CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 marzo 2018, n. 6599
Fondo di solidarietà del personale dipendente dalle imprese di credito – Assegno straordinario di sostegno al reddito – Calcolo sulla base del sistema pensionistico retributivo
Fatti di causa
M.A., ex dipendente di B.I. s.p.a., ricorse al giudice del lavoro del Tribunale di Bergamo per accertare il diritto a ricevere l’assegno straordinario di sostegno al reddito calcolato sulla base del sistema pensionistico retributivo vigente prima dell’entrata in vigore della legge n. 243/2004, nonché il conseguente diritto a percepire il trattamento pensionistico con decorrenza dall’1.1.2010 col sistema del calcolo vigente prima della suddetta legge.
Accolta la domanda, l’Inps impugnò la sentenza innanzi alla Corte d’appello di Brescia che, con sentenza del 15.6.2012, rigettò il gravame.
La Corte territoriale, dopo aver preso atto della circostanza che la M. aveva presentato diverse domande nel tempo per l’accesso al Fondo di solidarietà, delle quali solo la prima era stata formulata per il conseguimento del trattamento pensionistico con riferimento alla contribuzione figurativa necessaria per il calcolo col vecchio sistema retributivo in base all’accordo sindacale del 15.1.2003, mentre in quelle successive era stato invocato il differente metodo di calcolo contributivo alla luce della legge n. 243/2004, ha ritenuto che la datrice di lavoro e l’Inps avrebbero dovuto rilevare che sussistevano i presupposti per l’accoglimento della prima domanda, rientrando quest’ultima nel regime di deroga previsto dalla nuova normativa, con applicazione di quella previgente alla quale l’interessata non aveva rinunziato per il solo fatto di aver successivamente espresso l’opzione per il metodo di calcolo del sistema contributivo.
Per la cassazione della sentenza ricorre l’Inps con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Resiste con controricorso M.A..
Ragioni della decisione
1. Col primo motivo l’Inps si duole dei seguenti vizi: violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, nullità della sentenza per omessa pronuncia ai sensi degli artt. 112 e 360 n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 28, della legge 23.12.1996, n. 662, degli artt. 1, 2, 4 e 5, comma 1°, lett. b) e 6, comma 3°, del D.M. 28.4.2000, n. 158. In concreto, l’Inps lamenta che il giudice d’appello non ha esaminato, omettendo ogni pronuncia, l’eccezione del difetto di legittimazione passiva circa la condanna al pagamento delle differenze tra quanto erogato e quanto asseritamente dovuto per l’assegno straordinario per il sostegno del reddito. Assume il ricorrente che tale prestazione è a carico esclusivo del Fondo di solidarietà per il sostegno del reddito, dell’occupazione, della riconversione e riqualificazione professionale del personale dipendente dalle imprese di credito, che è soggetto autonomo e distinto dall’Inps che offre solo la struttura di allocazione e di pagamento.
2. Il motivo è infondato.
Anzitutto, va chiarito che anche se è vero che il Fondo non ha personalità giuridica e gode di autonoma gestione finanziaria e patrimoniale, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del citato decreto interministeriale, è altresì certo che esso costituisce una gestione dell’Inps. In ogni caso non sussiste il lamentato vizio di omessa pronunzia in quanto, seppur implicitamente, la Corte territoriale ha ritenuto sussistente la legittimazione passiva dell’Inps laddove, nell’affrontare la questione del sistema di calcolo da applicare nella fattispecie ai fini della liquidazione dell’assegno straordinario e del susseguente trattamento pensionistico di anzianità, ha spiegato che il Fondo di solidarietà è disciplinato dal D.M. 158/2000 in modo da consentire all’Inps di erogare l’assegno previsto e la conseguente contribuzione figurativa utile sulla base del finanziamento che è posto a carico della Banca datrice di lavoro.
Non va, infatti, dimenticato che “qualora ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della pretesa o della deduzione difensiva ovvero di un loro assorbimento in altre declaratorie non è configurabile il vizio di omessa pronuncia di cui all’art. 112 cod. proc. civ., che si riscontra soltanto allorché manchi una decisione in ordine a una domanda o a un assunto che renda necessaria una statuizione di accoglimento o di rigetto.” (Cass. Sez. 2, n. 10001 del 24/6/2003)
3. Col secondo motivo l’INPS deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 28, della 23.12.1996, n. 662, degli artt. 5, comma 3°, e 10, comma 9°, lett. a) del D.M. 28.4.2000, n. 158 e dell’art. 1, commi 6, 9, 18 e 19 della legge 23.8.2004, n. 243, nonché il vizio di motivazione.
Il ricorrente, dopo aver premesso che il thema decidendum concerne l’applicabilità o meno della disciplina pensionistica anteriore all’entrata in vigore della legge 23.8.2004 n. 243, contesta l’affermazione della Corte d’appello secondo la quale l’Inps avrebbe dovuto considerare la prima domanda di accesso al Fondo di solidarietà, che poteva essere accolta in virtù dell’applicazione della deroga prevista dall’art. 1, commi 18 e 19, della legge n. 243/2004, e non quelle successive che si fondavano, invece, sulla deroga di cui all’art. 1, comma 9°, della stessa legge, comportante la necessità di optare per il sistema contributivo di calcolo della pensione di anzianità e del connesso assegno straordinario. In particolare, l’Inps contesta alla Corte territoriale di aver completamente omesso di considerare che la domanda della M. di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con B.I., del 16 marzo 2003, non era stata mai presentata al Fondo di solidarietà per il tramite dell’Inps, ma era rimasta una semplice proposta diretta alla Banca datrice di lavoro e da questa non vagliata. Aggiunge la difesa dell’istituto che nella fattispecie l’unica richiesta di accesso alle prestazioni erogate dal predetto Fondo era stata quella successiva alla quarta proposta di risoluzione consensuale, diretta al Fondo di solidarietà ed inviata all’Inps in data 14 ottobre 2005, sottoscritta in data 19.9.2005, sia da B.I. che dalla M..
4. Col terzo motivo vengono denunziati i seguenti vizi: – Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 18 e 19, della legge 23.8.2004 n. 243, dell’art. 7 quaterdecies del D.L. 31.1.2005 n. 7, convertito nella legge 31.3.2005 n. 43; vizio della motivazione.
Si sostiene che la possibilità per la M. di rientrare nella platea dei 10.000 lavoratori aventi diritto a fruire dei benefici di cui al comma 18 dell’art. 1 della legge n. 243/2004 doveva valutarsi e provarsi alla data di cessazione del rapporto di lavoro (31 agosto 2005) e giammai, come operato dalla Corte d’appello di Brescia, alla data di cessazione del rapporto di lavoro indicata nella prima proposta del 16 marzo 2003 (ossia il 31.3.2005), non perfezionata e, quindi, non seguita da regolare domanda di assegno straordinario al Fondo di solidarietà.
5. Il secondo motivo è fondato.
Invero, l’intima contraddizione in cui incorre la Corte territoriale risiede nella circostanza che, da una parte, si dà atto del fatto che, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 243/2004, la M. aveva presentato altre tre domande in ordine di tempo, dichiarando di optare irrevocabilmente per il sistema contributivo, tanto che dopo la cessazione del rapporto di lavoro nell’agosto del 2005 le veniva erogato l’assegno di sostegno del reddito, con accesso al trattamento pensionistico dal 1° luglio 2010, e, dall’altra, che la datrice di lavoro e l’Inps avrebbero dovuto procedere autonomamente al riconoscimento del diritto ancorato alla prima domanda con la quale la lavoratrice, nell’indicare la data di risoluzione del rapporto di lavoro al 31 marzo 2005, aveva chiesto l’applicazione del previgente sistema di calcolo retributivo.
Né tale contraddizione può ritenersi superata attraverso la considerazione, fatta propria dalla Corte di merito, in base alla quale la lavoratrice non aveva mai rinunciato alla possibilità di vedersi applicato il sistema di calcolo retributivo in quanto le opzioni manifestate successivamente per il diverso sistema contributivo erano state espresse solo perché all’epoca esse rappresentavano l’unica possibilità per accedere al pensionamento. Invero, tale ragionamento, non solo finisce per svilire il contenuto della manifestazione di volontà reiteratamente espressa dalla lavoratrice nell’optare successivamente per il sistema contributivo, ma ignora anche la circostanza, ben evidenziata dall’odierno ricorrente, che la prima domanda non era stata trasmessa dalla datrice di lavoro all’Inps e, soprattutto, trascura di considerare che non è stato indagato se la M. avesse formulato una riserva in ordine alla possibilità, prevista dal comma 18, dell’art. 1 della legge n. 243/2004, di mantenere in vita, sussistendone le condizioni previste, il precedente sistema di calcolo retributivo della pensione.
6. Tali contraddizioni ed insufficienze di indagine impongono l’accoglimento del secondo motivo, per cui rimane assorbita la disamina del terzo motivo che è incentrato sulla mancata verifica, alla data di cessazione del rapporto di lavoro del 31 agosto 2005, della possibilità per la M. di rientrare nella platea dei 10.000 lavoratori aventi diritto a fruire dei benefici di cui al comma 18 dell’art. 1 della legge n. 243/2004.
7. In definitiva, l’impugnata sentenza va cassata in relazione all’accoglimento del secondo motivo, restando assorbito l’esame del terzo, e la causa va rinviata, anche per le spese, alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo, accoglie il secondo e dichiara assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione.
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