CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 febbraio 2021, n. 4055
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Ridimensionamento aziendale – Vendita dell’automezzo condotto dal dipendente in qualità di autista – Dipendente con minore anzianità e carichi di famiglia rispetto ad altro dipendente – Licenziamento nullo perché ritorsivo – Motivo illecito addotto, costituente l’unica effettiva ragione di recesso – Motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 105 del 4.7.2018 la Corte d’appello di Perugia, nell’ambito del procedimento di cui alla legge n. 92 del 2012, ha dichiarato legittimo il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo il 24.11.2015 dalla ditta di autotrasporti A.G. a I.S. in considerazione del ridimensionamento aziendale conseguente alla vendita dell’autocarro condotto dal dipendente in qualità di autista.
2. La Corte distrettuale ha accertato – tramite istruttoria di fonte documentale e testimoniale – che la ditta di autotrasporti aveva proceduto ad un ridimensionamento aziendale (verosimilmente determinato dalla riduzione delle commesse) consistito nella vendita dell’automezzo utilizzato dal S., dipendente che aveva minore anzianità e carichi di famiglia rispetto all’altro unico collega C..
2. Il lavoratore ha proposto, avverso tale sentenza, ricorso per cassazione affidato a un motivo illustrati da memoria. La ditta ha depositato controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) avendo, la Corte distrettuale, ritenuto superfluo acquisire le schede del tachigrafo dell’automezzo impedendo, in tal modo, di contestualizzare il comportamento del datore di lavoro che ha raggiunto il vero intento di liberarsi del S..
2. Il ricorso è inammissibile.
L’interpretazione di questa Corte (da ultimo, Cass. n. 27415 del 2018) ha chiarito come l’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciarle per Cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod.proc.civ., non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 5/03/2014, n. 5133).
Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, cod.proc.civ., le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802: Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. Sez. L, 21/10/2015, n. 21439).
E’ quindi inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod.proc.civ. per sostenere il mancato esame di deduzioni istruttorie, di documenti, di eccezioni di nullità della sentenza non definitiva e degli atti conseguenti, di critiche rivolte agli elaborati peritali (ovvero di semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico), o della “non contestazione dell’avvenuta usucapione” (un fatto che non sia stato “oggetto di discussione tra le parti” è, d’altro canto, fuori dall’ambito dell’art. 360 n. 5 cod.proc.civ. per sua stessa definizione), o per lamentarsi di una “motivazione non corretta”.
2.1. Questa Corte ha affermato che, in tema di licenziamento nullo perché ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art. 1345 cod.civ. deve essere determinante, cioè costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale; ne consegue che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai fini all’applicazione della tutela prevista dall’art. 18, comma 1, st.lav. novellato, richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento (Cass. n. 9468 del 2019; cfr. altresì Cass. n. 23583 del 2019 che ha confermato la sentenza impugnata che, solamente dopo avere escluso la sussistenza in concreto del giustificato motivo, aveva posto in relazione tra loro gli elementi indiziari acquisiti al giudizio per valutare il carattere ritorsivo del licenziamento).
3. Nel caso di specie, la Corte distrettuale si è conformata ai principi di diritto espressi da questa Corte e, una volta accertata la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo di recesso, ha correttamente ritenuto superfluo indagarne il carattere ritorsivo in quanto mancante il requisito determinante dell’efficacia determinativa esclusiva.
4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
5. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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