CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 marzo 2018, n. 6488
Tributi – IVA – Credito d’imposta annuale – Tardiva presentazione della dichiarazione IVA annuale – Diritto alla detrazione – Sussiste
Fatti di causa
1. La R. S.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 10 giugno 2009, che ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo della Commissione tributaria provinciale di Milano di accoglimento del ricorso proposto dalla medesima R. s.r.l. avverso la cartella di pagamento emessa per omesso versamento dell’i.v.a. relativa all’anno di imposta 2002.
2. Dall’esame della sentenza di appello si evince che la cartella di pagamento impugnata è stata emessa in conseguenza del mancato riconoscimento del credito i.v.a., vantato dalla contribuente, motivato dal fatto che la dichiarazione annuale i.v.a. era stata presentata tardivamente.
2.1. Il giudice di appello ha motivato la sua decisione con la considerazione che “la dichiarazione i.v.a. presentata tardivamente non costituisce titolo per operare detrazioni di imposta, ma produce unicamente l’effetto favorevole all’Ufficio di potere disporre di un titolo per la riscossione dell’imposta che ne risulta dovuta, senza porre in essere alcuna attività” e con la “eccezionale rilevanza che il legislatore ha inteso assegnare alla dichiarazione annuale … tant’è che deve essere presentata anche dai contribuenti che non hanno effettuato operazioni imponibili”.
3. Il ricorso della società contribuente è affidato a sette motivi, mentre l’intimato non ha spiegato alcuna attività difensiva.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 7, d.P.R. del 22 luglio 1998, n. 322, per aver la sentenza impugnata erroneamente ritenuto che la dichiarazione i.v.a. presentata tardivamente non costituisca titolo per operare detrazioni di imposta, laddove queste risultino dalle liquidazioni periodiche prescritte ai sensi degli artt. 27, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 7, d.P.R. 14 ottobre 1999, n. 542.
2. Analoga critica alla sentenza impugnata viene formulata con il secondo motivo, in relazione alla violazione e falsa applicazione dell’art. 8, d.P.R. n. 322 del 1998.
3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla disapplicazione dell’art. 55, d.P.R. n. 633 del 1972.
4. Con il quarto motivo lamenta la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia, individuato nella ritenuta coerenza dell’attività istruttoria svolta dall’Ufficio con i principi normativi vigenti.
5. Con il quinto motivo allega la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia in ordine alla deduzione di arricchimento senza causa.
6. Con il sesto motivo censura la violazione e falsa applicazione degli art. 2041 c.c. e 112 c.p.c., nonché del d.P.R. n. 633 del 1972, per aver la sentenza gravata consentito, attraverso la reiezione della sua impugnazione, un ingiustificato arricchimento in favore dell’amministrazione finanziaria.
7. Con l’ultimo motivo di ricorso la società contribuente ha criticato la decisione impugnata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per non aver considerato l’arricchimento senza giusta causa che conseguirebbe all’amministrazione finanziaria a seguito del mancato riconoscimento del credito.
8. Con riferimento ai primi due motivi di ricorso, esaminabili congiuntamente, giova rammentare che sulla questione di diritto prospettata nella giurisprudenza di legittimità si erano formati due orientamenti interpretativi di segno opposto:
secondo il primo, il contribuente che, avendo regolarmente annotato tutte le fatture dalle quali scaturisca, per lui, un credito d’imposta, ed avendo operato la detrazione del credito nelle liquidazioni periodiche, non presenti poi la dichiarazione annuale, può computare l’imposta detraibile, risultante dalle liquidazioni periodiche, nella dichiarazione dell’anno successivo, atteso che, ai sensi del quarto comma dell’art. 28, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, il diritto alla detrazione si perde solo quando questa non venga computata sia nel mese di competenza, che in sede di dichiarazione annuale (cfr. Cass. 25 febbraio 1998, n. 2063); l’opposta opzione ermeneutica si esprimeva, invece, nel senso che il contribuente che, pure avendo computato le detrazioni per i mesi di competenza, abbia omesso di computarle nella dichiarazione annuale, perde il diritto a dette detrazioni, ai sensi dell’art. 28, comma quarto, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, fermo il diritto al rimborso di quanto versato in eccedenza, in applicazione dell’art. 30 comma secondo del citato d.P.R. (cfr. Cass. 19 ottobre 2007, n. 21947; Cass. 9 febbraio 2001, n. 1823).
Il contrasto è stato risolto dalla Sezioni Unite, le quali, con pronuncia n. 17757 dell’8 settembre 2016, hanno affermato che «la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale, l’eccedenza d’imposta – risultante da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto – sia riconosciuta dal giudice tributario se siano stati rispettati dal contribuente tutti i requisiti sostanziali per la detrazione; pertanto, in tal caso, il diritto di detrazione non può essere negato nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato, laddove, pur non avendo il contribuente presentato la dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, sia dimostrato in concreto – ovvero non controverso – che si tratti di acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a IVA e finalizzati a operazioni imponibili».
8.1. Il contribuente, pertanto, può portare in detrazione l’eccedenza d’imposta anche in assenza della dichiarazione annuale finale (e fino al secondo anno successivo a quello in cui è sorto il diritto) purché siano rispettati i requisiti sostanziali per poter fruire della detrazione. La sussistenza di tali requisiti esclude, infatti, la rilevanza dell’assenza di quelli formali, ivi comprese le liquidazioni periodiche, purché sia rispettata, come nel caso in esame, la cornice biennale prevista dall’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 per l’esercizio del diritto di detrazione (secondo le precisazioni espresse, in particolare, da Cass. 28 luglio 2015, n. 14767, e confermate, tra le altre, da Cass. 3 marzo 2017, n. 5401).
A tale cornice biennale hanno fatto espresso riferimento, nel dettare il principio di diritto, le sezioni unite con la sentenza in precedenza richiamata, nella parte in cui hanno precisato, al punto 5.8., che essa identifica «il rilievo generale e interno» che governa l’esercizio del diritto di detrazione.
8.2. Non c’è, invece, necessità di procedere ad accertamento induttivo, in quanto l’Amministrazione non può pretendere la restituzione di somme per ragioni di pura forma senza addurre rilievi sulla loro effettiva spettanza.
Principio, questo, che è coerente con la giurisprudenza unionale, secondo cui «il principio fondamentale di neutralità dell’i.v.a. esige che la detrazione dell’imposta a monte sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali sono stati omessi dai soggetti passivi» e che «l’amministrazione finanziaria, una volta che disponga delle informazioni necessarie per dimostrare che i requisiti sostanziali siano stati soddisfatti, non può imporre, riguardo al diritto del soggetto passivo di detrarre l’imposta, condizioni supplementari che possano produrre l’effetto di vanificare l’esercizio del diritto medesimi», in quanto «i requisiti sostanziali del diritto a detrazione sono quelli che stabiliscono il fondamento stesso e l’estensione di tale diritto, quali previsti all’art. 17 della sesta direttiva» (così, Corte Giust., 11 dicembre 2014, Idexx Laboratories Italia; più recentemente, Corte Giust., 15 novembre 2017, Rochus Geissel; Corte Giust., 15 settembre 2016, Senatex).
8.3. Ciò posto, la questione si sposta su un piano esclusivamente di natura probatoria: l’infrazione è da ritenere emendabile sul piano del rapporto impositivo quando si disponga ugualmente delle informazioni necessarie per dimostrare che il soggetto passivo, in quanto acquirente, ha il diritto di recuperare l’imposta pagata a titolo di rivalsa, sempreché non risulti in concreto impedita la prova dell’adempimento dei requisiti sostanziali (da ultimo, Cass. 17 marzo 2017, n. 6921).
Nel caso in esame, non emergono fatti bisognosi di prova, perché l’Agenzia non contesta l’esistenza del credito, ma incentra la propria contestazione soltanto sulla circostanza, di rilievo formale, dell’omessa presentazione della dichiarazione annuale.
8.4. I motivi di ricorso esaminati si presentano, dunque, fondati.
9. Le censure formulate con gli altri motivi di ricorso sono assorbite dall’accoglimento dei primi due motivi.
10. In accoglimento dei primi due motivi, la sentenza va cassata e non sussistendo necessità di ulteriori accertamenti di fatto, il ricorso va deciso nel merito, con l’accoglimento del ricorso introduttivo della società contribuente.
11. In considerazione dell’esistenza di un contrasto giurisprudenziale al momento della proposizione del ricorso, appare opportuno disporre l’integrale compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i motivi residui; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della R. s.r.l.; compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero processo.