CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 marzo 2021, n. 7356
Pensione di anzianità – Dirigenti di aziende industriali – Calcolo della retribuzione pensionabile
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Torino, con sentenza n. 856 dell’11 novembre 2014, confermava la statuizione di primo grado che aveva condannato l’INPS a riliquidare la pensione di anzianità, spettante all’attuale intimato, secondo il metodo retributivo, computando le retribuzioni delle ultime 260 e 520 settimane coperte da retribuzione in parte presso l’ex INPDAI e in parte presso l’INPS immediatamente antecedenti la decorrenza della pensione (1°.5.2011), considerando tutto il periodo assicurato come se fosse stato soggetto alla contribuzione dell’assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti, anche in riferimento alla contribuzione maturata in qualità di dirigente di aziende industriali.
2. La Corte territoriale, in particolare, riteneva che la L. n. 289 del 2002, art. 42, sopprimendo l’INPDAI e trasferendo le relative posizioni all’INPS, avesse stabilito che il regime pensionistico dei dirigenti di aziende industriali venisse uniformato a quello degli iscritti al Fondo pensioni per i lavoratori dipendenti con effetto dal 10 gennaio 2003, e si applicasse soltanto ai lavoratori ancora assicurati, alla data di soppressione dell’INPDAI, presso quest’ultimo e non anche a quelli, come l’assicurato, passati nelle more alla gestione INPS per avere mutato il proprio rapporto di lavoro; conseguentemente, la retribuzione pensionabile andava calcolata con riferimento a quella maturata negli ultimi cinque e dieci anni, essendo la disposizione dell’art. 42 dettata per salvaguardare le aspettative pensionistiche dei dirigenti.
3. Ricorre contro tale statuizione l’INPS, formulando un unico motivo di censura cui resiste, con controricorso, Artusi Claudio; entrambe le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
4. Con l’unico motivo di censura l’Istituto ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 42, legge n.289 del 2002 e assume che la pensione da liquidare ai titolari di contribuzione mista INPS e INDPAI debba essere determinata in applicazione del criterio del pro-rata anche, come nella specie, nell’ipotesi in cui l’interessato non fosse iscritto all’INDPAI alla data di soppressione del ridetto ente per effetto del mutamento del proprio rapporto di lavoro.
5. Il ricorso è fondato.
6. Questa Corte, con orientamento consolidato cui si intende dare ulteriore continuità, ha già chiarito che, dal momento che la legge n. 289 del 2002 ha operato il trasferimento dei contributi dall’INPDAI all’INPS mediante iscrizione «con evidenza contabile separata», ossia in carenza di un’unificazione assimilabile alla ricongiunzione dei contributi prevista dal d.P.R. n. 58 del 1976, l’art. 42 comma 3, prima parte, della legge citata, disponendo che il regime pensionistico dei dirigenti di aziende industriali è uniformato, nel rispetto del criterio del pro-rata, a quello degli iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti con effetto dal 10 gennaio 2003, ha introdotto un principio di carattere generale, senza distinzione tra soggetti ancora iscritti e soggetti non più in costanza di assicurazione INPDAI alla data del 31.12.2002, con la conseguenza che, ai fini della liquidazione della pensione, la retribuzione pensionabile propria dell’assicurato già iscritto all’INPDAI deve essere individuata in relazione alle retribuzioni che sarebbero state utili nel caso di un’ipotetica liquidazione del trattamento pensionistico da parte dell’INPDAI, non anche con riguardo alle retribuzioni percepite negli ultimi cinque e dieci anni calcolati a ritroso dalla data del pensionamento, in quanto il rinvio dell’art. 42 legge n. 289 del 2002 all’art.3, comma 7, decreto legislativo n. 181 del 1997, nonché lo stesso meccanismo del pro-rata adottato nell’art. 42 cit., costituiscono manifestazione della volontà del legislatore di tenere distinti i due periodi assicurativi, in considerazione della diversità dei sistemi di calcolo adottati per ciascuno di essi, dando luogo a due distinte quote di pensione da determinare secondo autonomi criteri (v., fra le altre, Cass. nn. 2237, 2715, 2851, 17706 del 2020; nn. 23573, 19519, 19036, 15144 del 2019 e i precedenti ivi richiamati).
7. Né appare decisivo, al fine di inficiare la consistenza del superiore principio di diritto, l’assunto secondo cui la soppressione dell’INPDAI avrebbe, in realtà, comportato una sorta di ricongiunzione ex lege delle posizioni contributive dei dirigenti già iscritti all’INPDAI nell’assicurazione generale obbligatoria, al punto che l’INPS non avrebbe dato ulteriore corso alle domande di ricongiunzione della posizione previdenziale presentate dopo il 10 gennaio 2003: ciò che rileva è piuttosto che, avendo il legislatore manifestato la volontà di uniformare il regime pensionistico dei dirigenti industriali a quello dei lavoratori dipendenti «nel rispetto del principio del pro-rata» (art. 42, comma 3 legge n. 289 del 2002,), non vi è spazio alcuno per sostenere che, per i dirigenti che alla data della soppressione dell’INPDAI avevano una posizione contributiva presso tale ultimo ente, il calcolo della retribuzione pensionabile non debba essere pro parte riferito (anche) alle retribuzioni sulle quali è stata versata la contribuzione presso l’INPDAI.
8. Né risulta condivisibile il rilievo secondo cui, così interpretato l’impianto normativo di riferimento, i dirigenti ex INPDAI subirebbero un trattamento discriminatorio e deteriore, essendo impossibilitati a chiedere la ricongiunzione gratuita (ex art. 22 d.P.R. n. 58 del 1976) e dovendo, per contro, subire un calcolo della pensione meno favorevole di quello previsto dall’art. 3, d.lgs. n. 503 del 1992: in disparte il rilievo, qui invero decisivo, che parte controricorrente non ha offerto alcun elemento per effettuare codesto giudizio comparativo, che deve aver riguardo non solo all’anzianità ed alla retribuzione, ma anche alla contribuzione (v. Cass. nn. 4897 e 19036 del 2017), vale la pena di evidenziare che siffatta interpretazione – come del resto quella patrocinata dalla Corte territoriale – poggia sull’assunto, indimostrato, secondo cui il regime introdotto dall’art. 42 delle legge n. 289 del 2002 costituirebbe una misura di salvaguardia delle aspettative pensionistiche maturate dai dirigenti industriali, laddove appare piuttosto una misura per porre argine al notorio e crescente disavanzo cagionato dal pregresso regime di favore di cui essi beneficiavano, caratterizzato da basse aliquote di calcolo dei contributi, alte aliquote di rendimento e più elevate fasce di retribuzione pensionabile.
9. I denunciati profili di illegittimità costituzionale in parte sono già stati scrutinati da questa Corte che ha ritenuto la diversità di trattamento non ledere il principio di uguaglianza quando si pone come mero fatto collegato al fluire del tempo, in riferimento alla differente condizione di chi volontariamente ha chiesto il trasferimento dei contributi Inps goduti, rispetto a chi non si sia avvalso di tale facoltà o di chi abbia versato, interamente e sempre, i contributi all’Inps o ancora con riferimento agli altri settori (quali i soppressi Fondi autoferrotranvieri, elettrici e telefonici pur confluiti nell’INPS) aventi una loro specifica disciplina (v., per tutte, Cass. n.17706 del 2020).
10. Peraltro, la non conformità al canone di ragionevolezza si paleserebbe proprio dalla diversa tesi difensiva propugnata dal pensionato, con la cancellazione dell’intero segmento temporale di iscrizione all’INDPAI.
11. Ed ancora, quanto all’ulteriore profilo di illegittimità costituzionale dell’impianto normativo per l’asserita esclusione della ricongiunzione onerosa e, dunque, per la compressione della libertà del pensionato di esercitare, o meno, il diritto di avvalersi della ricongiunzione onerosa, come illustrato ancora nel corso della discussione orale, osserva il Collegio che tale ulteriore sfaccettatura, volta a porre in dubbio la conformità ai canoni costituzionali delle fonti normative nell’interpretazione data da questa Corte, non supera il preliminare scrutinio di rilevanza in causa della prospettata questione, per non avere il pensionato proposto, in sede amministrativa prima e, all’esito di un eventuale diniego, in sede giudiziale, alcuna domanda per la ricongiunzione onerosa, e tanto preclude in radice l’adito ad un incidente di costituzionalità.
12. Inoltre, la tesi difensiva incentrata sull’asserita negazione o esclusione di un diritto alla ricongiunzione onerosa appare fuorviante considerato che le richiamate disposizioni, alla stregua della consolidata interpretazione di questa Corte di legittimità, sono volte a recuperare tutti i contributi versati in una vita lavorativa multiforme, tenuto conto sia della contribuzione INPDAI confluita nell’INPS sia della contribuzione comunque maturata e versata in costanza di assicurazione INPS, senza tralasciare o spazzare via alcuna contribuzione.
13. La presenza nei due sistemi assicurativi di un massimale nell’uno (INPDAI) e non nell’altro rende ragionevole l’isolamento di ciascun segmento temporale assicurativo e il sistema del pro-rata, prescelto dal legislatore per integrare le due diverse tipologie di contribuzione (art.42, comma 3, prima parte, legge n.289 del 2002), assunto come guida per l’integrazione dei due sistemi pensionistici, è improntato alla salvezza dell’autonomia e individualità dei diversi segmenti temporali di contribuzione diretti a produrre due distinte quote di pensione, destinate a sommarsi ai fini della determinazione del trattamento unitario spettante al pensionato.
14. Infine, e non ultimo d’importanza, l’adozione di un criterio discretivo, alla stregua del quale applicare il sistema di calcolo interamente nell’AGO o del pro-rata, costituito dal dato meramente formale, temporale e del tutto casuale, quale l’attualità d’iscrizione all’INDPAI al 31 dicembre 2002, oltre a non essere previsto dal legislatore comporterebbe, per l’assicurato INDPAI, il rischio di vedersi neutralizzare tutti i pregressi anni di iscrizione allo speciale regime pensionistico dei dirigenti solo in ragione della cessazione dell’assicurazione nel giorno precedente la soppressione dell’ente di previdenza categoriale.
15. Pertanto, ai fini della liquidazione della pensione spettante ad un dirigente di imprese industriali, già iscritto presso l’INPDAI, confluito nell’INPS in forza della legge n. 289 del 2002, le retribuzioni di riferimento sono quelle che sarebbero state utili nel caso di un’ipotetica liquidazione da parte dell’INPDAI, e non anche le retribuzioni degli ultimi cinque e dieci anni a decorrere a ritroso dalla data del pensionamento, in quanto il rinvio dell’art. 42 della citata legge n. 289 del 2002 all’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 181 del 1997 nonché lo stesso meccanismo del pro-rata adottato nell’art. 42 cit., sono espressione della volontà del legislatore di tenere distinti i due periodi assicurativi, per la diversità dei sistemi di calcolo adottati, dando luogo a due distinte quote di pensione da determinare secondo specifici criteri.
16. La sentenza impugnata va conseguentemente cassata e, per essere necessari nuovi accertamenti in fatto sul calcolo delle quote, la causa va rinviata, per nuovo esame, alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, che, nel procedere a nuovo esame del gravame, si atterrà a quanto sin qui detto e provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.