CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 marzo 2022, n. 8647
Tributi – IRES – Reddito d’impresa – Interessi passivi – Deducibilità – Art. 96, DPR n. 917 del 1986 – Disciplina introdotta dalla Legge n. 244 del 2007 – Applicazione retroattiva – Esclusione
Fatti di causa
1. La Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Caserta (n.394/5/2012) che aveva accolto il ricorso presentato dalla C. s.p.a. contro l’avviso di accertamento emesso dalla Agenzia delle entrate nei suoi confronti, per l’anno 2006, contenente la rettifica delle perdite, ai sensi degli artt. 97 e 98 del d.P.R. n. 917 del 1986.
In particolare, il giudice d’appello evidenziava che la partecipazione della società contribuente nella società C. Logistica era avvenuta nell’anno 2006 e, quindi, non ricorreva il requisito del possesso ininterrotto per 12 mesi. Era stata, dunque, rettificata ai fini Ires la perdita dichiarata, recuperando a tassazione, sugli interessi passivi, la somma di euro 98.808,00. Il giudice d’appello evidenziava che con la legge finanziaria del 24 dicembre 2007, n. 244, l’art. 96 del d.P.R. n. 917 del 1986 era stato sostituito e che tale disposizione, più favorevole al contribuente, era stata prevista per uniformare la normativa interna a quella vigente nei paesi della comunità europea, delineandosi una nuova disciplina degli interessi passivi del reddito di impresa. In tal modo si era sostituito l’art. 96 del d.P.R. n. 917 del 1986, introducendo, in luogo del previgente pro rata generale di indeducibilità, di cui all’art. 97 del d.P.R. n. 917 del 1986, una disciplina di deducibilità degli interessi passivi correlata all’ammontare degli interessi attivi maturati nel corso del periodo di imposta ed al risultato operativo lordo della gestione caratteristica.
Vi era stata, dunque, l’abrogazione degli artt. 97 e 98 del d.P.R. n. 917 1986 che disciplinavano, rispettivamente, il pro rata patrimoniale di indeducibilità degli interessi passivi e la norma di contrasto all’utilizzo fiscale della sottocapitalizzazione (thin capitalization rule). Tuttavia, la norma transitoria di cui all’art. 1, comma 34, della legge finanziaria 2008 ha espressamente previsto la non retroattività della disposizione indicata con riferimento agli anni di imposta antecedenti all’entrata in vigore della nuova disciplina, sicché correttamente l’Ufficio aveva sottoposto a normale tassazione ai fini Ires quanto risultante per l’anno 2006. Né poteva operarsi una equiparazione della disciplina penalistica (favor rei) trattandosi di norme di stretta interpretazione e non comportando la disciplina all’epoca vigente sanzioni penali o equiparabili.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la società.
3. L’Agenzia delle entrate si è “costituita” al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 170, primo comma, c.p.c. “.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di impugnazione la società deduce la “violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e 25 del d.lgs. n. 472 del 1997 e degli articoli 97 e 98 del Tuir, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. In particolare, il giudice d’appello avrebbe errato laddove non ha considerato che l’abrogazione degli articoli 97 e 98 del d.P.R. n. 917 del 1986 aveva effetto retroattivo, dovendosi applicare il principio, ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di sanzioni tributarie, del “favor rei”.
1.1. Il motivo è infondato.
2. Invero, la disciplina della deducibilità degli interessi, prima della riforma di cui alla legge finanziaria del 24 dicembre 2007, n. 244, si strutturava su tre livelli: i limiti alla deducibilità degli interessi passivi ex art. 96 del d.P.R. n. 917 del 1986; il “pro rata patrimoniale” di cui all’art. 96 del medesimo d.P.R.; il contrasto all’utilizzo fiscale della sottocapitalizzazione ex art. 98 dello stesso d.P.R.
2.1. L’art. 96 del d.P.R. n. 917 del 1986, all’epoca vigente, fino al 31 dicembre 2007, prevedeva che: “La quota di interessi passivi che residua dopo l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 97 e 98 è deducibile per la parte corrispondente al rapporto tra l’ammontare dei ricavi e degli altri proventi che concorrono a formare il reddito e l’ammontare complessivo di tutti i ricavi e proventi”.
3. L’art. 97 del d.P.R. n. 917 del 1986, all’epoca vigente (pro rata patrimoniale) stabilisce che “nel caso in cui alla fine del periodo di imposta il valore di libro delle partecipazioni di cui all’art. 87 eccede quello del patrimonio netto contabile, la quota di interessi passivi che residua dopo l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 98, al netto degli interessi attivi, è indeducibile per la parte corrispondente al rapporto tra tale eccedenza ed il totale dell’attivo patrimoniale ridotto dello stesso patrimonio netto contabile e dei debiti commerciali. La parte indeducibile determinata ai sensi del periodo precedente è ridotta in misura corrispondente alla quota imponibile dei dividendi percepiti relativi alle stesse partecipazione di cui all’art. 87 “. Il secondo comma dell’art. 97 stabilisce che “agli effetti del comma 1, il requisito di cui all’art. 87, primo comma, lettera a), si intende conseguito qualora le partecipazioni siano possedute ininterrottamente dal primo giorno del dodicesimo mese precedente quello della fine del periodo di imposta”.
Tale norma, per la dottrina, conteneva disposizioni dirette ad evitare o, a limitare, la deduzione degli interessi passivi per la parte presumibilmente maturata in connessione con l’acquisto di partecipazioni qualificate per l’esenzione ai sensi dell’art. 87 del Tuir.
4. L’art. 98 del d.P.R. n. 917 del 1986, all’epoca vigente, dispone (contrasto all’utilizzo fiscale della sottocapitalizzazione) che “la remunerazione dei finanziamenti eccedenti di cui al comma 4, direttamente o indirettamente erogati o garantiti da un socio qualificato o da una sua parte correlata, computata al netto della quota di interessi indeducibili in applicazione dell’art. 3, comma 115 della legge 28 dicembre 1995, n. 549, è indeducibile dal reddito imponibile qualora il rapporto tra la consistenza media durante il periodo di imposta dei finanziamenti di cui al comma 4 e la quota di patrimonio netto contabile di pertinenza del socio medesimo e delle sue parti correlate, aumentato degli apporti di capitale effettuati dallo stesso socio o da sue parti correlate in esecuzione dei contratti di cui all’art. 109, comma 9, lettera b) , sia superiore a quello di 4 a 1). Al comma 3 si prevede che “ai fini dell’applicazione del comma uno:…c) il socio è qualificato quando:1. Direttamente o indirettamente controlla ai sensi dell’art. 2359 del codice civile il soggetto debitore; 2. Partecipa al capitale sociale dello stesso debitore con una percentuale pari o superiore al 25%, alla determinazione della quale concorrono le partecipazioni detenute dalle parti correlate. Non si considerano soci qualificati i soggetti di cui all’art. 74 “.
4.1 In particolare, con riferimento all’art. 98 del d.P.R. n. 917 del 1986 si è affermato che, in materia di indebito vantaggio fiscale, costituisce condotta abusiva l’operazione economica denominata “thin capitalization” (capitalizzazione sottile), già normativamente non consentita ai sensi dell’art. 98 T.U.I.R. (nel testo “ratione temporis” vigente), ove sia constatata la sottocapitalizzazione di una società rispetto all’attività di impresa esercitata ed il contestuale finanziamento della stessa con apporto di capitale di credito da parte dei soci qualificati, così determinandosi una situazione di elusione, consistente – per la società partecipata – nel vantaggio fiscale ottenibile nell’imposta risparmiata grazie alla deducibilità dal suo reddito d’impresa degli interessi passivi corrisposti ai soci rispetto alla diretta corresponsione di dividendi fiscalmente indeducibili, mentre – per i soci qualificati – nel minore o nullo ammontare dell’imposta che gli stessi assolvono sugli interessi attivi percepiti rispetto all’ammontare di quell’altra che avrebbero scontato sui dividendi (Cass., sez. 5, 22 giugno 2021, n. 17841; Cass., sez.5, 30 luglio 2020, n. 16371; cass., sez. 6-5, 26 novembre 2013, n. 26489). In motivazione, si è chiarito che l’art. 98 del d.P.R. n. 917 del 1986, abrogato con la legge n. 244 2007, era volto ad impedire la deducibilità dal reddito imponibile della società degli interessi passivi erogati dei soci finanziatori, una volta sussistente il presupposto del rapporto tra consistenza media dei finanziamenti del periodo di imposta e patrimonio netto contabile; venendo in essere tale presupposto, non vi era possibilità, tout court, di deduzione degli interessi passivi. La norma, quindi, mirava a limitare la deducibilità degli interessi passivi derivati da indebitamenti “anomali” che la società avesse contratto attraverso i propri soci o parti ad essi correlate; l’intento perseguito era, allora, quello di impedire pratiche elusive. In motivazione, si chiarisce ancora che l’art. 98 del Tuir è stato abrogato dall’art. 1, comma 33, della legge n. 244 2007, “a partire dall’anno d’imposta 2008”.
5.La legge finanziaria 24 dicembre 2007, n. 244, ha abolito gli articoli 97 e 98 del d.P.R. n. 917 del 1986 ed ha modificato l’art. 96 del medesimo d.P.R.
5.1. L’art. 1, comma 33 lettera 1) della legge n. 244 del 2007, prevede la sostituzione dell’art. 96 del d.P.R. n. 916 del 1986. L’art. 1, comma 33, lettera l) stabilisce, poi, che “gli articoli 97 e 98 sono abrogati”.
5.2. L’art. 1 comma 34 della legge n. 244 del 2007 prevede che “le disposizioni di cui al comma 33, lettere a), b), c), d), e)n. 2, l), m), o), p) q), numeri 2) e 3) , u), e aa), si applicano a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007. Le disposizioni di cui al comma 33, lettera i), si applicano dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007; per il primo e il secondo periodo di imposta di applicazione, il limite di deducibilità degli interessi passivi è aumentato di un importo pari, rispettivamente, a 10.000 e a 5000 euro”.
5.3. In base alla relazione illustrativa al testo di legge, la disciplina intende perseguire “obiettivi di razionalizzazione e semplificazione della disciplina e al contempo costituire un incentivo alla capitalizzazione, ma senza penalizzare in modo irreversibile la società caratterizzata da una struttura finanziaria sottocapitalizzate “. La ratio legis è, quindi, quella dettata oltre che da esigenze di semplificazione del sistema, volte ad eliminare i precedenti, complessi, meccanismi di computo degli oneri finanziari non deducibili, anche dall’obiettivo, di politica economica, di incentivare la capitalizzazione delle imprese. Per parte della dottrina la norma risponde anche a finalità antielusive, soprattutto in relazione a possibili arbitraggi di aliquote connessi alla mobilità internazionale dei capitali.
6. L’art. 96 del d.P.R. n. 917 del 1986, successivo alla legge finanziaria 2008 prevede che “gli interessi passivi e gli oneri assimilati, diversi da quelli compresi nel costo dei beni ai sensi del comma 1, lettera b) , dell’art. 110, sono deducibili in ciascun periodo d’imposta fino a concorrenza degli interessi attivi e proventi assimilati. L’eccedenza è deducibile nel limite del 30% del risultato operativo lordo della gestione caratteristica. La quota di risultato operativo lordo prodotto a partire dal terzo periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007, non utilizzata per la deduzione degli interessi passivi e degli oneri finanziari di competenza, può essere portata ad incremento del risultato operativo lordo di successivi periodi d’imposta”.
Al secondo comma dell’art. 96 si chiarisce che “per risultato operativo lordo si intende la differenza tra il valore e i costi della produzione di cui alle lettere A) e B) dell’art. 2425 del codice civile, con esclusione delle voci di cui al n. 10, lettere a e b, dei canoni di locazione finanziaria di beni strumentali, così come risultanti di dal conto economico dell’esercizio; per i soggetti che redigono il bilancio in base ai principi contabili internazionali si assumono le voci di conto economico corrispondenti “. La norma, dunque, prevede l’integrale deducibilità degli interessi passivi e degli oneri assimilati risultanti dal conto economico dell’esercizio “fino a concorrenza della franchigia”, costituita dall’ammontare degli interessi attivi e dei proventi assimilati. L’eventuale maggiore misura (l’eccedenza) degli interessi passivi ed oneri assimilati rispetto alle corrispondenti componenti attive risulta deducibile nei limiti del 30% del risultato operativo lordo della gestione caratteristica (rol). La norma impone, dunque, anzitutto, di determinare la differenza tra valori e costi della produzione; in secondo luogo, occorre sommare a questa differenza gli ammortamenti delle immobilizzazioni materiali e immateriali, i canoni di leasing, relativi a beni strumentali. In base alla relazione di accompagnamento al disegno di legge finanziaria la norma impone una verifica di congruità del costo dell’indebitamento rispetto al risultato operativo lordo della gestione caratteristica. Insomma, la redditività della gestione caratteristica diventa indicatore della deducibilità pro tempore dell’indebitamento. E’ quindi fiscalmente ritenuto fisiologico il ricorso al capitale di debito sino a quando i relativi interessi passivi rientrano nei limiti del 30% dell’insieme delle operazioni che si manifestano in via continuativa nello svolgimento della gestione e che producono componenti di reddito relativi alla parte peculiare e distintiva dell’attività dell’impresa. Il legislatore ha, quindi, esplicitato una forfettaria valutazione di tipo economicogestionale che introduce un radicale cambiamento nella ratio della disciplina tributaria del debito. Si è fissato un limite di deducibilità degli oneri finanziari ancorata un parametro di bilancio, ossia al risultato operativo lordo, ritenuto idoneo a misurare l’ammontare “congruo” degli interessi passivi sostenibili dall’impresa in considerazione della sua “normale” capacità di indebitamento. Si incentivano le imprese a migliorare il rapporto esistente tra il capitale di debito e il capitale proprio per poter fruire di una maggiore deduzione degli interessi passivi.
7. Si evidenzia, che l’art. 1 del d.lgs. 29 novembre 2018, n. 142, ha dato attuazione dell’art. 4 della Direttiva del 2016, sostituendo completamente il testo dell’art. 96 del d.P.R. n. 917 del 1986. La legge di delegazione europea 25 ottobre 2017, n. 163, ha recepito la direttiva UE n. 2016/1164 del Consiglio del 12 luglio 2016, recante norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno. L’art. 4 della Direttiva contiene una serie di disposizioni riguardanti la deducibilità degli interessi passivi in sede di determinazione del reddito di impresa, che rappresentano il livello minimo di tutela fiscale al quale avrebbero dovuto uniformarsi tutti gli Stati membri entro il 31 dicembre 2018. La sostituzione dell’art. 96 del d.P.R. n. 917 del 1986 ha avuto effetto, ai sensi dell’art. 13 dello stesso decreto, a partire dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018, quindi dal 2019.
8. Non v’è dubbio, dunque, che le modifiche apportate dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244, hanno natura sostanziale e, dunque, operano solo a decorrere dall’esercizio successivo a quello chiuso al 31 dicembre 2007, come espressamente previsto dalla norma transitoria di cui all’art. 1, comma 34 della legge 244 del 2007. Anche la dottrina è concorde sul punto, ritenendo che il trattamento fiscale degli interessi passivi è stato radicalmente riformulato a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2007, attraverso l’abrogazione degli articoli 98 e 97 e l’integrale sostituzione dell’art. 96.
9. Non si può in alcun modo sostenere la natura sanzionatoria di tale disposizione, con conseguente applicazione del principio del favor rei di cui agli artt. 3 e 25 del d.lgs. N. 472 del 1997.
10. Con il secondo motivo di impugnazione la società chiede “la sospensione della provvisoria esecuzione ai sensi dell’art. 283 c.p.c.”.
L’istanza è palesemente inammissibile. In vero, per questa Corte, al ricorso per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie regionali si applica la disposizione di cui all’art. 373, comma primo, secondo periodo, cod. proc. civ., secondo cui l’esecuzione della sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, essere sospesa dal giudice “a quo”, dovendo peraltro evidenziarsi come la specialità della materia tributaria e l’esigenza che sia garantito il regolare pagamento delle imposte renda necessaria la rigorosa valutazione dei requisiti del “fumus boni iuris” e del “periculum in mora” (Cass., sez. 5 24 febbraio 2012, n. 2845).
11. Non si provvede sulle spese del giudizio di legittimità in assenza di attività difensiva da parte dell’Agenzia delle entrate.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 1, se dovuto
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