CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 aprile 2021, n. 10095
Tributi – Imposta comunale sulla pubblicità – Pannelli pubblicitari apposti su carrelli della spesa relativi ad esercizio commerciale presente all’interno di un centro commerciale
Fatti di causa
1. H. ITALIA s.p.a., propone ricorso, fondato su due motivi, per la cassazione della sentenza, indicata in epigrafe, di rigetto dell’appello dalla stessa proposto avverso la sentenza n. 27/08/2012 emessa dalla CTP di BRESCIA.
2. Il Giudice di primo grado aveva rigettato l’impugnazione di avviso di accertamento (n. 17/2011) per il pagamento dell’imposta comunale sulla pubblicità emesso dalla società I.C.A. (concessionaria della riscossione dell’imposta sulla pubblicità per il comune di Orzinuovi) nei confronti della contribuente e con riferimento a pannelli pubblicitari apposti su carrelli della spesa relativi ad esercizio commerciale presente all’interno di un centro commerciale.
3. La CTR, con la sentenza oggetto di attuale impugnazione, confermò la statuizione di primo grado ritenendo, contrariamente a quanto dedotto dalla contribuente, non operante nella specie l’esenzione di cui all’art. 17, comma 1, lett. a), del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, ravvisando invece sussistente il presupposto per l’imposta in oggetto in ragione dell’attitudine dei pannelli a raggiungere un numero indistinto di potenziali acquirenti.
La Commissione regionale motivò nei seguenti termini.
«In tale ipotesi», quella di cui al citato art. 17, comma 1, lett. a), «non rileva l’eventuale finalità anche divulgativa del messaggio, risultando preponderante la funzione di individuare i beni venduti in quel specifico luogo oppure di identificare il luogo di esercizio dell’attività cui si riferisce. Nel caso di specie, il supermercato in questione si trova all’interno di un centro commerciale dotato di trentacinque negozi e un parcheggio che ospita 1500 posti auto. I messaggi pubblicitari sono stati apposti su carrelli della spesa visibili non solo agli utenti del supermercato bensì anche ai clienti dei diversi negozi del centro. I carrelli transitano anche all’esterno del supermercato e nel parcheggio che non è al servizio esclusivo del supermercato. Risulta, dunque, evidente la finalità di pubblicità del prodotto, dell’azienda e del luogo di vendita, destinata a consumatori eventualmente non intenzionati ad effettuare acquisti presso il supermercato. La Commissione, infine, non ritiene meritevole di accoglimento l’eccezione di non applicabilità delle sanzioni poiché non emerge incertezza sull’applicazione dell’esenzione».
4. Contro la sentenza d’appello H. ITALIA s.p.a., propone ricorso fondato su due motivi e sostenuto da memoria, la Società Unipersonale I.C.A.-Imposte Comunali Affini s.r.l. si difende con controricorso (con il quale prospetta anche profili di inammissibilità del motivi), anch’esso sostenuto da memoria, ed all’odierna udienza le parti concludono nei termini di cui in epigrafe.
Ragioni della decisione
1. Il ricorso non merita accoglimento.
2. I due motivi di ricorso sono suscettibili di trattazione congiunta, in ragione delle questioni inerenti i relativi oggetti.
2.1. Ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 12 e 17, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 507 del 1993 (motivo n. 1), anche in relazione all’art. 10 della I. 27 luglio 2000, n. 212 (motivo n. 2).
In sostanza la ricorrente sostiene che l’esenzione in oggetto debba ritenersi operante nella specie in quanto trattasi di pannelli pubblicitari (32,5 x 31) reclamizzanti i prodotti in vendita all’interno del supermercato (quindi pubblicizzanti attività esercitata nei locali stessi). Ciò anche se trattasi, come nella specie, di supermercato situato in un centro commerciale e quindi di pannelli apposti su carrelli transitanti all’interno non solo del detto supermercato ma anche dell’intero centro commerciale e dei pertinenti parcheggi. Si fa riferimento, poi, a risoluzioni ministeriali dei primi anni ottanta (afferenti al previgente art. 20 del d.P.R. n. 639 del 1972) ed alla risoluzione n. 48696 del 23 dicembre 2014 per la quale l’esenzione in parola si applicherebbe anche nel caso di visibilità del messaggio dai clienti di altri esercizi facenti parte del medesimo centro commerciale. Proprio in ragione delle dette risoluzioni, la ricorrente, con il motivo n. 2, critica altresì la sentenza per non aver ritenuto operante nella specie il disposto dell’art. 10 della l. n. 212 del 2000 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente) laddove dispone che le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria.
2.2. Le censure non meritano accoglimento.
2.2.1. La questione di diritto di cui al motivo n. 1 inerisce l’interpretazione dell’art. 17, comma 1, lett. a), primo periodo, del d.lgs. n. 507 del 1993, ed in particolare la portata della specifica «esenzione dall’imposta» (sulla pubblicità) ivi prevista.
Ai sensi del primo periodo della citata lett. a), difatti, per quanto rileva nel presente processo, è esente dall’imposta «la pubblicità realizzata all’interno dei locali adibiti alla vendita di beni o alla prestazione di servizi quando si riferisca all’attività negli stessi esercitata…».
Sul punto occorre muovere dal presupposto impositivo relativo al tributo sulla pubblicità (di cui all’art. 5 del citato d.lgs. n. 507 del 1993), da individuarsi nell’astratta possibilità del messaggio, in rapporto all’ubicazione del mezzo, di avere un numero indeterminato di destinatari, che diventano tali solo perché vengono a trovarsi in quel luogo determinato (ex plurimis: Cass. sez. 5, 15/03/2017, n. 6714, Rv. 643466-01;Cass. sez. 5, 30712/2014, n. 27497, Rv. 634248-01; Cass. sez. 5, 08/09/2008, n. 22572, Rv. 605094-01).
Ne discende che la ratio della specifica disposizione in esame è da ravvisarsi nell’esenzione dall’imposta trattandosi di attività (quella pubblicizzata) esercitata nello stesso locale adibito alla vendita del bene (o alla prestazione del servizio) al cui interno la relativa pubblicità è realizzata. Consegue che, ai fini dell’operatività dell’esenzione in oggetto, il messaggio, astrattamente idoneo a raggiungere un numero indeterminato di destinatari (cioè tutti i possibili avventori dell’esercizio commerciale), deve essere percepibile da chi, in quanto già all’interno dei locali, è potenziale acquirente dello specifico bene ivi venduto (o fruitore dello specifico servizio ivi prestato).
L’interpretazione letterale e teleologica della norma in esame porta dunque a ritenere operante l’esenzione solo nelle ipotesi di realizzazione della doppia condizione dell’esercizio all’interno dei locali adibiti alla vendita tanto dell’attività pubblicizzata quanto dell’attività di pubblicizzazione. Opinare diversamente, come invece vorrebbe la ricorrente, significherebbe travalicare i limiti dell’attività interpretativa (in ipotesi anche estensiva) ed attuare un’applicazione analogica (contra legem) di una norma, peraltro d’esenzione d’imposta, con riferimento a fattispecie non rientrante nel relativo cono d’ombra.
La statuizione impugnata è quindi conforme al principio di cui innanzi in quanto l’esenzione in esame non opera nel caso di messaggio pubblicitario collocato su carrelli non destinati ad essere utilizzati solo all’interno dei locali ove si commercializzano i beni pubblicizzati, come nella fattispecie. Quest’ultima è difatti pacificamente caratterizzata da carrelli recanti pannelli pubblicizzanti un bene in vendita all’interno di un supermercato ma circolanti anche all’esterno dei relativi locali ed in particolare nell’area dell’intero centro commerciale ove esso è ubicato (con oltre 35 negozi) e finanche nel parcheggio di pertinenza del detto centro commerciale (peraltro con capienza di 1500 posti auto).
2.2.2. Quanto innanzi fonda anche il rigetto del motivo n. 2, dando ragione della ritenuta insussistenza, da parte della CTR, di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione dell’esenzione in oggetto (ex art. 10, comma 3, della l. n. 212 del 2000).
Il profilo della censura prospettante la violazione dell’art. 10, comma 2, della l. n. 212 del 2000 è invece inammissibile perché non coglie la reale ratio decidendi, che dunque non sindaca, fondata non sull’assenza di un legittimo affidamento della contribuente bensì sul mancato accoglimento dell’eccezione di non applicabilità delle sanzioni per l’assenza di incertezza sull’applicazione dell’esenzione, quindi ai sensi del diverso comma 3 del citato art. 10 (per il detto profilo di inammissibilità inerente la ratio decidendi si vedano, ex plurimis, tra le più recenti: Cass. Sez. U, 15/09/2020, n. 19169, Rv. 658633-01, in motivazione; Cass. sez. 6-3, 15/10/2019, n. 26052, in motivazione; Cass. sez. 3, 15/10/2019, n. 25933, in motivazione, entrambe nel senso della considerazione della relativa censura alla stregua di un «non motivo», inammissibile ex art. 366, n. 4, c.p.c.; Cass. sez. 3, 11/12/2018, n. 31946, in motivazione; Cass. sez. 5, 07/11/2018, nn. 28398 e 28391; Cass. sez. 1, 10/04/2018, n. 8755; Cass. sez. 6-5, 07/09/2017, n. 20910, Rv. 645744-01, per la quale la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 n. 4, c.p.c., con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio; Cass. sez. 4, 22/11/2010, n. 23635, Rv. 615017-01).
3. In conclusione, il ricorso non merita accoglimento con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, nei confronti della controricorrente, che si liquidano, in relazione ai parametri ratione temporis applicabili, in euro 2.000,00, oltre ad IVA e C.P.A., come per legge.
3.1. Stante il tenore della pronuncia, ai sensi del comma 1 quater dell’art. 13, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (aggiunto dall’art. 1, comma 17, della I. 24 dicembre 2012, n. 228), deve darsi atto della sussistenza dei presupposti, processuali, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto (circa i limiti di detta attestazione, da riferirsi esclusivamente al presupposto processuale della tipologia di pronuncia adottata e non al presupposto sostanziale della dedenza del contributo del cui raddoppio trattasi, si veda Cass. Sez. U, 20/02/20, n. 4315).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, nei confronti della controricorrente, che si liquidano in euro 2.000,00, oltre ad IVA e C.P.A., come per legge, dando atto, ai sensi del comma 1 quater dell’art. 13, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti, processuali, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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