licenziamento collettivo in conseguenza della cessazione totale dell’attività aziendale; si invoca il difetto di legittimazione passiva della S.M.O. s.r.l. con declaratoria di estraneità della stessa al giudizio; si deduce che il contratto di affitto di azienda stipulato il 18.8.2016 fosse relativo unicamente al complesso dei beni e strumenti e si contesta la ritenuta coincidenza di oggetto sociale della cedente e della cessionaria, nonché l’identità di sede sociale, della struttura organizzativa, della compagine sociale e quindi l’assenza dei requisiti per ritenere integrato un trasferimento d’azienda.
13. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’articolo 18, legge n. 300 del 1970. Si critica la statuizione di illegittimità del licenziamento collettivo derivante da una presunta attività elusiva perché non rientrante in nessuna delle ipotesi di invalidità del licenziamento e per motivazione generica; si assume che, in ipotesi di illegittimità della procedura di licenziamento collettivo, la Corte d’appello avrebbe dovuto applicare le conseguenze di cui all’articolo 18, comma 5, con esclusione della tutela reintegratoria.
14. Nel controricorso è preliminarmente eccepita l’inammissibilità del ricorso per cassazione per tardività della notifica.
15. L’eccezione è fondata.
16. L’art. 1, comma 62, legge n. 92 del 2012 prevede che “Il ricorso per cassazione contro la sentenza deve essere proposto, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla comunicazione della stessa, dalla notificazione se anteriore“.
17. Questa Corte ha statuito che “il termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione di cui all’art. 1, comma 62, della l. n. 92 del 2012 – essendo soggetto ad una disciplina speciale, derogatoria delle disposizioni generali sul termine cd. breve di impugnazione, sulla quale non incide la modifica dell’art. 133, comma 2, c.p.c. introdotta dal d.l. n. 90 del 2014, conv. con modif. in l. n. 114 del 2014, nella parte in cui stabilisce che la comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni – decorre dalla semplice comunicazione del provvedimento integrale, quale risultante dall’attestazione rilasciata dalla cancelleria con dati estratti automaticamente dal registro informatico” (v. Cass. n. 134 del 2019; Cass. n. 19177 del 2016).
18. Si è ulteriormente precisato che “in tema di ricorso per cassazione avverso la sentenza che definisce il procedimento di reclamo ex art. 1, comma 62, della l. n. 92 del 1992, la comunicazione via PEC a cura della cancelleria fa decorrere il termine breve di sessanta giorni per l’impugnazione ove risulti allegato il testo integrale della sentenza, senza che sia sufficiente il mero avviso del deposito, atteso che la parte deve essere posta in grado di conoscere le ragioni sulle quali la pronuncia è fondata e di valutarne la correttezza onde predisporne l’eventuale impugnazione” (Cass. n. 25136 del 2017; Cass. n. 10017 del 2016).
19. Nel caso in esame, la sentenza pubblicata in data 8.1.2019 è stata comunicata nel testo integrale al difensore del C. con comunicazione telematica a mezzo di posta elettronica certificata lo stesso giorno (v. attestazione relativa ai dati desunti dal registro di cancelleria di comunicazione della sentenza eseguita in data 8.1.2019, depositata in allegato al controricorso) mentre il ricorso per cassazione è stato notificato all’indirizzo di posta elettronica certificata in data 31.5.2019, ampiamente dopo il decorso del termine di decadenza di 60 giorni previsto dal citato art. 1, comma 62.
20. Deve quindi dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
21. La regolazione delle spese del giudizio di legittimità nei confronti del C. segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo. Non luogo a provvedere sulle spese nei confronti della VM s.r.l. unipersonale in liquidazione che è rimasta intimata.
22. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità nei confronti di P.F.C. che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi in favore degli avvocati F.S. e M.C., antistatari.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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