CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 luglio 2019, n. 18992
Tributi – ICI – Variazione di rendita catastale – Applicazione retroattiva – Istanza di autotutela per la disapplicazione delle sanzioni – Diniego – Impugnabilità limitata alle ragioni di illegittimità di rifiuto – Esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto
Fatti di causa
1. – La PAL Impianti di P. G. & C. S.a.s. ha ricevuto dal Comune de L’Aquila avviso di accertamento per il pagamento dell’ICI anno 2007 oltre la sanzione per omessa comunicazione e interessi. La società ha presentato istanza di revisione in autotutela al Comune, deducendone la erroneità per avere applicato retroattivamente le variazioni delle rendite catastali e cioè per periodi antecedenti alla notificazione della variazione della rendita. Il Comune ha rigettato detta istanza e la società ha proposto ricorso avverso questo diniego alla Commissione Tributaria Regionale.
2. – La CTP ha ritenuto inammissibile il ricorso e la CTR con sentenza depositata in data 21 novembre 2016 ha confermato la sentenza di primo grado, rilevando che le questioni sollevate dall’appellante avrebbero dovuto costituire oggetto di impugnazione dell’avviso di accertamento che invece, non impugnato, era divenuto definitivo.
3. – Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione la società, affidato a due motivi. Si costituisce con controricorso il Comune.
Ragioni della decisione
4. – La società ricorrente premette che, preso atto dell’ormai consolidato orientamento di questa Corte in ordine alla decorrenza delle attribuzioni o variazioni della rendita catastale, non insiste nella dedotta irretroattività della rendita catastale, limitandosi a sindacare il rigetto della domanda di autotutela sotto il profilo delle sanzioni. Con il primo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 4 c.p.c. la violazione dell’art. 112 c.p.c., il travisamento dei fatti e l’omessa motivazione. Il giudice di merito, secondo la ricorrente ha travisato la domanda ritenendo che riguardi il merito della pretesa tributaria, mentre essa società aveva invece impugnato il rifiuto di autotutela nei termini in cui esso è consentito, secondo l’orientamento dato dalla Corte di Cassazione, e cioè per la illegittimità del rifiuto, indicando la norma violata nell’art. 74 della legge 342/2000. Di contro, la CTP prima e la CTR dopo, hanno ritenuto il ricorso inammissibile ritenendo insuperabile la definitività dell’accertamento, non esaminando le dedotte ragioni di illegittimità del rifiuto di autotutela. In particolare la ricorrente evidenzia che il profilo di illegittimità dedotto – nel quale oggi insiste – è la applicazione di una sanzione contraria alla legge, in assenza di condotta punibile e per vizio di motivazione.
Con il secondo motivo di ricorso la parte lamenta ai sensi dell’art. 360 nn. 1 e 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omessa pronuncia per travisamento della domanda, avendo dedotto la illegittimità del rifiuto di autotutela per violazione dell’art. 2 comma 1 D.Lgs. 504/1992, non essendo imponibili i fabbricati in costruzione e avendo omesso il giudice di merito di pronunciarsi sul punto. Deduce che l’interesse da lei fatto valere è quello “generale di esigere dall’ente un comportamento conforme a legge”.
5. – I motivi possono esaminarsi congiuntamente essendo entrambi infondati per quanto appresso si dirà.
La ricorrente non coglie la ratio decidendi del giudice di merito, che è invece pienamente conforme al consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale il ricorso avverso il diniego di autotutela è certamente ammissibile, ma il sindacato può esercitarsi, nelle forme ammesse sugli atti discrezionali, soltanto sulla legittimità del rifiuto e non sulla fondatezza della pretesa tributaria; pertanto, il contribuente non può limitarsi a dedurre eventuali vizi dell’atto medesimo, la cui deduzione deve ritenersi definitivamente preclusa a seguito della sua intervenuta definitività, ma deve prospettare l’esistenza di un interesse di rilevanza generale dell’Amministrazione alla rimozione dell’atto: ciò in quanto non è dato al giudice tributario di invadere la sfera discrezionale esercitata dalla pubblica amministrazione nell’esercizio del potere di annullamento dell’atto amministrativo in autotutela, pena il superamento dei limiti esterni della giurisdizione medesima (Cass. n. 7616/2018; n. 21146/2018; n. 3442/2015).
Poiché il sindacato sul diniego può esercitarsi solo sulla legittimità di rifiuto e non sulla fondatezza della pretesa tributaria, le ragioni di illegittimità del rifiuto non possono essere confuse con le ragioni di (pretesa) illegittimità dell’atto di accertamento divenuto definitivo, né identificate con una generica pretesa alla legalità dell’azione amministrativa, correlata pur sempre alla dedotta illegittimità dell’atto impositivo. Si tratta infatti di un interesse generico ed astratto, mentre per contestare la legittimità del rifiuto occorre dedurre un interesse concreto e specifico, ma anche di carattere generale, cioè travalicante quello individuale della parte in causa (Cass. 4937/2019); diversamente, si violerebbe non solo la regola della non ingerenza nella sfera della discrezionalità della pubblica amministrazione ma anche quello della certezza dei rapporti, perché in tal modo, senza limiti temporali definiti, la parte potrebbe sempre rimettere in discussione l’avviso, sollecitando il potere di autotutela e poi impugnando il rifiuto.
La decisione della CTR che ha rigettato l’appello avverso la pronuncia di inammissibilità, resa dal giudice di primo grado, è pertanto condivisibile; si deve aggiungere che la decisione – In senso negativo – sul profilo della ammissibilità del ricorso esenta il giudice di secondo grado dal considerare i profili di merito.
Il ricorso è pertanto da rigettare, con la conseguente condanna della società ricorrente alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.100,00 oltre rimborso spese forfetarie ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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