CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 luglio 2019, n. 18982
Tributi – Accertamento – Reddito d’impresa – Adeguamento al ricavo minimo degli studi di settore – Verifica fiscale – Gestione antieconomica, disordine contabile e contraddittorietà nelle dichiarazioni – Determinazione maggiori ricavi – Applicazione studi di settore – Legittimità
Fatti di causa
G.B., esercente l’attività commerciale di confezione di biancheria intima e corsetteria, proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Treviso avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Amministrazione finanziaria, a seguito di verifica fiscale, aveva accertato maggiori redditi, con conseguente recupero a tassazione di IRPEF, IRAP e I.V.A. per l’anno d’imposta 2006.
Il ricorrente deduceva, in particolare, l’illegittimità dell’accertamento per avvenuto adeguamento al ricavo minimo previsto dallo studio di settore ed il difetto di prova di maggiori corrispettivi.
I giudici di primo grado accoglievano il ricorso ed avverso tale decisione proponeva appello l’Ufficio dinanzi alla Commissione tributaria regionale che, in riforma della sentenza impugnata, rilevava che l’Amministrazione finanziaria poteva procedere alla rettifica delle dichiarazioni dei redditi di impresa anche in presenza di contabilità formalmente regolare e che, nel caso di specie, i ricavi effettivi erano stati ricostruiti sulla base di presunzioni assistite dai requisiti previsti dall’art. 2729 cod. civ.
Precisava, al riguardo, che in sede di processo verbale di constatazione e nell’avviso di accertamento l’Agenzia delle Entrate aveva evidenziato notevoli anomalie <sia nell’indice di redditività delle vendite sia, più in generale, nella redditività dell’attività d’impresa (che appariva finalizzata quasi esclusivamente a remunerare i debiti contratti), in presenza di irregolarità verificate nell’adempimento degli obblighi fiscali relativi alla contabilizzazione dei ricavi ed alla indicazione degli elementi utili ai fini dell’applicazione degli studi di settore”, sottolineando che dal complesso di tali elementi «emergevano disordine contabile e contraddittorietà nelle dichiarazioni del contribuente tali da legittimare il metodo utilizzato dall’Ufficio nella ricostruzione della produzione (mettendo in puntuale relazione funzionale le etichette segnataglia con la stoffa e gli altri materiali utilizzati) e quindi agli effettivi incassi dell’impresa”.
Considerato che a fronte della contestata antieconomicità della gestione dell’impresa non era stata dimostrata dal contribuente la correttezza della condotta gestionale, confermava l’atto impositivo impugnato.
Ricorre per la cassazione della suddetta decisione G.B., affidandosi a due articolati motivi.
L’Agenzia delle Entrate non ha svolto attività difensiva.
Il contribuente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce “illegittimità della sentenza impugnata – illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato – adeguamento della ricorrente al ricavo minimo previsto dallo studio di settore
– congruità dei ricavi dichiarati nel corso del 2006 dalla ditta B.G.
– mancanza e/o carenza di prova in ordine all’asserita esistenza di corrispettivi non dichiarati – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 62 sexies del d.l. 331/1993 e 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600/1973 – omessa motivazione su un fatto decisivo per la controversia – merito alla pretesa esistenza di maggiori ricavi presunti – infondatezza della pretesa impositiva – illegittimità della sentenza impugnata – art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ.”.
Osserva che è incontestato che la ditta si sia adeguata al ricavo minimo o di riferimento previsto dallo studio di settore in relazione ad aziende operanti nel medesimo settore aziendale e che la ripresa fiscale è stata eseguita sulla base di un mero indice presuntivo contrastante con la realtà aziendale; in particolare, sottolinea che la ricostruzione operata dall’Ufficio si fonda su un numero di segnataglie non idoneo di per sé a supportare l’esistenza di maggiori ricavi, come rilevato nella sentenza di primo grado, di cui viene trascritto uno stralcio in ricorso.
2. Con il secondo motivo, si deduce “illegittimità della sentenza impugnata – illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato – adeguamento della ricorrente al ricavo minimo previsto dallo studio di settore – congruità dei ricavi dichiarati nel corso del 2006 dalla ditta B.G. – mancanza e/o carenza di prova in ordine all’asserita esistenza di corrispettivi non dichiarati – omesso esame di un fatto decisivo della controversia erronea pronuncia in ordine all’esistenza di presunzioni gravi precise e concordanti – motivazione in merito alla pretesa esistenza di maggiori ricavi presunti – omessa e/o carente e/o insufficiente motivazione degli avvisi di accertamento impugnati – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 39 del d.P.R. n. 600/1973, 3 l. n. 241/1990 e 7 l. n. 212/2000 cd. Statuto del contribuente – infondatezza della pretesa impositiva – illegittimità della sentenza impugnata – art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ.”.
Rileva che il processo verbale di constatazione non aveva mosso alcuna contestazione in relazione alla quantità di stoffa utilizzata per il confezionamento delle camicie e che all’esito dei controlli i verificatori avevano riscontrato delle incongruenze desunte dai seguenti dati: 1) utilizzo di etichette “marchio” nel corso dell’anno per un numero di 17.540; 2) utilizzo di etichette “segnataglia” nel corso dell’anno per un numero di 11.910; 3) utilizzo di n. 84140 bottoni, divisi per nove pari al numero di bottoni per camicia, n. 9.348 capi; dei tre dati avevano poi valorizzato quello corrispondente al numero di segnataglia, dal quale aveva poi ricavato il numero di camicie confezionate nell’anno in contestazione.
Osserva, inoltre, che nel corso dell’anno in esame aveva provveduto a modificare il proprio marchio di fabbrica ed aveva, pertanto, cessato di utilizzare le vecchie etichette, che conservava in casa, apponendo alle camicie solo quelle nuove che aveva ordinato; conseguentemente, ad avviso del ricorrente, essendo stato utilizzato un solo elemento presuntivo che non appariva fornito dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, l’operato dell’Amministrazione non poteva ritenersi corretto e la sentenza impugnata, che si era limitata a recepire acriticamente gli elementi offerti dall’Ufficio, omettendo di valutare e di motivare in relazione alle altre circostanze di fatto evidenziate dalla parte contribuente, era affetta dai vizi denunciati.
3. I motivi dedotti, essendo strettamente connessi, possono essere trattati unitariamente e sono inammissibili.
4. Entrambi i motivi censurano la decisione impugnata sia per violazione di disposizioni di legge sia per vizi di motivazione.
4.1. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (Cass. Sez. U., n. 9100 del 6 maggio 2015), in materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sé, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati.
4.2. Il ricorso per cassazione che cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 cod proc. civ., risulta quindi ammissibile, allorché esso comunque evidenzi in modo specifico la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. n. 9793 del 23 aprile 2013).
4.3. Deve, al contrario, ritenersi inammissibile la mescolanza di mezzi di impugnazione tra loro eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 cod. proc. civ., qualora le diverse censure non conservano una loro autonomia e non consentano di distinguere i profili che attengono strettamente alla violazione o falsa applicazione della norma da quelli che investono l’omessa motivazione su un punto rilevante e decisivo della causa.
4.4. Nella fattispecie in esame, l’esposizione cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze probatorie acquisite nel corso del giudizio di merito e l’asserita illegittimità dell’accertamento operato dall’Ufficio per violazione delle disposizioni di legge denunciate in rubrica impone al giudice di legittimità di isolare le singole censure proposte, al fine di ricondurle ad uno dei parametri d’impugnazione previsti dall’art. 360 cod. proc. civ. per poi decidere successivamente su di esse, sicché le censure, così come prospettate e dedotte, non sono ammissibili.
5. Va, inoltre, rilevato che entrambi i motivi di ricorso, laddove invocano il parametro di cui all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., risultano inammissibili anche sotto altro profilo.
L’interpretazione di questa Corte ha chiarito come l’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.
Ciò comporta che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico rilevante in causa sia stato preso in considerazione dal giudice, ancorché la L sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, n. 8053 del 7 aprile 2014).
Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento, ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. n. 7983 del 4 aprile 2014; n. 17761 del 8 settembre 2016; n. 29883 del 13 dicembre 2017; n. 21152 del 8 ottobre 2014; Cass. Sez. U., n. 5745 del 23 marzo 2015). Non costituiscono, invece, “fatti”, il cui omesso esame può determinare il vizio ex art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., le argomentazioni o le deduzioni difensive (Cass. n. 14802 del 14 giugno 2017; n. 21152 del 8 ottobre 2014), gli elementi istruttori e una moltitudine di circostanze e di fatti (Cass. n. 21439 del 21 ottobre 2015).
5.1. Nel caso in esame, il ricorrente non ha indicato il “fatto” storico rilevante e decisivo che i giudici di appello, nell’accogliere l’appello dell’Ufficio, avrebbero omesso di prendere in considerazione, ma ha piuttosto richiamato le deduzioni difensive fatte valere in primo grado e riproposte nel giudizio di appello, già sottoposte al vaglio della Commissione regionale, la quale ha ritenuto che gli elementi presuntivi offerti dall’Ufficio siano dotati di requisiti di gravità, precisione e concordanza e siano idonei a giustificare la ricostruzione dei maggiori redditi operata in sede di verifica.
Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, i giudici regionali hanno chiaramente posto in rilievo che l’accertamento analitico-induttivo, del tutto legittimo anche in presenza di contabilità formalmente regolare, ha fatto emergere una incongruenza dei dati contabili e una antieconomicità della gestione d’impresa, “che appariva finalizzata quasi esclusivamente a ripianare debiti contratti”, ed hanno, di conseguenza, ritenuto che la ricostruzione della produzione, operata dai verificatori mettendo in relazione le etichette segnataglia con la stoffa e gli altri materiali (quali i bottoni) utilizzati per la realizzazione delle camicie, offrisse pieno riscontro degli effettivi ricavi dell’impresa. In difetto di prove contrarie non offerte dal contribuente, hanno pertanto confermato la ripresa a tassazione, evidenziando peraltro che l’avviso di accertamento impugnato risulta congruamente motivato.
Il giudizio espresso dai giudici regionali risulta esaustivo ed adeguatamente motivato, mentre le generiche argomentazioni e deduzioni difensive esposte dal ricorrente con i mezzi di ricorso non rispettano la nuova formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5 e non superano pertanto il vaglio dell’inammissibilità.
6. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Nulla deve disporsi in merito alle spese del giudizio di legittimità, in assenza di attività difensiva della parte intimata.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 19 novembre 2019, n. 30064 - In materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo,…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 13 aprile 2021, n. 9616 - Il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sé, ragione…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 07 luglio 2021, n. 19369 - La circostanza che l'unico motivo di ricorso sia articolato in più profili, ciascuno dei quali avrebbe ben potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non è certo, di per sé sola,…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 21 maggio 2019, n. 13657- In materia di ricorso per cassazione, l'articolazione di un singolo motivo in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, costituisce…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 04 giugno 2019, n. 15233 - In materia di ricorso per cassazione, l'articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d'inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 02 ottobre 2020, n. 21204 - In materia di ricorso per cassazione l'articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d'inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 10267 depositat…
- L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione
L’Iva detratta e stornata non costituisce elusione, infatti il risparmio fiscale…
- Spese di sponsorizzazione sono deducibili per pres
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 6079 deposi…
- E illegittimo il licenziamento del dipendente in m
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 8381 depositata…
- Illegittimo il licenziamento per inidoneità fisica
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 9937 depositata…