CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 maggio 2019, n. 13203
Infortunio sul lavoro – Risarcimento del danno – Responsabilità datoriale – Concorso di colpa del lavoratore
Fatto
Con sentenza 11 maggio 2016, la Corte d’appello di Salerno condannava O. s.r.l. (ora C.M.S. s.p.a.) al pagamento, in favore di F.G. a titolo risarcitorio, della somma di € 117.515,10 oltre accessori di legge e A.I. s.p.a. a tenere indenne la società dal suddetto esborso risarcitorio nei limiti del massimale di polizza: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece rigettato la domanda risarcitoria per danno differenziale del lavoratore (dipendente di O. s.r.l. dal 24 marzo 1999 come operaio di IV livello), infortunatosi sul lavoro il 23 maggio 1996 (per il distacco dal tornio, cui stava lavorando, di un pezzo metallico che gli colpiva, rompendo gli occhiali di protezione, l’occhio sinistro, cagionandogli postumi permanenti invalidanti stimati dall’Inail in misura del 40%, in realtà del 65%).
Al contrario del Tribunale, la Corte territoriale riteneva la responsabilità datoriale, ai sensi dell’art. 2087 c.c., per non avere imposto al dipendente l’uso dello schermo protettivo da montare sul tornio, né controllato che esso fosse effettivamente utilizzato; pure ravvisando un concorso di colpa in misura del 20% del lavoratore, anche se intento al suo lavoro in modo non estraneo all’organizzazione né alle modalità operative, neppure integrante un rischio elettivo. E ciò per non avere egli dimostrato, sulla scorta delle risultanze istruttorie acquisite, di avere indossato al momento dell’incidente le lenti protettive in dotazione.
In esito a C.t.u. medico-legale che accertava un danno biologico complessivo in misura pari al 52%, la Corte d’appello liquidava poi, sulla base delle tabelle milanesi tenuto conto di tutti i pregiudizi non patrimoniali sofferti e con personalizzazione del risarcimento, il danno biologico e morale nella misura complessiva di € 431.643,00 attualizzata in € 440.000,00 e quindi, detratta la somma di € 88.000,00 pari al concorso di colpa del lavoratore, di € 352.000,00. Sicché, previo lo scomputo della somma di € 234.484,90 percepita a titolo di valore capitale del danno biologico liquidato dall’Inail in misura del 60% secondo i suoi criteri, determinava all’attualità il danno differenziale risarcibile al lavoratore in € 117.515,10, oltre accessori a norma dell’art. 429 c.p.c.
Infine, essa condannava la compagnia di assicurazione, chiamata in causa dalla società datrice, a tenerla indenne dall’esborso nei limiti del massimale di polizza. Con atto notificato il 3 novembre 2016, il lavoratore ricorreva per cassazione con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui resistevano le due società con distinti controricorsi.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1227, 2087, 2697 c.c. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per erroneo riconoscimento di un concorso di colpa del lavoratore, normalmente addetto a strumento (fresa) diverso dal tornio, pure sprovvisto di uno schermo protettivo, né autore di alcuna condotta abnorme, ma in esecuzione di uno specifico ordine datoriale (pure essendo risultato indossare le lenti protettive).
2. Con il secondo, egli deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 4 d.lg. 626/1994, 12 d.p.r. 547/1955 ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per insussistenza di alcuna condotta negligente né imprudente del lavoratore, che, alla luce delle scrutinate risultanze dell’istruzione orale, benché normalmente impiegato come fresatore, era stato temporaneamente addetto ad un tornio, neppure protetto dal debito schermo ed al cui uso (applicatosi con le lenti protettive) non era stato addestrato, in violazione degli obblighi datoriali di predisposizione di adeguati strumenti protettivi su macchinari potenzialmente idonei alla proiezione di schegge o materiali, nonché di un piano di sicurezza con scheda di rischio, oltre che di informazione e di addestramento del lavoratore allo svolgimento dei lavori assegnati.
3. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 2059, 2054 c.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. ed omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, per mancata liquidazione del danno esistenziale, comprovato per il pregiudizio alla vita di relazione del lavoratore risultante dalle riportate dichiarazioni testimoniali, oltre a quelli biologico e morale, pure sbrigativamente e incongruamente determinati, in applicazione del criterio tabellare milanese, senza una valutazione degli aspetti dinamici e relazionali del pregiudizio subito.
4. I primi due motivi (violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1227, 2087, 2697 c.c. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per erroneo riconoscimento di un concorso di colpa del lavoratore; violazione e falsa applicazione degli artt. 4 d.lg. 626/1994, 12 d.p.r. 547/1955 ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per insussistenza di alcuna condotta negligente né imprudente del lavoratore), congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono fondati.
4.1. La Corte territoriale ha accertato, sulla scorta delle scrutinate risultanze istruttorie (dal secondo capoverso di pg. 11 al primo periodo di pg. 14 della sentenza), la responsabilità datoriale, ai sensi dell’art. 2087 c.c., per non essere “al momento del fatto … montato sul tornio lo schermo protettivo”, così da consentire che la scheggia, staccatasi dal pezzo lavorato al tornio, colpisse con violenza l’occhio del dipendente (penultimo capoverso di pg. 11 della sentenza); ed ancora l’insufficienza e la non completa idoneità dei mezzi protettivi forniti ai lavoratori, nonché la mancanza di controllo del loro effettivo utilizzo (così ai primi due capoversi di pg. 14 della sentenza: con particolare riferimento, quanto al profilo di omessa vigilanza prima dell’infortunio occorso al G., allo schermo protettivo sulla postazione del tornio).
4.2. Ebbene, l’accertato comportamento del datore di lavoro, di omessa adozione delle idonee misure protettive, né di controllo e vigilanza (rilevante in via esclusiva anche esso solo) che di tali misure fosse fatto effettivamente uso da parte del dipendente, costituisce inadempimento ai propri obblighi protettivi tale da esaurire il nesso eziologico dell’infortunio occorso al lavoratore, così da radicarne in via esclusiva la responsabilità (Cass. 13 ottobre 2000, n. 13690; Cass. 21 maggio 2002, n. 7454; Cass. 23 aprile 2009, n. 9689; Cass. 25 febbraio 2011, n. 4656).
Sicché, il comportamento del lavoratore, di cui la Corte salernitana ha comunque escluso una condotta anomala o imprevedibile, neppure integrante un rischio avulso dalla prestazione o dalle esigenze dell’attività lavorativa (così all’ultimo capoverso di pg. 15 e al terzultimo di pg. 17 della sentenza), diviene irrilevante ai fini di alcun contributo concausale, per gli effetti previsti dall’art. 1227, primo comma c.c.: pertanto da negare.
5. Il terzo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 2059, 2054 c.c., violazione dell’art. 112 c.p.c. ed omesso esame di fatto decisivo per il giudizio per omessa liquidazione del danno esistenziale, oltre a quelli biologico e morale sbrigativamente e incongruamente determinati, è infondato.
6.1. Non sussiste il vizio di omessa pronuncia, avendo la Corte territoriale pronunciato su tutto il danno non patrimoniale, compresi i profili esistenziali relazionali pregiudizievoli (così al primo periodo in particolare di pg. 19 della sentenza), in applicazione dei principi giurisprudenziali in ordine alla natura unitaria ed omnicomprensiva del danno non patrimoniale, da interpretare nel senso che esso può riferirsi a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto non suscettibile di valutazione economica, con il conseguente obbligo per il giudice di merito di tenere conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze in peius derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, e con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, con valutazione in concreto delle sue distinte conseguenze sui piani della salute, della sua sfera interiore e dinamico – relazionale (Cass. 28 settembre 2018, n. 23469).
Ed essa lo ha quindi correttamente determinato sulla base delle tabelle del Tribunale di Milano (Cass. 28 giugno 2018, n. 17018): così avendo provveduto ad un accertamento di spettanza del giudice di merito, adeguatamente motivato (per le ragioni da pg. 19 a pg. 21 della sentenza), insindacabile in sede di legittimità (Cass. 12 maggio 2009, n. 10864).
6.2. Neppure ricorre, infine, l’omesso esame di un fatto storico, alla stregua del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053), prospettando piuttosto il mezzo l’inammissibile contestazione di una valutazione giuridica.
7. Dalle superiori argomentazioni discende l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso, rigettato il terzo, con la cassazione della sentenza, in relazione ai motivi accolti e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Salerno in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie i primi due motivi di ricorso, rigettato il terzo; cassa la sentenza, in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Salerno in diversa composizione.
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