CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 febbraio 2022, n. 5160
Tributi – Contenzioso tributario – Impugnazione della cartella esattoriale per tardività della notificazione – Legittimazione passiva dell’ente titolare del credito tributario
Fatti di causa
1. La Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, rigettava l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Salerno (n.452/10/2011), che aveva accolto il ricorso proposto da R.B. contro l’intimazione di pagamento, a lui notificata in data 6 novembre 2011, con la quale l’Agenzia delle entrate, tramite E.P. s.p.a., aveva chiesto il pagamento della somma di euro 29.266,51, per gli anni dal 1993 al 2002. Il giudice di prime cure rilevava che l’intimazione di pagamento non era stata preceduta della notifica nei termini delle cartelle. Il giudice d’appello rilevava che delle sei cartelle esattoriali, tre non erano state allegate e le altre tre erano solo in copia, come pure non erano state allegate le copie delle cartelle di pagamento. E.P. avrebbe dovuto produrre in atti sia la notifica delle cartelle che copia delle stesse.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione E.S. s.p.a.
3. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate, proponendo ricorso incidentale adesivo.
4. Resiste con controricorso il contribuente, depositando memoria scritta.
Ragioni della decisione
1. Con un unico motivo di impugnazione l’E.S. s.p.a. lamenta la “violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992-art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973-articoli 214-215 c.p.c.)-Error in iudicando -violazione dell’art. 360, primo comma, numeri 3 e 5 c.p.c. – violazione dell’art. 24 della Costituzione”. Per la ricorrente Equitalia dalla documentazione in atti emergerebbe che: la cartella n. 10020010113164166000 è stata notificata l’8 giugno 2001, come da estratto di ruolo munito di notifica; la cartella n. 10020060036987066000 è stata notificata il 7 ottobre 2006, come da estratto di ruolo munito di notifica; la cartella n. 10020010165626577000 è stata notificata il 2 gennaio 2002, come da estratto di ruolo munito di notifica; la cartella n. 1002001009653753000 è stata notificata l’8 giugno 2001, come da estratto di ruolo; la cartella di pagamento n. 10020010094490675000 è stata notificata il 6 giugno 2001, come da estratto di ruolo; la cartella di pagamento n. 10020000034592733 è stata notificata il 10 novembre 2000, come da estratto di ruolo. Pertanto, dagli estratti di ruolo prodotti (e per tre dei quali è stata anche prodotta la relativa notifica) emergerebbe che le cartelle sono state regolarmente e tempestivamente notificate, sicché, poiché nessuna opposizione è stata proposta avverso tali cartelle, le stesse sarebbero divenute definitive. Tale definitività non consentirebbe di poter ancora discutere della “debenza” del pagamento. Tra l’altro, dovrebbe applicarsi l’art. 25 del d.P.R. 602 del 1973 nella versione vigente ratione temporis, prima del 2005, essendo state notificate le cartelle, come detto, negli anni anteriori a tale data. La sentenza del giudice d’appello sarebbe, poi, errata nella parte in cui afferma che Equitalia aveva l’obbligo di produrre la cartella in forma integrale; in realtà, trattavasi di atti di cui il contribuente aveva avuto già integrale conoscenza per effetto della precedente notificazione, sicché non era necessario allegare le cartelle in forma integrale. Del resto, il contribuente non aveva mai disconosciuto la genuinità delle fotocopie prodotta da Equitalia.
2. Con il ricorso incidentale adesivo l’Agenzia delle entrate ha dedotto che i giudici di appello hanno ritenuto che non fosse stata fornita la prova della notifica delle cartelle, senza tenere in alcun conto la circostanza che le cartelle di pagamento erano state oggetto di rateazione ed in parte erano state pagate, come emerge dalla interrogazione dello stato di riscossione delle singole partite, già depositato dall’Ufficio in primo grado e depositato nuovamente nel giudizio di legittimità.
3. Il ricorso incidentale “adesivo”, così espressamente qualificato dall’Agenzia delle entrate, è tardivo e, quindi, inammissibile.
3.1. Invero, la sentenza della Commissione tributaria regionale è stata depositata il 18 giugno 2014, sicché il termine lungo per impugnare scadeva il 2 febbraio 2015; il termine lungo di cui all’art. 327 cod. proc. civ. è di sei mesi, in quanto il giudizio di prime cure è stato instaurato dopo il 4 luglio 2009; sicché il termine di sei mese ex computatione dierum scadeva il 18 dicembre 2014, dovendosi poi aggiungere i 46 giorni del periodo feriale (che diventano 31 solo per il periodo feriale relativo all’anno 2015). Il ricorso principale di Equitalia è stato spedito per la notifica il 30 gennaio 2005, mentre il controricorso della Agenzia delle entrate, contenente il ricorso incidentale, è stato spedito per la notifica l’11 marzo 2005, sicché è evidentemente “tardivo”, rispetto alla pubblicazione della sentenza pronunciata dalla Commissione regionale.
3.2. Per questa Corte le regole sull’impugnazione tardiva, sia ai sensi dell’art. 334 cod. proc. civ., che in base al combinato disposto di cui agli artt. 370 e 371 cod. proc. civ., si applicano esclusivamente a quella incidentale in senso stretto e, cioè, proveniente dalla parte contro cui è stata proposta l’impugnazione, mentre per il ricorso di una parte che abbia contenuto “adesivo” a quello principale si deve osservare la disciplina dell’art. 325 cod. proc. civ., cui è altrettanto soggetto qualsiasi ricorso successivo al primo, che abbia valenza d’impugnazione incidentale qualora investa un capo della sentenza non impugnato o lo investa per motivi diversi da quelli fatti valere con il ricorso principale – nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto inammissibile l’impugnazione incidentale tardiva proposta contro il ricorrente principale, ritenendo l’interesse all’impugnazione sorto già in conseguenza dell’emanazione della sentenza di appello e non per effetto del ricorso principale – (Cass., sez. 3, 24/08/2020, n. 17614; Cass., sez.un., 29/10/2020, n. 23903; Cass., sez. 5, 07/10/2015, n. 20040; Cass., sez. 3, 10/03/2008, n. 6284). Il ricorso incidentale “adesivo”, a differenza del ricorso incidentale in senso stretto, va proposto, a pena di inammissibilità, nel termine ordinario di impugnazione (Cass., sez. 2, 22/12/2021, n. 41254).
3.2. Sempre preliminarmente, si rileva la piena ammissibilità del ricorso principale presentato da E.S. in quanto la concessionaria alla riscossione ha impugnato integralmente il contenuto della motivazione della sentenza del giudice d’appello.
Tutti i profili decisori della motivazione della Commissione regionale sono stati oggetto di impugnazione: sia in ordine all’adempimento dell’onere di dimostrare l’avvenuta notificazione delle cartelle esattoriali; sia la mancata produzione in giudizio delle cartelle; sia la produzione in giudizio dei meri “estratti di ruolo”; sia l’affermazione che gli atti prodotti erano semplici fotocopie, mentre incombeva sul concessionario l’obbligo di produrre le cartelle in copia integrale e conforme all’originale.
4. Il ricorso principale proposto da E.S. s.p.a. è fondato.
4.1. Invero, sussiste la legittimazione passiva dell’Agenzia delle entrate. Per questa Corte, a sezioni unite, la mancata notificazione della cartella di pagamento comporta un vizio della sequenza procedimentale dettata dalla legge, la cui rilevanza non è esclusa dalla possibilità, riconosciuta al contribuente dall’art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992, di esercitare il proprio diritto di difesa a seguito della notificazione dell’avviso di mora, e che consente dunque al contribuente di impugnare quest’ultimo atto, deducendone la nullità per omessa notifica dell’atto presupposto o contestando, in via alternativa, la stessa pretesa tributaria azionata nei suoi confronti. In entrambi i casi, la legittimazione passiva spetta all’ente titolare del credito tributario e non già al concessionario, al quale, se fatto destinatario dell’impugnazione, incombe l’onere di chiamare in giudizio il predetto ente, se non vuole rispondere dell’esito della lite, non essendo il giudice tenuto disporre d’ufficio integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile nella specie un litisconsorzio necessario (Cass., sez. un., 25/07/2007, n. 16412). Pertanto, se l’azione del contribuente per la contestazione della pretesa tributaria a mezzo dell’impugnazione dell’avviso di mora è svolta direttamente nei confronti dell’ente creditore, il concessionario è vincolato alla decisione del giudice nella sua qualità di adiectus solutionis causa; se la medesima azione svolta nei confronti del concessionario, questi, se non vuole rispondere dell’esito eventualmente sfavorevole della lite, deve chiamare in causa l’ente titolare del diritto di credito. In ogni caso, l’avere il contribuente individuato nell’uno o nell’altro il legittimato passivo nei suoi confronti dirigere la propria impugnazione non determina l’inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell’ente creditore nell’ipotesi di azione svolta attraverso il concessionario, onere che, tuttavia, grava su quest’ultimo, senza che il giudice adito debba ordinare l’integrazione del contraddittorio. La risposta non può essere diversa per il caso in cui il contribuente, a fondamento dell’impugnazione dell’atto consequenziale, abbia dedotto l’omessa notificazione dell’atto presupposto. Nella fattispecie in esame, erano presenti già nel giudizio di prime cure sia l’Agenzia delle entrate che E.S. s.p.a. Le parti, trattandosi di cause tra loro inscindibili, sono state presenti anche nel grado di appello e sono presenti correttamente anche nel giudizio di legittimità.
Resta pacifico, comunque, che, in materia di impugnazione della cartella esattoriale, la tardività della notificazione della cartella non costituisce vizio proprio di questa, tale da legittimare in via esclusiva il concessionario a contraddire nel relativo giudizio (Cass., sez. 5, 24/04/2018, n. 10019; Cass., sez. 5, 30/10/2007, n. 22939; Cass., sez. 5, 14/05/2014, n. 10477, in quanto viene meno il diritto di richiedere il tributo). La legittimazione passiva spetta, pertanto, all’ente titolare del credito tributario e non già al concessionario, al quale, se è fatto destinatario dell’impugnazione, incombe l’onere di chiamare in giudizio l’ente predetto, se non vuole rispondere all’esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio, in quanto non è configurabile nella specie un litisconsorzio necessario.
5. Va, però, osservato che è pacifico in causa che il contribuente abbia chiesto la rateizzazione del pagamento delle somme portate dalle cartelle ed abbia anche proceduto al pagamento di parte del dovuto. Infatti, dalla motivazione della sentenza del giudice d’appello emerge che l’Agenzia delle entrate, con l’atto di appello ha evidenziato che “le interrogazioni dello Stato di riscossione delle singole partite-che si allegano-fanno evincere che le cartelle di pagamento sono state tutte notificate, atteso che le stesse sono state oggetto di rateizzazione ed in parte pagate”. Tali specifiche affermazioni non sono state mai contestate dal contribuente nel corso del giudizio.
Questa Corte ha già affermato, con riferimento al riconoscimento dell’altrui diritto, al quale l’art. 2944 cod. civ. ricollega l’effetto interruttivo della prescrizione, che lo stesso non ha natura negoziale ma costituisce un atto giuridico in senso stretto, di carattere non recettizio, il quale non richiede, in chi lo compie, una specifica intenzione ricognitiva, occorrendo solo che contenga, anche implicitamente, la manifestazione della consapevolezza dell’esistenza del debito e riveli i caratteri della volontarietà (Cass., sez. L., 07/09/2007, n. 18904). Il riconoscimento del diritto può, quindi, anche essere tacito concretarsi in un comportamento obiettivamente incompatibile con la volontà di disconoscere la pretesa del creditore. Con specifico riferimento all’istanza di rateazione del debito, poi, questa Corte ha affermato che la domanda di rateizzazione del debito contributivo proposta dal debitore, anche se corredata dalla formula di salvezza dei diritti connessi all’esito di accertamenti giudiziali in corso unitamente ai pagamenti trimestrali effettuati secondo le previsioni dell’art. 1, comma 2-ter, del decretolegge n. 78 del 1998, la quale ha previsto solo modalità agevolate di estinzione di quel debito, configura un riconoscimento di quest’ultimo, con conseguente interruzione della prescrizione quinquennale, il cui nuovo termine decorrerà dalla scadenza delle singole rate (Cass., sez. L., 15/07/2021, n. 20260; Cass., sez. L., 26/04/2017, n. 10327; Cass., sez. 6-L, 29/12/2015, n. 26013).
La richiesta di rateizzazione, però, non comporta solo l’interruzione della prescrizione, costituendo il riconoscimento dell’altrui diritto, ma, seppure non costituisca la definitiva abdicazione del contribuente al diritto di far valere le proprie ragioni in sede giudiziaria (Cass., sez. 5, 29/09/2005, n. 19100; Cass., sez. 5, 08/02/2017, n. 3347), tuttavia fa ritenere conosciute le cartelle di pagamento cui si riferiscono le somme di cui si è chiesta la rateizzazione (Cass., sez. 6-5, 18/06/2018, n. 16098). Si è infatti affermato, in tale ultima pronuncia, che, se è vero che di per sé, in materia tributaria, non può costituire acquiescenza da parte del contribuente l’avere chiesto ed ottenuto, senza riserva alcuna, la rateizzazione degli importi indicati nelle cartelle di pagamento, nondimeno il riconoscimento del debito comporta in ogni caso l’interruzione del decorso del termine di prescrizione e si pone, quindi, in maniera incompatibile con l’allegazione del contribuente di non avere ricevuto notifica delle cartelle.
Pertanto, ha errato il giudice d’appello nel dare rilievo al fatto che l’Agenzia delle entrate ed E.S. non avessero fornito la prova della notifica delle cartelle prodromiche alla intimazione di pagamento notificata in data 6 novembre 2011.
Pertanto, ogni questione in ordine alla tardività della notifica delle cartelle, ai sensi dell’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, risulta assorbita.
Peraltro, con riferimento alla questione sollevata in relazione all’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, in relazione a cartelle emesse prima del 2005 ed, in particolare, negli anni 2000, 2001 e 2002, questa Corte ha ritenuto applicabile in via retroattiva il termine quinquennale di cui ai commi 5-bis e 5-ter dell’art. 1 del decreto legge 17 giugno 2005, n. 106. Si è ritenuto, quindi, che, in tema di riscossione delle imposte sui redditi, l’art. 1 del d.l. 17 giugno 2005, n. 106, convertito con modificazioni nella legge 31 luglio 2005, n. 156 – emanato a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 280 del 2005 di declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973 -, che ha fissato, al comma 5-bis, i termini di decadenza per la notifica delle cartelle di pagamento relative alla pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni ed ha stabilito all’art. 5-ter, sostituendo il comma secondo dell’art. 36 del d.lgs. 29 febbraio 1999, n. 46, che per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione delle dichiarazioni, la cartella di pagamento debba essere notificata, a pena di decadenza, per le dichiarazioni presentate entro il 31 dicembre 2001, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, ha un inequivoco valore transitorio e trova applicazione non solo alle situazioni tributarie anteriori alla sua entrata in vigore, ma anche a quelle non ancora definite con sentenza passata in giudicato, operando retroattivamente, sia in quanto introdotto per eliminare una lacuna normativa verificatasi per effetto di pronuncia costituzionale e per garantire – oltre che l’interesse del contribuente – l’interesse dell’erario di evitare un termine decadenziale talmente ristretto da pregiudicare la riscossione dei tributi, sia in considerazione del tenore testuale dell’esordio dei commi 5 bis e 5 ter. – In applicazione di questo principio, la S.C. ha ritenuto applicabile il termine quinquennale di cui ai commi 5-bis e 5-ter dell’art. 1 del d.l. citato anche in caso di ruolo reso esecutivo prima del 31 dicembre 2001, trattandosi di dichiarazione Iva relativa all’anno di imposta 1997, presentata nel 1998, con scadenza dei 5 anni al 31 dicembre 2003 – (Cass., sez. 5, 05/10/2012, n. 16990; Cass., sez. 5, 05/04/2013, n. 8406; Cass., sez. 5, 09/07/2014, n. 15661; Cass., sez. 5, 13/12/2017, n. 29845).
6. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
7. Con riferimento alla pronuncia di inammissibilità del ricorso incidentale adesivo non opera a carico dell’Agenzia ricorrente il raddoppio del contributo unificato (Cass., 890/2017; Cass., 5955/2014).
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale adesivo; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, sezione distaccata di Salerno, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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