CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 luglio 2019, n. 19023
Licenziamento – Ammanco di denaro – Accertamento di responsabilità contrattuale – Entità della violazione dell’obbligo di diligenza nella custodia del denaro
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Roma, con sentenza nr. 11336 del 2014, respingeva la domanda di impugnativa del licenziamento, intimato il 2 novembre 2011, da P.I. SpA a R. M.
2. La Corte di Appello di Roma, con sentenza nr. 5698 del 2016, accoglieva il gravame del lavoratore ed, in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava l’illegittimità del licenziamento con ogni conseguenza reintegratoria e risarcitoria, ex art. 18 della legge nr. 300 del 1970, ratione temporis applicabile.
2.1. In estrema sintesi, la Corte territoriale ha premesso che al lavoratore, direttore di Ufficio postale in Roma, erano stati contestati due episodi di ammanco di denaro nell’ATM («A.T.M.»), emersi in occasione di temporanee sostituzioni (del lavoratore medesimo) da parte di colleghi, senza una regolare procedura di passaggio di consegne e senza che fossero emersi difetti di funzionamento del dispositivo.
La Corte territoriale ha osservato:
I. che il lavoratore era stato assolto dal reato di appropriazione indebita ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod.proc.pen., perché il fatto non sussiste;
II. che l’accertamento di responsabilità contrattuale andava circoscritto solo ad un episodio (il secondo) avendo il Tribunale giudicato tardiva la contestazione rispetto all’altro;
III. che, in sede civile, occorreva valutare l’entità della violazione dell’obbligo di diligenza nella custodia del denaro;
IV. che la norma contrattuale richiamata dalla società prevedeva la sanzione del licenziamento senza preavviso solo in relazione a « violazioni dolose […]»;
V. che, nella condotta del lavoratore, andava escluso il dolo, non dimostrato in sede penale e comunque non contestato, avendo la stessa società ricondotto l’inadempimento a «colpevole assenza di vigilanza»;
VI. che, dunque, la condotta imputabile al lavoratore non rientrava nelle ipotesi per cui era previsto il licenziamento senza preavviso, ai sensi del CCNL applicato al rapporto;
VII. che il licenziamento era, pertanto, illegittimo.
3. Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso PI spa, affidato a tre motivi.
4. Ha resistito, con controricorso, il lavoratore che ha, altresì, depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Deve essere, preliminarmente, respinta l’eccezione di «inammissibilità» del ricorso per difetto di procura speciale. La questione risulta posta dalla difesa del lavoratore che assume la mancanza, nella procura apposta nella prima pagina a margine del ricorso, di un chiaro riferimento al potere del difensore di proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza impugnata.
1.1. Osserva il Collegio come debba, in questa sede, confermarsi l’orientamento per cui il mandato apposto in calce o a margine del ricorso per cassazione è, per sua natura, speciale, senza che occorra per la sua validità alcuno specifico riferimento al giudizio in corso od alla sentenza contro la quale si rivolge, poiché il carattere di specialità è deducibile dal fatto che la procura al difensore formi materialmente corpo con il ricorso (o con il controricorso) al quale essa si riferisce (Cass nr. 1205 del 2015; Cass. nr. 15692 del 2009, in motivazione, Cass. nr. 7014 del 2017).
2. Passando ai motivi di ricorso, con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 n cod.proc.civ. – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge nr del 1970, degli articoli 1175, 1375, 2094, 2104, 2105, 2106 e 2119 del codice civile nonché dell’articolo 654 cod. proc. civ. e del principio di indipendenza del giudizio penale da quello civile; inoltre – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 132, comma 2, nr. 4 cod.proc.civ. e dell’art. 118 disp.att. cod.proc.civ. in relazione all’art. 2119 cod.civ. nonché – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. – omessa motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio.
2.1. Secondo la parte ricorrente, la Corte di appello di Roma, pur formalmente enunciando il principio di indipendenza del giudizio civile rispetto a quello penale, avrebbe poi acriticamente recepito le conclusioni del giudice penale, traendo, cioè, dall’assoluzione del lavoratore dal reato di appropriazione indebita, l’automatico convincimento dell’insussistenza di un inadempimento contrattuale.
La Corte di appello avrebbe cioè omesso di valutare i fatti prospettati da P. che, laddove indagati attraverso le prove documentali e testimoniali, avrebbero consentito di accertare circostanze decisive ai fini della sussistenza della giusta causa di licenziamento; tra gli altri, il ruolo ricoperto dal lavoratore, il rifiuto opposto alla collega che lo avrebbe sostituito di effettuare il passaggio di consegne, l’ammissione, da parte dello stesso M., che l’ultima conta delle banconote era stata fatta il 13.5.2010.
3. Con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ.- è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 cod.proc.civ. e dell’art. 654 cod.proc.civ. nonché – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. – omessa motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio.
3.1. La parte ricorrente imputa alla sentenza impugnata di essersi pronunciata su questioni del tutto estranee al giudizio, così violando le norme riportate in rubrica.
4. Con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 della legge nr. 300 del 1970, dell’art. 54 del CCNL dell’11.7.2007 e degli artt. 1175, 1375, 2094, 2104, 2105, 2106 e 2119 cod.civ.
4.1. Si imputa alla sentenza di non aver indagato in merito alla reale entità e gravità del comportamento addebitato al dipendente, anche in ragione del ruolo ricoperto dal lavoratore, e di non aver considerato che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha valenza meramente esemplificativa e non esclude, perciò, la sussistenza della giusta causa, ex art. 2119 cod.civ., per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comunque etica e del comune vivere civile, alla sola condizione che tale grave inadempimento o tale grave comportamento abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.
5. Per ragioni di carattere logico va anteposto l’esame del terzo motivo con cui, in sostanza, si affronta la questione del rapporto tra disciplina contrattuale del licenziamento e disciplina legale.
5.1. Come è noto quella di giusta causa di licenziamento è nozione legale che prescinde dalla previsione del contratto collettivo.
5.2. La giurisprudenza prevalente di questa Corte afferma che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, valenza meramente esemplificativa, sicché non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito in ordine alla idoneità di un grave inadempimento o di un grave comportamento del lavoratore, contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (cfr. in termini Cass. nr. 27004 del 2018 ed ivi le richiamate Cass. nr. 14321 del 2017; Cass. nr. 2830 del 2016 e Cass. nr. 9223 del 2015); ne consegue che il giudice chiamato a verificare l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di licenziamento incontra solo il limite che non può essere irrogato un licenziamento per giusta causa quando questo costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione (id est: alla condotta contestata al lavoratore) (oltre Cass. nr. 27004 del 2018 e Cass. nr. 14321 del 2017 citate anche Cass. nr. 6165 del 2016 e nr. 19053 del 2005).
5.3. Al giudice del merito è consentito, perciò, di escludere che un comportamento, pur sanzionato dal contratto collettivo con il licenziamento, integri una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo di licenziamento, avuto riguardo sia alle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato sia alla compatibilità con il principio di proporzionalità.
5.4. Stante, però, l’inderogabilità della disciplina dei licenziamenti, il giudice è sempre tenuto a verificare se la previsione del contratto collettivo sia conforme alle nozioni di giusta causa e giustificato motivo (in argomento, Cass. nr. 6498 del 2012, in motivaz.); come è stato già affermato (Cass. nr. 9396 del 2018 ), la scala di valori recepita dai contratti collettivi esprime le valutazioni delle parti sociali in ordine alla gravità di determinati comportamenti e costituisce solo uno dei parametri a cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto le clausole generali di giusta causa e giustificato motivo soggettivo. Queste ultime possono anche non coincidere completamente o esaurirsi nelle previsioni della contrattazione collettiva.
5.5. Ne discende che il giudice deve verificare la condotta, in tutti gli aspetti soggettivi ed oggettivi che la compongono, anche al di là della fattispecie contrattuale prevista (Cass. nr. 27004 del 2018, in motivazione, § 7.5.).
6. A tali principi non si è, invece, attenuta la Corte di appello che si è limitata ad osservare come l’inadempimento contestato al lavoratore, dal datore di lavoro, fosse di natura colposa mentre il codice disciplinare (id est: la norma contrattuale richiamata dalla società) prevedesse la sanzione del licenziamento esclusivamente per condotte dolose ed ha ritenuto, quindi, superfluo accertare «l’entità della violazione dell’obbligo di diligenza nella custodia del danaro» concretamente commessa senza, peraltro, indagare se la condotta imputabile al lavoratore fosse punita con sanzione conservativa; in tale ultima ipotesi precludendosi la possibilità del licenziamento.
7. La sentenza della Corte di appello di Roma deve essere, dunque, cassata con rinvio ad altro giudice del merito che, nel riesaminare la fattispecie, procederà ad una nuova valutazione dei fatti, anche nella prospettiva dell’art. 2119 cod.civ.
8. Restano assorbiti gli altri motivi di ricorso.
9. Al giudice di rinvio è rimessa, altresì, la regolazione anche delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in merito alle spese del giudizio di legittimità.
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