CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 marzo 2021, n. 7336
Professionista – Avvocato – Sanzione disciplinare dell’avvertimento – Mancato adempimento del mandato difensivo –
Omessa restituzione della documentazione richiesta dagli assistiti
Fatti di causa
Il Consiglio Nazionale Forense, in parziale riforma della decisione del Consiglio Distrettuale di Disciplina di Salerno, applicava all’Avv. A.L. la minore sanzione disciplinare dell’avvertimento, per non aver adempiuto al mandato difensivo ricevuto che prevedeva il deposito di una istanza cautelare, per aver infedelmente informato i clienti circa lo svolgimento delle relative vicende processuali, per non aver restituito la documentazione richiesta dagli assistiti, come invece sarebbe stato suo dovere.
Il CNF respingeva dapprima la domanda dell’incolpato di sospendere il procedimento disciplinare fino alla definizione di quello penale instaurato per i medesimi fatti, sia perché dopo l’assoluzione pronunciata in un precedente processo penale, l’incolpato non aveva provato l’attuale pendenza di un «nuovo» giudizio penale; sia perché l’art. 54 I. 31 dicembre 2012 n. 247, che aveva abolito la pregiudiziale penale, permetteva soltanto una limitata sospensione del processo disciplinare quando indispensabile per l’acquisizione di atti e notizie, mentre nella concreta fattispecie gli elementi penalmente rilevanti erano esattamente gli stessi. Nel merito, il CNF osservava che correttamente il CDD di Salerno aveva fondato la condanna disciplinare sugli elementi di prova acquisiti nel corso del primo processo penale, i quali dimostravano che l’incolpato aveva realmente commesso i fatti addebitati, peraltro anche confessati a seguito di audizione. Il CNF, in ragione della «incensuratezza» dell’Avv. L., oltre che della non gravità del suo comportamento, così valutato anche alla luce delle non buone condizioni di salute dell’incolpato, considerava adeguata la misura dell’avvertimento.
L’Avv. L. ricorreva per due motivi.
La Procura Generale depositava atto scritto, con il quale concludeva per il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, l’incolpato rimproverava il CNF per aver violato l’art. 44 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, oltreché l’art. 11 delle preleggi; a riguardo, l’incolpato sosteneva che erroneamente il CNF non aveva disposto la sospensione del procedimento disciplinare in attesa della definizione del secondo processo penale, così come invece suggerito dalla costante giurisprudenza delle sezioni unite.
1.1. Con il secondo motivo di ricorso, l’incolpato lamentava la contraddittorietà e l’apparenza della motivazione adottata dal CNF, innanzitutto evidenziando che l’applicazione della sanzione disciplinare era giustificata soltanto con il «richiamo pedissequo alla sentenza» di assoluzione con la quale si era concluso il primo giudizio penale; e, poi, dolendosi del fatto che il CNF aveva contraddittoriamente negato la pendenza del secondo giudizio penale; e, questo, perché il CNF aveva giudicato che i fatti oggetto del «nuovo» processo penale erano identici a quelli per i quali si procedeva disciplinarmente, mostrando quindi di ben conoscere la pendenza del successivo procedimento penale; una pendenza che l’incolpato dichiarava di aver comunque provato, attraverso il deposito dell’avviso ex art. 415 bis c.p.p. e del penale decreto di citazione a giudizio del 23 gennaio 2017.
1.2. I motivi, che è conveniente esaminare congiuntamente, sono infondati.
1.3. La giurisprudenza di queste sezioni unite è nel senso che le disposizioni processuali contenute nella l. n. 247 cit. devono trovare applicazione dal 1° gennaio 2015 (data di entrata in vigore del regolamento previsto dall’art. 50, comma 5, l. n. 247 cit., approvato dal CNF il 21 febbraio 2014, con delibera n. 2; v. Cass. sez. un. n. 32360 del 2018; Cass. sez. un. 27757 del 2018; Cass. sez. un. 27756 del 2018); e poiché il procedimento disciplinare nei confronti dell’Avv. L. è stato aperto il 31 marzo 2016, consegue che è stata male invocata la giurisprudenza formatasi in precedenza; una giurisprudenza consolidatasi a partire da Cass. sez. un. n. 4893 del 2006 (v. da ultime, Cass. sez. un. n. 11309 del 2014; Cass. sez. un. n. 5991 del 2012; Cass. sez. un. n. 16169 del 2011), la quale aveva preso atto della riforma dell’art. 653 c.p.p. che aveva regolato i rapporti tra i due processi in termini di pregiudizialità penale, diversamente da quanto stabilito dall’originario art. 44, comma 1, r.d.l. n. 1578 cit., che prevedeva invece l’esercizio obbligatorio dell’azione disciplinare in caso di sottoposizione dell’avvocato a procedimento penale, a meno che nelle more fosse intervenuto un giudicato di proscioglimento per insussistenza del fatto o perché l’imputato non lo aveva commesso, senza quindi la necessità della sospensione del processo disciplinare in attesa della definizione di quello penale (Cass. sez. un. n. 20024 del 2004; Cass. sez. un. n. 14629 del 2003).
1.4. Correttamente, quindi, il CNF ha applicato la nuova disciplina contenuta nell’art. 54 l. n. 247 cit., che dispone ex novo in tema di rapporti tra processo penale e processo disciplinare.
1.5. Come è stato già osservato, il nuovo art. 54 l. n. 247 cit. dispone dei rapporti tra processo penale e processo disciplinare nei differenti termini della reciproca autonomia (Cass. sez. un. n. 16433 del 2014), derivando da ciò che l’esito del giudizio disciplinare non può più farsi dipendere dal giudicato penale, con la finale illazione per cui deve escludersi la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. in attesa della definizione del giudizio penale (Cass. sez. un. n. 28176 del 2020, in motivazione), tornando nella sostanza a quel che era il sistema contemplato nell’art. 44, comma 1, r.d.l. n. 1578 cit., prima della riforma dell’art. 653 c.p.p.; in attualità, ammettendosi soltanto, come stabilito in via di eccezione dal medesimo art. 54 l. n. 247 cit., una facoltativa sospensione limitata nel tempo, quando dal giudice disciplinare sia reputata indispensabile l’acquisizione di elementi di prova apprendibili esclusivamente dal processo penale; eventualità che, nella concreta fattispecie, il CNF ha logicamente scartato spiegando che gli elementi di prova indispensabili erano stati tratti dal primo procedimento penale, che erano gli stessi per i quali si procedeva con il secondo processo penale, soprattutto che erano stati oggetto di confessione da parte dell’incolpato.
1.6. Con quanto sopra, rimangono assorbite sia la censura che l’incolpato ha mosso al CNF con riguardo alla assenza di prova della pendenza del secondo processo penale, sia la censura di aver motivato in modo apparente l’affermazione della responsabilità disciplinare dell’Avv. L., una responsabilità come veduto congruamente motivata, particolarmente con riferimento alla confessione dei fatti contestati.
1.7. Sembra infine utile chiarire, anche in ragione dell’accenno fatto in ricorso dall’incolpato, che le disposizioni contenute nell’art. 54 l. n. 247 cit. sono all’evidenza rivolte a garantire una celere giustizia disciplinare, eliminando i lunghi tempi normalmente richiesti per la definizione del processo penale, lasciando il regolamento del rapporto tra i due giudizi alla previsione della obbligatoria riapertura del procedimento disciplinare nelle ipotesi tassativamente indicate nel successivo art. 55 l. n. 247 cit.
2. In mancanza di avversarie difese, non deve farsi luogo al riparto delle spese di lite.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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