CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 ottobre 2019, n. 26033
Professionista – Avvocato dipendente Inps – Cessazione dal servizio – Trattamento pensionistico – Indennità di buonuscita – Spettanza
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la domanda proposta dall’Inps volta ad ottenere l’accertamento dell’esistenza di indebiti pagamenti e la condanna alla restituzione di quanto corrisposto all’avvocato G. C. – già dipendente dell’istituto inquadrato nel Ruolo professionale Area legale e cessato dal servizio del 1994 – a titolo di trattamento pensionistico a carico dell’a.g.o., integrativo e di indennità di buonuscita, per un ammontare complessivo pari ad €106.810,35, indebito determinato dall’avere questi percepito a far data dal 1.7.1990 una retribuzione corrispondente al secondo livello differenziato, cui era stato inquadrato a seguito di procedura concorsuale per l’accesso, procedura che era stata annullata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 1700 del 2004.
2. Per la cassazione della sentenza G. C. ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, illustrati anche con memoria ex art. 378 c.p.c., cui ha resistito l’Inps con controricorso.
Ragioni della decisione
3. Come primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2935 del codice civile. Lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto che il dies a quo per il calcolo della prescrizione estintiva di una parte dei crediti vantati dall’Inps (ossia quelli antecedenti il 2/10/1996) debba essere individuato non dalla data dei singoli pagamenti asseritamente indebiti, ma piuttosto nella data di passaggio in giudicato della sentenza che ha annullato la graduatoria concorsuale per l’inserimento nel secondo livello di professionalità.
4. Come secondo motivo deduce l’insussistenza dell’indebito e la falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c. in relazione al principio di non contestazione e l’omessa valutazione di fatti decisivi. Lamenta che la Corte territoriale, pur correttamente premettendo che l’attribuzione per via concorsuale del secondo livello di professionalità ex articolo 14 del d.p.r. n. 43 del 1990 non abbia rilievo meramente economico, ma implichi l’attribuzione di ruoli di maggiore responsabilità, abbia tuttavia ritenuto che nel caso mancherebbe la prova della riorganizzazione e distribuzione delle mansioni nonché dell’effettivo svolgimento da parte dell’interessato di mansioni diverse e maggiormente qualificate. Sostiene che i livelli differenziati si ricollegano a gradi diversi di professionalità che necessariamente influiscono sulla qualità delle prestazioni rese e sulla ripartizione quali-quantitativa dei carichi di lavoro e dei ruoli funzionali conferiti. Sostiene inoltre che il fatto che egli abbia svolto le funzioni in conformità al livello di professionalità assegnato non sarebbe mai stato fatto oggetto di specifica contestazione.
5. Come terzo motivo lamenta l’irripetibilità dell’indebito pensionistico la violazione dell’art. 52 della l. n. 88/89, dell’art. 13 della l. n. 412 del 1991, dell’art. 1 comma 260 della l. n. 662 del 1996, dell’art. 38 comma 7 della l. n. 448 del 2001, dell’art. 8 del d.p.r. n. 818 del 1957, dell’art. 69 della l. n. 153 del 1969. Per gli importi erogati a titolo di pensione, sostiene che la prestazione erogata non sarebbe nemmeno astrattamente ripetibile in base alla normativa sull’indebito pensionistico.
6. Come quarto ed ultimo motivo lamenta l’omessa valutazione di fatti decisivi e sostiene di aver proposto in via riconvenzionale la domanda di risarcimento del danno provocatogli dall’Inps, anche per perdita di chances nella misura corrispondente alla somma chiesta in restituzione, sommata alla capitalizzazione della differenza della misura della pensione.
7. Occorre esaminare per primo il secondo motivo di ricorso per ragioni di priorità logica, attenendo esso alla spettanza della retribuzione corrispondente al secondo livello differenziato, dalla cui negazione deriva il diritto vantato dall’Inps alla ripetizione di quanto conseguentemente erogato.
8. La questione che viene in rilievo è già stata esaminata da questa Corte che, pronunciando in fattispecie sovrapponibili a quella oggetto di causa, ha affermato che «in tema di progressione di carriera dei dipendenti dell’INPS, l’art. 14, comma 14, del d.P.R. n. 43 del 1990, nel condizionare l’accesso ai livelli differenziati di professionalità ad un concorso per titoli cui possono partecipare i dipendenti, appartenenti alla decima qualifica funzionale, in possesso di una data anzianità e che abbiano, per un determinato periodo, effettivamente prestato servizio nella predetta qualifica, ha inteso riconoscere l’aumento retributivo solo a coloro che si fossero dimostrati più meritevoli, correlando la progressione economica al maggior valore professionale della prestazione resa» (Cass. n. 21523/2018, Cass. nn. 2506, 2815, 3376, 3377, 4448, 26696, 28249 del 2017 e Cass. n. 7424/2016);
9. nei richiamati arresti si è osservato che la normativa che viene in esame va letta in coerenza con i principi di perequazione retributiva – ricavabili dal combinato disposto dell’art. 3 Cost., comma 1, e art. 36 Cost., comma 1, e dalla normativa in materia di pubblico impiego (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45 che ha recepito il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 29 come sostituito dal D.Lgs. n. 546 del 1993, art. 23 – e di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione pubblica (art. 97 Cost., comma 2), sicché la progressione economica deve tradursi nel correlato maggior valore professionale della prestazione richiedibile, e quindi in un risultato del quale l’amministrazione possa effettivamente valersi, il quale solo giustifica l’incremento patrimoniale; pertanto, l’utilizzo di tali maggiori capacità professionali da parte dell’Inps rende irripetibili le somme corrisposte durante il periodo di riconoscimento del livello superiore di professionalità – successivamente revocato a seguito delle sentenze di annullamento della graduatoria di concorso da parte del giudice amministrativo – in considerazione del lavoro effettivamente prestato, ai sensi dell’art. 2126 c.c. (e, tramite detta disposizione, dell’art. 36 Cost.), da reputarsi compatibile con il regime del lavoro pubblico contrattualizzato (Cass. nn. 22287/2014, 11248/2012, 10759/2009).
10. La Corte territoriale non ha applicato tali principi, nella parte in cui ha ritenuto che il ricorrente non avesse dimostrato di avere espletato mansioni ulteriori e/o diverse e maggiormente qualificate rispetto a quelle in precedenza svolte e proprie dell’inferiore livello professionale, mentre doveva accertare se durante il periodo di riconoscimento del livello superiore di professionalità, il C. avesse reso una prestazione caratterizzata dal valore professionale
– sotto il profilo qualitativo e di responsabilità – che gli era stato amministrativamente riconosciuto. In caso di risposta positiva al quesito, avrebbero infatti dovuto restare fermi a fini economici gli effetti del riconoscimento della superiore professionalità, a prescindere dalla validità formale dei titolo con il quale questa gli era stata riconosciuta.
11. Il ricorso deve quindi essere accolto in relazione al secondo motivo, assorbiti gli altri, e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, che dovrà procedere a nuova valutazione applicando i principi sopra individuati.
12. Al giudice designato competerà anche la regolamentazione delle spese del presente giudizio.
13. Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente vittorioso, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri motivi.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolamentazione della spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Bologna.
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