CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 aprile 2018, n. 9327
Stipulazione a termine – Contratti successivi – Causali contratti – Sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Torino, con sentenza del 10.1.2013, aveva respinto la domanda di accertamento della nullità delle clausole appositive del termine ai cinque successivi contratti a tempo determinato stipulati tra A. s.p.a. e D.K., sul rilievo della specificità e coerenza delle causali di cui all’art. 2 c.c.n.I. dei primi e degli ultimi due contratti, anche con riscontro in termini di effettività del collegamento dell’assunzione con le stesse, e, con riguardo al terzo, per la ritenuta coerenza della stipulazione a termine con l’attuazione e realizzazione di una nuova fase di sviluppo del sistema di esazione automatizzata dei pedaggi.
2. La Corte di appello di Torino, in accoglimento parziale del gravame, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto decorrente dal 3.1.2006 (terzo contratto) e la sussistenza tra le parti, da tale data, di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con condanna dell’appellata al pagamento di un’indennità pari a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre alle retribuzioni maturande dalla data della sentenza alla riammissione in servizio.
3. Riteneva la Corte: che i rapporti erano proseguiti per un periodo di 25 mesi, inferiore al limite di cui all’art. 5, comma 4, d. Igs. 368/2001; che per le assunzioni in periodo di ferie dei dipendenti erano state rispettate le prescrizioni in consonanza con quanto sancito dalla Corte di Cassazione in tema di sostituzioni di dipendenti in ferie e che nessuna eccezione era stata sollevata quanto ai limiti del contingentamento; che, invece, era fondato il motivo relativo alla mancanza di nesso causale tra assunzione per 12 mesi della D. e le esigenze connesse all’attuazione e realizzazione di una nuova fase di sviluppo del sistema di esazione automatizzata dei pedaggi, sul rilievo che l’installazione di barriere ad esazione automatizzata aveva certamente comportato una riduzione del fabbisogno del personale e non un aumento, liberando i dipendenti a tempo indeterminato già addetti alle piste interessate, e che le assunzioni a termine per questa causale non erano state concertate con le OO.SS. Non era ravvisabile alcun nesso causale tra l’esigenza, evidenziata nel verbale di accordo, di salvaguardare posti di lavoro degli esattori divenuti non più necessari dopo l’automazione e l’assunzione di altri lavoratori a tempo determinato per le stesse mansioni.
4. Per la cassazione di tale decisione ricorre la società, affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, la D..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, è denunziata violazione dell’art. 30 della legge 4.11.2010 n. 183 e falsa applicazione dell’art. 1 d.Igs. 368/2001 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., sul rilievo della mancata valutazione da parte della Corte del merito di quanto emerso nel corso della riunione sindacale del 29.12.2005 con riguardo alla necessità, nella fase di apertura al pubblico delle barriere automatiche, di sopperire alle maggiori necessità dell’utenza, della impossibilità per il giudice di sindacare i criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica, consacrata dall’art. 30 I. 183/10 prevedente l’esclusione del sindacato di merito sulle valutazioni tecniche organizzative e produttive che competono al datore di lavoro ed al committente. Si rileva che le circostanze poste a fondamento dell’assunzione a tempo determinato avevano ricevuto il conforto anche delle emergenze istruttorie.
2. Viene, poi, con il secondo motivo, lamentato omesso esame circa il fatto decisivo dell’intervenuto accordo aziendale del 29.12.2005 con le r.s.u. in relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., osservandosi che il giudice del gravame aveva limitato la considerazione all’esigenza di salvaguardare il posto di lavoro del personale a tempo indeterminato in esubero al termine dei lavori di automazione, senza considerare anche l’altra previsione dell’accordo degli opportuni provvedimenti per sopperire alle maggiori necessità dell’utenza. Si aggiunge che l’istruttoria aveva confermato la sussistenza di un nesso causale tra l’assunzione della resistente e l’effettuazione dei lavori di automazione sia sotto i profilo temporale che causale e che tale fatto non era stato tenuto nel debito conto.
3. L’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dall’art. 1 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa. Spetta al giudice di merito accertare – con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità – la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto (cfr. Cass. 27.4.2010 n. 10033, Cass. 12.7.2010 n. 16303, Cass. 12.1.2015 n. 208, Cass. 11.2.2015 n. 2680).
4. La Corte ha rilevato, con ciò compiendo una coerente valutazione attinente alla verifica di effettività del collegamento causale dell’assunzione a termine con l’esigenza dedotta a fondamento della stessa, che la chiusura delle piste interessate dai lavori libera i dipendenti a tempo indeterminato già addetti alle stesse, che possono essere utilizzati sulle altre piste ad esazione manuale rimaste aperte, avvicendandosi con gli altri esattori in servizio. A ciò ha aggiunto che l’automazione delle barriere comporta una riduzione del fabbisogno di personale e non aumento, non solo a lavori ultimati ma anche durante la loro esecuzione, essendo il minor numero di piste accessibili agli automobilisti incompatibile con turni di lavoro diversi e non rilevando il maggior o minor numero di passaggi automobilistici, e tanto è sufficiente per affermare che la valutazione si è limitata alla necessaria verifica in ordine alla sussistenza di una valida clausola giustificatrice del termine. L’esame è stato condotto alla luce delle emergenze fattuali e del contenuto del richiamato verbale d’accordo del 29.12.2005, senza sconfinare, diversamente da quanto si assume col primo motivo, in un sindacato sui criteri di gestione dell’impresa, o sulle valutazioni tecniche organizzative e produttive che competono al datore di lavoro ed al committente. Peraltro il riferimento al punto b) dell’accordo del 29.12.2005 alla sperimentazione presso la barriera di Beinasco di determinate presenze in turno, nonché della successiva previsione di assunzione da parte della società degli opportuni provvedimenti per sopperire alle maggiori necessità dell’utenza attiene, come evidenziato nella sentenza impugnata, con richiamo ai precisi termini dell’accordo sindacale, alla sola barriera di Beinasco e non anche a quella di T. e quindi è improprio il richiamo a tali maggiori necessità dell’utenza con riguardo all’assunzione della D..
5. A ciò deve aggiungersi, a confutazione anche del secondo motivo, con il quale si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, contestandosi la valutazione dell’istruttoria compiuta dal giudice del merito, che con lo stesso nella sostanza si domanda esclusivamente una rivisitazione del materiale di causa affinché se ne fornisca una valutazione diversa da quella accolta dalla sentenza impugnata.
Tale modus operandi non è idoneo a segnalare un vizio ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. a maggior ragione nel testo applicabile ratione temporis, in virtù della novella di cui all’art. 54 d.l. n. 83/2012, convertito in legge 7.8.2012 n. 134, e della lettura di tale norma compiuta dalla pronuncia n. 8053/14 delle S. U. di questa Corte, che ha chiarito, riguardo ai limiti della denuncia di omesso esame di una quaestio facti, che il nuovo testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. consente tale denuncia nei limiti dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
6. In proposito, è stato altresì osservato che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (sent. cit.).
7. I vizi argomentativi deducibili con il ricorso per cassazione non possono, dunque, consistere in apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti, perché, a norma dell’art. 116 c.p.c., rientra nel potere discrezionale – come tale insindacabile – del giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, apprezzare all’uopo le prove, controllarne l’attendibilità, l’affidabilità e la concludenza e scegliere, tra le varie risultanze istruttorie, quelle ritenute idonee e rilevanti, con l’unico limite di supportare con congrua e logica motivazione l’accertamento eseguito.
8. La differente lettura ipotizzata in ricorso rifluisce sul piano dell’apprezzamento del merito, insindacabile nella presente sede di legittimità.
9. Alla luce delle esposte considerazioni il ricorso va complessivamente rigettato.
10. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate come da dispositivo, con attribuzione al difensore dichiaratosene antistatario.
11. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, dPR 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%. Con attribuzione all’avv. A.P., dichiaratosi antistatario.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..
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