CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 maggio 2019, n. 13202
Sussistenza del rapporto di lavoro subordinato – Omessa contribuzione – Sopravvenuta prescrizione – Costituzione della rendita vitalizia
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Ancona, con sentenza n.39/2014, ha accolto l’appello proposto dall’INPS nei confronti di D. M. e della s.p.a. D. V. avverso la sentenza del Tribunale in funzione di Giudice del lavoro di Camerino che aveva accolto la domanda di D. M. volta ad ottenere, con l’adesione della D. V. s.p.a., la costituzione della rendita vitalizia a copertura dei periodi di omessa contribuzione prescritta e relativa al periodo ottobre 1977 – 30 giugno 1979.
2. Ad avviso della Corte territoriale, non poteva condividersi l’assunto del Tribunale che aveva ritenuto sussistente la prova idonea dello svolgimento del rapporto di lavoro, ravvisandola nella documentazione acquisita, dal momento che, seppure dopo la pronuncia della Corte Costituzionale n. 568 del 1989 fosse consentito provare anche non per iscritto la durata del rapporto e l’importo della retribuzione, non poteva certo ritenersi idonea la dichiarazione postuma della amministratrice della società datrice di lavoro, né la conclusione della perizia di parte attestante l’attribuibilità alla M. di iscrizioni ed annotazioni sui libri contabili della società.
3. Avverso tale pronuncia, D. M. ricorre per cassazione con due motivi principali, uno subordinato e prospettando dubbio di legittimità costituzionale relativo all’art. 13 della legge n. 1338 del 1962 in relazione agli artt. 1, 3, 24, 36 e 38 Cost.
4. L’Inps resiste con controricorso. D. V. s.p.a. è rimasta intimata.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e o falsa applicazione dell’art. 13 della legge n. 1338 del 1962 e si evidenzia che in ragione della giurisprudenza costituzionale e di legittimità formatasi sull’interpretazione della disposizione deve ritenersi l’assenza di vincoli specifici sulla tipologia di documenti da cui può trarsi il convincimento della sussistenza del rapporto di lavoro in questione con la conseguenza che anche la documentazione offerta dalla M. (scritture contabili obbligatorie tenute dalla società datrice D. V. s.p.a. redatte dalla stessa lavoratrice, dichiarazione postuma dell’amministratrice della società e perizia grafica giurata) deve ritenersi idonea e sufficiente a provare la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato oggetto di accertamento.
2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2704 cod.civ. con riferimento all’art. 13 l. n. 1338 del 1962 in ragione della indiscutibile natura di documento di data certa dal quale possa evincersi l’effettiva esistenza del rapporto di lavoro che va riconosciuta alle scritture contabili allegate in atti, giacché sulle stesse risulta essere stato apposto il timbro dell’Ufficio del Registro di Camerino e la firma di un pubblico ufficiale nella persona del Direttore.
3. Il terzo motivo, formulato in via subordinata rispetto ai precedenti, censura la decisione della Corte d’appello di Ancona in ragione della prevalenza, rispetto alla ritenuta infondatezza della pretesa, di ragioni <sul piano umano che avrebbero dovuto condurre la Corte territoriale a compensare le spese del giudizio.
4. In via subordinata, inoltre, viene sollecitata la rimessione alla Corte Costituzionale della questione relativa alla illegittimità dell’art. 13 l. n. 1338 del 1962 in relazione agli artt. 1, 3, 24, 36 e 38 Cost. in ragione delle osservazioni formulate a sostegno dei motivi di ricorso.
5. I primi due motivi, evidentemente connessi, vanno trattati congiuntamente e sono infondati alla luce della interpretazione dell’art. 13 l. n. 1338 del 1962 che si è consolidata nella giurisprudenza costituzionale e di legittimità, recentemente richiamata e confermata da Cass. n. 17533 del 2017 nei termini che seguono.
6. L’art. 13 della L. n. 1338/1962, per quanto di interesse in questa sede, così dispone: «Ferme restando le disposizioni penali, il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e i superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione ai sensi dell’articolo 55 del Regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, può chiedere all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale di costituire, nei casi previsti dal successivo quarto comma, una rendita vitalizia reversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi.».
I successivi commi 4 e 5, prevedono che: «Il datore di lavoro è ammesso ad esercitare la facoltà concessagli dal presente articolo su esibizione all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale di documenti di data certa, dai quali possono evincersi la effettiva esistenza e la durata del rapporto di lavoro, nonché la misura della retribuzione corrisposta al lavoratore interessato. ». «Il lavoratore, quando non possa ottenere dal datore di lavoro la costituzione della rendita a norma del presente articolo, può egli stesso sostituirsi al datore di lavoro, salvo il diritto al risarcimento del danno, a condizione che fornisca all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale le prove del rapporto di lavoro e della retribuzione indicate nel comma precedente.».
7. Con sentenza del 13-22 dicembre 1989, n. 568, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, quarto e quinto comma, nella parte in cui, salva la necessità della prova scritta sulla esistenza del rapporto di lavoro da fornirsi dal lavoratore, non consente di provare altrimenti la durata del rapporto e l’ammontare della retribuzione.
8. La Corte costituzionale ha affermato che, con la norma in esame, il legislatore ha voluto attribuire un trattamento di favore ai lavoratori i quali, per effetto del mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro e della impossibilita del loro tardivo pagamento per intervenuta prescrizione, siano stati privati della pensione, prevedendo la possibilità di costituzione, in luogo della stessa, di una rendita vitalizia reversibile.
9. Nel medesimo tempo, il legislatore ha voluto impedire che si creassero posizioni assicurative fittizie: di qui la diffidenza per l’ammissibilità di qualunque mezzo di prova.
Il necessario contemperamento degli interessi in gioco, e cioè quello del lavoratore al riconoscimento del diritto e quello dell’I.N.P.S. di limitarlo ai casi di esistenza certa e non fittizia del rapporto di lavoro, onde evitare le possibili frodi in danno dello Stato, impone di ritenere che almeno l’esistenza del rapporto di lavoro non debba apparire solo verosimile ma risultare certa, onde la necessità dell’ammissione della sola prova documentale.
Il Giudice delle leggi ha tuttavia precisato che, secondo logica e ragionevolezza, deve escludersi che il legislatore abbia voluto rendere la relativa prova talmente difficoltosa da vanificare detto riconoscimento o quanto meno da farlo diventare inattuabile, sì da porsi in contrasto con l’art. 24 della Costituzione, oltre che con l’art. 38, risolvendosi la difficoltà di prova nell’impossibilità del soggetto di godere della tutela previdenziale.
10. Tali principi sono stati ripresi dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. Un. 18/1/2005, n. 840), le quali, in una fattispecie in cui erano state prospettate due fasi distinte di attività (la prima formalmente qualificata come occasionale e autonoma, e la seconda “regolarizzata” come lavoro subordinato) ha ritenuto che la dimostrazione dell’effettiva esistenza di un unico rapporto di lavoro subordinato fin da prima della formale costituzione del rapporto di lavoro dovesse essere necessariamente fornita con la prova documentale richiesta dall’art. 13 della legge n. 1332/1968, non essendo sufficiente, per il periodo antecedente, la prova scritta di un qualsiasi rapporto negoziale tra le parti (cfr. Cass. 2/3/2001 n. 3085, 5/11/2003 n. 3085).
Le affermazioni delle Sezioni unite sono state poi ribadite in altre sentenze delle sezioni semplici (Cass. 19/05/2005, n. 10577; Cass. 3/02/2009, n.2600, richiamata in sentenza; Cass. 20/01/2016,n. 983; Cass., ord. 22/12/2016, n.26666), in cui si è puntualizzata la regola secondo la quale la durata del rapporto di lavoro può essere provata con ogni mezzo ma deve essere circoscritta al caso in cui il documento comprovi l’avvenuta costituzione di un rapporto a partire dalla medesima epoca, a decorrere dalla quale è consentita la prova, con ogni mezzo, della relativa durata e della retribuzione; nel contempo si è precisato che deve escludersi che la prova testimoniale “alternativa” di cui è onerato il datore di lavoro (o il lavoratore, nell’ipotesi di cui all’art. 1, quinto comma, della citata legge n. 1338), possa investire anche i fatti da cui desumere la qualificazione del rapporto e l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, in contrasto con la regola della prova scritta dell’esistenza del rapporto di lavoro (Cass., n. 2600/2009, Cass. n. 983/2016, citt.).
11. La giurisprudenza ha dunque circoscritto chiaramente il perimetro entro il quale opera il rigore formale della prova scritta, la quale deve involgere non solo l’esistenza di un rapporto di lavoro ma anche la sua qualificazione in termini di subordinazione, lasciando invece aperto il campo alla prova testimoniale, e quindi anche a quella presuntiva, in ordine alla sua durata e alla retribuzione.
12. Orbene, tenuto conto di tali specifici precedenti non può condividersi la tesi centrale dei motivi di ricorso secondo cui,incontestata l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro, la prova della subordinazione possa essere desunta anche in forza di un ragionamento presuntivo, in ragione dell’estrema difficoltà di provare in modo diretto tutti gli elementi tipici della subordinazione.
E ciò per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo perché, quando per legge o per volontà delle parti sia prevista, per un certo atto o contratto, la forma scritta, sia essa ad substantiam o ad probationem, tanto la prova testimoniale quanto quella per presunzioni che abbiano ad oggetto, implicitamente o esplicitamente, l’esistenza dell’atto o del contratto sono inammissibili, salvo che la detta prova non sia volta a dimostrare la perdita incolpevole del documento (Cass. 16/3/2015, n. 5165; Cass. 14/8/2014, n. 17986).
Il secondo comma dell’art. 2729 cod. civ., esclude l’ammissibilità delle presunzioni «nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni», con la conseguenza che diventa difficilmente sostenibile che, pur in assenza di una prova scritta da cui desumere la subordinazione, la stessa possa essere provata attraverso presunzioni.
13. In secondo luogo perché la Corte territoriale, che ha correttamente richiamato i principi su espressi, ha esaminato tutta la documentazione prodotta dalla ricorrente a sostegno del suo assunto, traendone la convinzione della sua inidoneità a dimostrare l’assoggettamento della lavoratrice ai poteri direttivi, organizzativi,disciplinari e di controllo della Distlleria V. s.p.a., e, per converso, della sua compatibilità con lo svolgimento di un’attività di collaborazione autonoma.
La Corte ha, dunque, escluso che vi fosse prova che la lavoratrice fosse stabilmente inserita nell’organizzazione aziendale -la quale suppone lo svolgimento di un’attività alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore, che si estrinseca nel potere di emettere ordini dettagliati e specifici, si da escludere una qualsivoglia autonomia del lavoratore nella scelta dei tempi, dei modi e dei luoghi di svolgimento della sua attività – e che fosse sottoposto al potere di controllo dell’imprenditore sull’esecuzione dei compiti assegnati ed al potere disciplinare.
14. In conclusione, la corte territoriale ha fatto corretta applicazione dell’art. 13 l. n. 1338/1962, come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità, sicché non si ravvisa la violazione o falsa applicazione di legge denunciata, così come non è stato violato l’art. 2704 cod.civ. posto la sentenza impugnata non ha certo negato la natura di documento soggetto a vidimazione da parte di pubblica autorità del registro contabile allegato, ma ha solo escluso che dalle sue risultanze e dalla attribuibilità della scritturazione alla M. potesse trarsi prova della subordinazione.
15. Costituisce invece accertamento di fatto – come tale incensurabile in questa sede se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici – la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice di merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (in tal senso, Cass. 10/7/2015, n. 14434; Cass. 4/3/2015, n. 4346; Cass., 9 marzo 2009, n. 5645; Cass. 27 luglio 2009, n. 17455; Cass. 11 febbraio 2004, n. 2622; Cass. 27/5/2016, n.11015).
16. Il giudice del merito si è attenuto a questi principi, procedendo ad una valutazione globale e unitaria degli elementi in suo possesso per escludere, attraverso un giudizio di sintesi, che essi siano espressione di un rapporto di lavoro subordinato.
In realtà, i motivi di ricorso si sostanziano in una critica della valutazione effettuata dalla Corte territoriale circa la inidoneità degli elementi probatori acquisiti a ricondurre il rapporto in esame all’area della subordinazione e nella contrapposizione di un diverso convincimento, valorizzando circostanze che invece la Corte ha ritenuto scarsamente significative. Si tratta di censure che involgono direttamente gli accertamenti fattuali condotti dal giudice del merito, il quale ha invece espresso una motivazione adeguata e sufficiente, nonché priva di errori logici.
17. Il terzo motivo, che allude ad una illegittimità della sentenza laddove la stessa non ha disposto la compensazione delle spese, è infondato alla luce del consolidato principio espresso da questa Corte di legittimità secondo il quale, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi ( Cass. n. 24502 del 2017; n. 8421 del 2017).
18. Da ultimo, alla luce delle considerazioni sopra riportate in relazione alla disamina dell’art. 13 della l. n. 1338 del 1962 operata dalla Corte Costituzionale ed al bilanciamento dei contrapposti interessi realizzato con la sentenza della Corte Cost. n. 568 del 1989 sopra citata, in totale difetto di diverse ragioni di dubbio sulla legittimità costituzionale della medesima disposizione, non può che ritenersi la manifesta infondatezza della questione sollecitata.
19.In base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato, con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Inps. Non si deve provvedere sulle spese quanto alla D. V. s.p.a.;rimasta intimata.
20.Sussistono, dato l’esito del ricorso, i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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