CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 settembre 2020, n. 19246
Pensionati a carico del Fondo Volo – Dipendente da azienda di navigazione aerea – Periodi di rioccupazione – Corresponsione della pensione, sospesa – Non sussiste
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 564/13, in accoglimento dell’appello proposto dall’INPS, in riforma del Tribunale di Velletri, rigettava la domanda proposta da B.M. e A.V., i quali avevano convenuto in giudizio l’INPS e, premesso di essere pensionati a carico del Fondo Volo (Fondo c.d. sostitutivo dell’assicurazione generale obbligatoria, gestito dallo stesso Istituto previdenziale) rispettivamente dal 1° settembre 1993 e dal 1° maggio 1988, in qualità di personale di volo dipendente da azienda di navigazione aerea, avevano esposto di essersi ambedue rioccupati, dopo il pensionamento, presso un’azienda di navigazione aerea per periodi variabili (il M. nell’intervallo di tempo dal 9 giugno 1995 al 30 aprile 2006 e il V. per il periodo dal 1° luglio 1997 al 4 novembre 2001) e di essersi visti sospendere dall’INPS, in relazione a detti periodi di rioccupazione, la pensione da parte del Fondo Volo. Avevano dedotto che tale sospensione era illegittima ed avevano chiesto la condanna dell’INPS al pagamento delle quote di pensione dovuta durante il periodo di illegittima sospensione.
2. La Corte di appello riteneva infondata la pretesa, osservando che:
a) la pensione erogata agli appellati è prevista dall’art. 22 legge n. 859 del 1965, che qualifica tutti i trattamenti ivi previsti come “pensioni di anzianità”, di cui gli iscritti al Fondo possono fruire avendo cessato il servizio per dimissioni o per licenziamento; altra norma pure all’epoca vigente è l’art. 27 della stessa legge in base alla quale “qualora successivamente alla liquidazione della pensione a carico del Fondo, il pensionato si occupi nuovamente presso la stessa società dalla quale dipendeva all’atto del collocamento in pensione, oppure presso altra società di navigazione aerea, con rapporto di lavoro che comporti l’obbligo di iscrizione al Fondo, la corresponsione della pensione è sospesa per tutta la durata del nuovo rapporto di lavoro e con decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello di rioccupazione…
b) il sistema è stato modificato con decorrenza dal 1° luglio 1997, data di entrata in vigore del d.lgs. 24 aprile 1997, n. 164 che, nel riordinare lo specifico settore, lo ha interamente equiparato a quello disciplinato dalle norme sull’assicurazione generale obbligatoria; soltanto quindi da tale data è venuto meno, per incompatibilità, lo speciale regime di sospensione del trattamento pensionistico in ragione della rioccupazione del pensionato in una posizione di lavoro che implichi la reiscrizione al Fondo;
c) alla data di entrata in vigore del d.lgs. 164 del 1997 nel sistema dell’assicurazione generale obbligatoria vigeva (dal 1.1.94) il regime giuridico di cui all’art. 10 d.lgs. 503 del 1992 in base al quale i pensionati di vecchiaia (e di invalidità) che si fossero rioccupati in attività di lavoro dipendente o autonomo avrebbero potuto parzialmente cumulare i compensi derivanti dalla rioccupazione con il trattamento pensionistico (nella misura del trattamento minimo più il 50% della quota eccedente);
d) a fronte di tale disciplina, i ricorrenti (che avevano conseguito la pensione, il M. all’età di 47 anni, 4 mesi e 23 giorni e il V. all’età di 46 anni, 4 mesi e 27 giorni) avevano sostenuto che il loro trattamento pensionistico, seppure definito “di anzianità”, avrebbe dovuto qualificarsi “di vecchiaia”; al contrario – osservava la Corte territoriale – secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 6661 del 2003) la legge n. 859 del 1965 non ha introdotto alcun trattamento di vecchiaia, mentre le pronunce richiamate dagli appellati avevano solo rimesso al giudice di rinvio di procedere ad un nuovo esame al fine di stabilire se il trattamento goduto dal ricorrente in epoca successiva alla data di entrata in vigore del decreto del 1997 fosse sostanzialmente da qualificare come di anzianità o di vecchiaia (Cass. n. 15979 del 2003 e 16272 del 2004);
e) le tre ipotesi di pensione “di anzianità” di cui all’art. 22 cit. prevedono età diverse di pensionamento ed in particolare quella di cui al punto 1 un’età “mobile”, poiché fa riferimento soltanto a 25 anni di contributi, quella di cui al punto 2 l’età di anni 50 e quella al punto 3 l’età 45 anni; a tale proposito è lecito ritenere che, pur a fronte di un’attività faticosa e stressante, qual è quella svolta da un pilota o da un assistente di volo, tali limiti non corrispondano a quello della normale attività alla lavorativa, come d’altra parte dimostra il fatto che molto spesso tali lavoratori (come gli appellati) hanno continuato a svolgere agevolmente per molti anni il medesimo lavoro, reimpiegandosi proprio nelle stesse attività abbandonate per asserita “vecchiaia”; a ciò si aggiunga che nel mondo del lavoro il legislatore ha contemplato, in coerenza con il generale miglioramento delle condizioni lavorative e con l’aumento delle aspettative della durata della vita biologica e di quella professionale, un differimento del raggiungimento dei limiti di durata della vita lavorativa, prevedendo un innalzamento progressivo dei limiti di età minimi per il raggiungimento della pensione di anzianità, di talché non si vede come un lavoratore, pur svolgendo attività a tasso il logoramento superiore alla media, possa raggiungere l’età della pensione di vecchiaia dieci o quindi anni o anche più in anticipo rispetto all’età in cui, di norma, è consentito raggiungere la c.d. pensione di anzianità;
f) infine, a seguire la tesi dei ricorrenti, si dovrebbero configurare come pensionati di anzianità nell’ambito del Fondo Volo quelli di cui al punto 1 dell’art. 22 I. 859 del 1965, ossia coloro che, in possesso di versamenti contributivi per venticinque anni, possono avere un’età – anche tanto – maggiore rispetto a quelli di cui ai numeri 3 e 4 della stessa norma, pur essendo questi, a loro dire, pensionati di vecchiaia.
3. Per la cassazione di tale sentenza B.M. e A.V. hanno proposto ricorso affidato a due motivi. Ha resistito l’Inps con controricorso.
4. In prossimità dell’udienza è pervenuto atto di rinuncia al ricorso per cassazione di B.M., ritualmente comunicato alla controparte.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 22, primo comma I. 859 del 1965, dell’art. 3, comma 2, d.lgs. 164 del 1997, dell’art. 22 comma 5, della legge 153 del 1969 e dell’art. 2, primo comma, art. 5 comma 4, d.lgs. 503 del 1992 (art.. 360 n. 3 c.p.c.). Si sostiene che i ricorrenti hanno fruito del trattamento pensionistico ai sensi art. 22, primo comma, n. 3 della legge 859 del 1965, avente struttura sostanziale di pensione di vecchiaia, in quanto erogata al conseguimento dell’età anagrafica prescritta dalla norma richiamata; a ciò si aggiunge la considerazione che, a partire dal 1° luglio 1997 (data di entrata in vigore del d.lgs. 164 del 1997), la pensione percepita dai ricorrenti è in ogni caso da equiparare alla pensione di vecchiaia, poiché ai sensi del d.lgs. 503 del 1992 art. 2, nel regime dell’assicurazione generale obbligatoria il diritto alla pensione di vecchiaia è riconosciuto quando siano trascorsi almeno vent’anni dall’inizio dell’assicurazione e risultino versati o accreditati in favore dell’assicurato almeno venti anni contribuzione.
2. Con il secondo motivo si censura la sentenza per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.) per avere la Corte d’appello esaminato solo la situazione esistente all’atto del pensionamento, senza valutare se in epoca successiva all’entrata in vigore del d. Igs. n. 164 del 1997 e nei periodi di rioccupazione lavorativa fossero maturate comunque le condizioni occorrenti per riqualificare il trattamento pensionistico in godimento in base alla legislazione vigente in detti periodi.
3. Preliminarmente, deve essere dichiarata l’estinzione del giudizio tra B.M. e l’INPS per intervenuta rinuncia ex artt. 390 e 391 c.p.c.. L’atto di rinuncia è stato regolarmente notificato all’Istituto e non è richiesta l’accettazione della controparte per essere produttivo di effetti processuali (cfr. Cass. n. 28675 del 2005; Cass. n. 21894 del 2009; Cass. n. 9857 del 2011; Cass. n. 3971 del 2015). Ricorrono giusti motivi di compensazione delle spese (il rinunciante ha rappresentato di avere restituito tutto quanto dovuto in esecuzione della riforma della sentenza di primo grado e di non avere più interesse a coltivare il giudizio).
3.1. Non opera il raddoppio del contributo unificato, in quanto l’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012 – che pone a carico del ricorrente rimasto soccombente l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato – non trova applicazione in caso di rinuncia al ricorso per cassazione. Tale misura si applica ai soli casi – tipici – del rigetto dell’impugnazione o della sua declaratoria d’inammissibilità o improcedibilità e, trattandosi di misura eccezionale, lato sensu sanzionatoria, è di stretta interpretazione e non suscettibile, pertanto, di interpretazione estensiva o analogica (Cass. 23175 del 2015).
4. Quanto alla posizione di A.V., il ricorso non è meritevole di accoglimento.
4.1. E’ consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio per cui la disposizione speciale sulla sospensione della pensione, di cui alla L. n. 859 del 1965, art. 27, è da ritenere abrogata per incompatibilità con l’entrata in vigore del D.Lgs. 24 aprile 1997, n. 164 (che ha provveduto al riordino del regime pensionistico per gli iscritti al Fondo speciale di previdenza per il personale di volo dipendente da aziende di navigazione aerea), il quale ha previsto, all’art. 3, comma 22, che qualora, successivamente alla liquidazione della pensione a carico del Fondo il pensionato si rioccupi, si applicano le medesime norme in materia di cumulo fra pensione e retribuzione in vigore nell’assicurazione generale obbligatoria. E’ costante l’affermazione (v. da ultimo, Cass. n. 19275 del 2018, nonché molte anteriori; v. Cass. n. 23036 del 2010, n. 22014 del 2008, n. 16455 del 2007, n.17786 del 2003, n. 15979 del 2003, n. 6661 del 2003) che per il periodo successivo al 1° luglio 1997, in forza dell’art. 3, comma 22, del d. Igs. n. 164 del 1997, la regola del cumulo tra pensione erogata dal Fondo Volo e la retribuzione da lavoro dipendente è quella vigente per l’assicurazione generale obbligatoria, per cui si deve individuare se la pensione in godimento sia di anzianità o di vecchiaia alla luce della legge vigente al momento del pensionamento.
5. Tanto premesso, è infondato il primo motivo. Considerato che deve valutarsi la disciplina vigente al tempo del pensionamento e trattandosi nella fattispecie di pensione di anzianità erogata dal Fondo Volo con decorrenza dal 1988 (a tale epoca non esisteva ancora nel regime del Fondo Volo la pensione di vecchiaia, introdotta dall’art. 3, comma 7, d.lgs. 164 del 1997), correttamente la Corte di appello ha ritenuto la legittimità della sospensione dell’erogazione del trattamento pensionistico nei periodi di rioccupazione del pensionato presso società di navigazione aerea con obbligo di iscrizione al Fondo Volo, in applicazione dell’art. 27 della legge n. 359 del 1965.
6. Il secondo motivo, seppure rubricato come “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” (art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.) in realtà involge una questione di diritto. Ad avviso del ricorrente, sarebbe rilevante non soltanto accertare se la pensione debba qualificarsi di anzianità in relazione alla legge vigente al tempo del pensionamento, ma anche se la stessa possa essere “riqualificata” diversamente in base al decorso del tempo e al sopravvenire di nuove discipline. Il ricorrente assume che al tempo della rioccupazione lavorativa, successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. 164 del 1997, sarebbero sussistiti i requisiti della pensione di vecchiaia secondo la normativa in quel momento vigente.
6.1. Rileva il Collegio che il vizio di motivazione riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., concerne esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione o l’applicazione di norme giuridiche che, invece, ricade sotto il profilo dell’errore di diritto ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.(cfr., ex plurimis, Cass. n. 26292 del 2014). Inoltre, se è vero che l’erronea indicazione della norma processuale violata nella rubrica del motivo non determina ex se l’inammissibilità di questo, occorre pur sempre che l’esposizione delle ragioni di diritto dell’impugnazione chiarisca e qualifichi, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura, non potendo, in difetto, questa Corte procedere al giudizio di legittimità che le è devoluto (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 12690 del 2018, nonché Cass. S.U. n. 17931 del 2013).
6.2. Nel caso in esame, la censura di omesso esame di fatto decisivo presuppone come già risolta una questione di diritto in difetto di alcuna denuncia di error in iudicando ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. o di error in procedendo ex art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c.. I giudici di merito, come già detto, hanno invece correttamente deciso le questioni di diritto sottoposte al loro esame.
7. In conclusione, il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente V. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
8. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente V., ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13 (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).
P.Q.M.
Dichiara estinto il giudizio tra M.B. e l’INPS e compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità. Rigetta il ricorso proposto da V. Antonio e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13 comma 1 -quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente V., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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