CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 novembre 2018, n. 29527
Tributi – Accertamento – Riscossione – Cartella di pagamento – Iscrizione a ruolo per omessi/tardivi versamenti dei tributi – Controllo automatizzato delle dichiarazioni fiscali
Fatti di causa
1. In accoglimento del gravame interposto dall’Agenzia delle Entrate, la CTR di Palermo – Sezione staccata di Siracusa riformava la sentenza della CTP di Siracusa che aveva accolto il ricorso proposto dalla T.I. s.r.l. contro la cartella di pagamento n. 298 2007 00102884 21, notificata il 5 maggio 2007, emessa a seguito di iscrizione a ruolo per omessi o tardivi versamenti di IVA, IRAP, addizionale IRPEF comunale e regionale, recupero credito d’imposta e ritenute alla fonte, sanzioni e interessi, risultanti dal controllo automatizzato delle dichiarazioni relative agli anni di imposta 2002 e 2003 effettuato ai sensi degli artt. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 54-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
2. A fronte della pronuncia di primo grado che aveva ritenuto, disattesa l’eccezione di difetto di notifica della cartella ed assorbite le altre censure, la violazione delle citate norme, nonché degli artt. 6, comma 5, della legge 27 luglio 2000, n. 212, 60 del d.P.R. n. 633 del 1972 e 2 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, con conseguente illegittimità dell’atto opposto per non essere stata la T.I. posta in grado di analizzare preventivamente le risultanze del controllo effettuato dall’ufficio, la CTR: a) riteneva fondata la doglianza dell’Agenzia appellante circa l’insussistenza di incertezze su aspetti rilevanti delle dichiarazioni, essendo state iscritte a ruolo imposte dichiarate dalla T.I. dovute, ma non versate, sicché, ove la società avesse eseguito i versamenti, avrebbe avuto diritto alla riduzione delle sanzioni già applicate, in termini di IVA, nella misura del 30 per cento, di gran lunga inferiore a quelle derivanti dall’applicazione dell’art. 60 del d.P.R. n. 633 del 1972; b) rigettava i motivi svolti in primo grado dalla T.I. (attinenti all’illegittimità della cartella per mancanza della relata di notifica e ad altri vizi formali dell’atto, nonché all’inesistenza della pretesa tributaria per violazione del criterio di riparto dell’onere della prova) devoluti in appello; c) rigettava l’appello incidentale della T.I. sulla compensazione delle spese processuali.
3. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione la T.I. affidato a dieci motivi, cui replicano l’Agenzia delle Entrate e la SERIT Sicilia, quest’ultima non costituitasi nei precedenti gradi, con distinti controricorsi.
Ragioni della decisione
4. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 6 della legge n. 212 del 2000, 2 del d.lgs. n. 462 del 1997, 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, 54-bis e 60 del d.P.R. n. 633 del 1972: nell’accogliere l’unico motivo di gravame dell’Agenzia delle Entrate sulla questione del contraddittorio preventivo all’iscrizione a ruolo, la CTR avrebbe erroneamente svalutato la portata dell’adempimento dell’invio della comunicazione di irregolarità con invito al contribuente a fornire i chiarimenti, adempimento che invece costituirebbe, secondo T.I., condizione di validità della successiva iscrizione a ruolo in tutti i casi di controllo “liquidatorio” della dichiarazione, ai sensi dell’art. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000 ed ai principi espressi dalla giurisprudenza eurounitaria sul contraddittorio quale diritto fondamentale del contribuente; né, sempre secondo T.I., rileverebbe il fatto che le sanzioni sarebbero già ridotte al 30 per cento e quindi per un importo inferiore a quello previsto dall’art. 60 del d.P.R. n. 633 del 1972.
4.1. Il motivo è infondato, dovendosi dare continuità al consolidato principio secondo cui “l’art. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000 non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi dell’art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso” (Sez. 6-5, 21 novembre 2017, n. 27716; Sez. 5, 25 maggio 2012, n. 8342; si v. anche Sez. 5, 6 luglio 2016, n. 13759: “l’invio al contribuente della comunicazione di irregolarità, al fine di evitare la reiterazione di errori e di consentire la regolarizzazione degli aspetti formali, è dovuto solo ove dai controlli automatici emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione ovvero un’imposta o una maggiore imposta e, comunque, la sua omissione determina una mera irregolarità e non preclude, una volta ricevuta la notifica della cartella, di corrispondere quanto dovuto con riduzione della sanzione, mentre tale adempimento non è prescritto in caso di omessi o tardivi versamenti, ipotesi in cui, peraltro, non spetta la riduzione delle sanzioni amministrative ai sensi dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 462 del 1997”; analogamente, Sez. 5, 10 giugno 2015, n. 12023).
Nella specie, essendo stato effettuato il controllo sulle imposte come dichiarate dalla società, non ricorre quella situazione di incertezza su rilevanti aspetti della dichiarazione suscettibile di introdurre l’obbligo dell’invocato contraddittorio preventivo.
5. Con il secondo ed il terzo motivo – quest’ultimo svolto in via subordinata – si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 26, commi 1 e 5, del d.P.R. n. 602 del 1973, 60, comma 1, primo periodo e lett. f), del d.P.R. n. 600 del 1973, nonché degli artt. 148 e 156, comma 3, c.p.c.: la cartella impugnata sarebbe illegittima perché priva della relata di notifica sulla copia dell’atto da consegnare al destinatario, comportando detta omissione l’inesistenza della notificazione, a sua volta insuscettibile di sanatoria (secondo motivo); ove pure si ritenesse non l’inesistenza, ma la nullità della notificazione, non potrebbe in ogni caso farsi questione circa la sanabilità del vizio per raggiungimento dello scopo poiché l’avviso di accertamento non è un atto processuale, ma un atto amministrativo esplicativo della potestà impositiva (terzo motivo).
5.1. Entrambi i motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto all’evidenza connessi, sono infondati.
5.2. Nella specie, la notificazione della cartella è stata curata dal concessionario a mezzo del servizio postale ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973 (p. 10 del controricorso dell’Agenzia).
Al riguardo, Sez. 5, 27 maggio 2011, n. 11708 (si v. anche la successiva conforme Sez. 5, 19 marzo 2014, n. 6395) ha affermato che “La cartella esattoriale può essere notificata, ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, anche direttamente da parte del concessionario mediante raccomandata con avviso di ricevimento,nel qual caso, secondo la disciplina degli artt. 32 e 39 del d.m. 9 aprile 2001, è sufficiente, per il relativo perfezionamento, che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento ad opera dell’ufficiale postale se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione apponga la sua firma sul registro di consegna della corrispondenza, oltre che sull’avviso di ricevimento da restituire al mittente”, in particolare, “senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal penultimo comma del citato art. 26, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione” (Sez. 5, n. 6395/2014 cit.). A ciò aggiungasi, in generale, che “In tema di accertamento tributario, qualora la notifica sia effettuata a mezzo del servizio postale, la fase essenziale del procedimento è costituita dall’attività dell’agente postale, mentre quella dell’ufficiale giudiziario (o di colui che sia autorizzato ad avvalersi di tale mezzo di notificazione) ha il solo scopo di fornire al richiedente la prova dell’avvenuta spedizione e l’indicazione dell’ufficio postale al quale è stato consegnato il plico, sicché, qualora all’atto sia allegato l’avviso di ricevimento ritualmente compilato, la mancata apposizione sull’originale o sulla copia consegnata al destinatario della relazione prevista dall’art. 3 della legge 20 novembre 1982, n. 890, non comporta l’inesistenza della notifica, ma una mera irregolarità, che non può essere fatta valere dal destinatario, trattandosi di un adempimento che non è previsto nel suo interesse” (Sez. 5, 8 luglio 2015, n. 14245).
5.3. Esclusa dunque, sulla base dei menzionati precedenti, l’inesistenza della notificazione, deve poi ribadirsi che, anche a voler ipotizzare un vizio comportante la nullità della medesima, esso deve ritenersi sanato ex art. 156 c.p.c. a seguito della tempestiva proposizione del ricorso in opposizione. Questa Sezione ha infatti già affermato in più occasioni che “La notificazione è una mera condizione di efficacia e non un elemento costitutivo dell’atto amministrativo di imposizione tributaria, cosicché il vizio di nullità ovvero di inesistenza della stessa è irrilevante ove l’atto abbia raggiunto lo scopo” (così, recisamente, Sez. 5, 15 gennaio 2014, n. 654, in conformità a Sez. 5, 31 gennaio 2011, n. 2272 ed a Sez. U, 5 ottobre 2004, n. 19854; si v. anche la più recente Sez. 5, 24 aprile 2015, n. 8374). Tale principio può estendersi anche al caso, qui rilevante, di cartella di pagamento emessa ai sensi degli artt. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972: il rinvio contenuto nell’art. 26, comma 5, del d.P.R. n. 602 del 1973, dettato in materia di notifica della cartella di pagamento, all’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, dettato in materia di notificazione dell’avviso di accertamento, che a sua volta rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile – con espressa esclusione di quelle di cui alla lett. f) del comma 1, tra cui non è ricompreso l’art. 156 c.p.c. -, comporta, quale logica necessità, l’applicazione del regime delle nullità e delle sanatorie per quelle dettato, con la conseguenza che, se la proposizione del ricorso del contribuente produce l’effetto di sanare la nullità della notificazione dell’avviso di accertamento per raggiungimento dello scopo dell’atto, ex art. 156 c.p.c., ad analoga conclusione deve pervenirsi con riguardo alla notificazione della cartella di pagamento (così Sez. 5, 18 gennaio 2017, n. 1109).
5.4. Quanto sin qui osservato rende all’evidenza ragione dell’infondatezza anche del terzo subordinato motivo con il quale, come detto, si sostiene l’inapplicabilità al caso in esame della sanatoria per raggiungimento dello scopo, prevista dall’art. 156, comma 3, c.p.c., per i soli atti processuali: il mezzo si infrange, del resto, sul consolidato principio ribadito dalla recente Sez. 5, 9 maggio 2018, n. 11043 (ancora sulla scia di Sez. U, n. 19854/2004 cit.), secondo cui “L’invalida notifica dell’avviso di accertamento è sanata per raggiungimento dello scopo ove detto vizio non abbia pregiudicato il diritto di difesa del contribuente, situazione che si realizza nell’ipotesi in cui il medesimo, in sede di ricorso giurisdizionale contro l’atto, ne abbia diffusamente contestato il contenuto”.
6. Con il quarto motivo si deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 1 e 23 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 111 Cost.: contro il “principio di acquisizione processuale” (secondo il quale le risultanze istruttorie del processo debbono intendersi comuni ad entrambe le parti) e quello di “non contestazione”, la CTR avrebbe erroneamente escluso che fosse provata l’avvenuta adesione della contribuente al condono di cui all’art. 9 della legge n. 289 del 2002, nonostante dalle produzioni documentali della controparte Agenzia delle Entrate risultasse depositata (al n. 3 dell’elenco) la “ristampa dichiarazione di condono prodotta ai sensi dell’art. 9 della legge n. 289/02”.
6.1. Come già ritenuto dalla Sezione in un caso del tutto analogo (il riferimento è ancora a Sez. 5, n. 1109/2017 cit.), il motivo è inammissibile perché non censura l’affermazione, pure fatta dalla CTR – idonea da sola a reggere autonomamente la decisione sulla questione dell’adesione della contribuente al condono di cui alla legge n. 289 del 2002 -, della mancanza di prova dell’avvenuto perfezionamento di quel condono, che non risulta provata dalla produzione della sola “dichiarazione di condono”.
6.2. Il motivo è altresì infondato in quanto, per espressa previsione normativa (art. 9, comma 9, legge n. 289 del 2002), la definizione automatica per gli anni pregressi, di cui al comma 1 della citata disposizione, rende definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione, facendo tuttavia salvi gli effetti della liquidazione delle imposte in base all’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, con la conseguenza che “la definizione automatica ex art. 9, comma 9, della legge n. 289 del 2002 non incide sulla liquidazione ex art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e su quanto ad essa collegato a titolo d’interessi e sanzioni per ritardato pagamento, per i quali il contribuente deve avvalersi della procedura di cui al successivo art. 9-bis della medesima legge” (Sez. 5, 31 maggio 2016, n. 11334), procedura pacificamente non attivata nella specie.
7. Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 4, del d.P.R. n. 602 del 1973: la cartella di pagamento impugnata sarebbe illegittima in quanto i ruoli non risultano sottoscritti, adempimento questo necessario ai fini dell’esecutività degli stessi.
7.1. Il motivo è infondato. Esso non considera che, secondo il costante insegnamento di legittimità, il difetto di sottoscrizione del ruolo da parte del capo dell’ufficio non incide in alcun modo sulla validità dell’iscrizione a ruolo del tributo, poiché si tratta di atto interno e privo di autonomo rilievo esterno, trasfuso nella cartella da notificare al contribuente, per la quale neanche è prescritta la sottoscrizione del titolare dell’ufficio (si v., per tutte, Sez. 5, 30 dicembre 2015, n. 26053), costituendo ius receptum il principio secondo cui “l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo, tanto più che, a norma dell’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice” (da ultimo, Sez. 5, 5 dicembre 2014, n. 25773).
7.2. Va poi aggiunto che l’art. 12 del d.P.R. n. 602 del 1973 non prevede alcuna sanzione per la carenza di sottoscrizione del ruolo sicché, in virtù del principio di tassatività delle nullità, la violazione di detta disposizione non dà luogo ad alcuna invalidità (Sez. 5, 18 maggio 2018, n. 12243). Del resto, ancora recentemente la Sezione ha affermato che “il ruolo esattoriale – quale atto amministrativo – è assistito da una presunzione di legittimità, che opera anche nei giudizi in cui è parte l’amministrazione che ha formato l’atto e che, pertanto, spetta al contribuente superare, sicché quest’ultimo, ove ne lamenti la carenza di sottoscrizione prescritta dall’art. 12, comma 4, del d.P.R. n. 602 del 1973, dovrà darne dimostrazione tramite istanza di accesso” (Sez. 5, 21 dicembre 2016, n. 26546; Sez. 5, n. 12243/2018 cit.) : tenuto dunque conto della natura di atto amministrativo del ruolo e della cartella di pagamento, quali atti meramente esecutivi aventi, come tali, natura “vincolata” – non presentando in fase di formazione e redazione margini di discrezionalità amministrativa – va conseguentemente applicato il generale principio di irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento, ai sensi dell’art. 21 -octies della legge 7 agosto 1990, n. 241, il quale osta all’annullabilità del provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, il suo contenuto dispositivo non avrebbe comunque potuto essere diverso da quello in concreto adottato (principio ribadito da ultimo, sia pure con riferimento ad altro vizio “formale”, da Sez. 6-5, 12 gennaio 2016, n. 332).
8. Con il sesto motivo si denuncia ancora violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 4, del d.P.R. n. 602 del 1973, nonché degli artt. 1, comma 5-ter, lett. e), del d.l. 17 giugno 2005, n. 106 (conv., con modif., dalla legge 31 luglio 2005, n. 156) e 2697 c. c.: in caso di contestazione della sottoscrizione del ruolo da parte del contribuente, incomberebbe sull’amministrazione l’onere di provare la sottoscrizione elettronica o la validazione dei dati, quali equipollenti della sottoscrizione a mente dell’art. 1 del d.l. n. 106 del 2005 cit.
8.1. Il motivo è infondato sia per le ragioni esposte in sede di scrutinio del mezzo che precede sulla generale irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento amministrativo, sia perché la prova della formazione ed esecutività del ruolo (a mezzo di sottoscrizione o validazione in via centralizzata dei dati in esso contenuti, ex art. 1, comma 5-ter, lett. e), del d.l. n. 106 del 2005 cit., come introdotto in sede di conversione: cfr. Sez. 6-5, 20 gennaio 2017, n. 1449; Sez. 5, 18 novembre 2015, n. 23550) è ricavabile dalla stessa emissione della cartella esattoriale la cui notifica, per espressa previsione dell’art. 21, comma 1, ultima parte, del d.lgs. n. 546 del 1992, “vale anche come notificazione del ruolo”.
9. Con il settimo ed ottavo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, 54-bis del d. P.R. n. 633 del 1972, 28 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 e 154 c.p.c.: la CTR avrebbe errato nell’escludere la decadenza dell’amministrazione dal potere di rettifica automatizzata della dichiarazione presentata dalla società ai fini delle imposte sui redditi e IVA in quanto esercitato (con la formazione del ruolo nel 2006 per il controllo relativo agli anni d’imposta 2002 e 2003) oltre il termine previsto dalle citate disposizioni per la liquidazione (ovverosia “entro l’inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all’anno successivo”), termine che, seppure espressamente qualificato come ordinatorio dall’art. 28 della legge n. 449 del 1997, andrebbe nondimeno considerato alla stregua dell’art. 154 c.p.c. sicché, non essendone stata disposta la preventiva proroga per un periodo di durata uguale a quello originario, il termine sarebbe scaduto con effetto di perenzione del potere di controllo (settimo motivo); tale effetto ricorrerebbe comunque almeno con riferimento al termine per il controllo liquidatorio relativo all’IVA, per il quale non sovverrebbe una norma analoga all’art. 28 cit., la relativa previsione essendo esplicitamente riferita della legge n. 449 del 1997 alla sola liquidazione delle imposte sui redditi (ottavo motivo).
9.1. Entrambi i motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto all’evidenza connessi, sono infondati.
9.2. Per quanto attiene al settimo motivo, deve darsi continuità al principio affermato da Sez. U, 12 novembre 2004, n. 21498 (e successive conformi Sez. U, 23 dicembre 2004, n. 23826, Sez. 5, 30 giugno 2009, n. 15307, Sez. 5, 3 aprile 2013, n. 8055 e Sez. 5, 9 gennaio 2014, n. 240) secondo cui “In tema di accertamenti e controlli delle dichiarazioni tributarie, la disposizione, espressamente definita di interpretazione autentica, contenuta nell’art. 28 della legge n. 449 del 1997, indipendentemente da tale qualificazione espressa dalla legge, in presenza di un obiettivo dubbio ermeneutico sulla sua natura, ha efficacia retroattiva, e il termine annuale per la rettifica delle dichiarazioni fissato dall’art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 non ha natura perentoria, il che comporta che il suo inutile decorso non è causa di decadenza dell’amministrazione finanziaria dal potere di procedere alla rettifica della dichiarazione dei redditi, nei limiti imposti dai principi costituzionali e di civiltà giuridica. Infatti, in materia tributaria, ogni decadenza deve essere espressamente prevista, sicché, in mancanza di un’esplicita previsione, il termine fissato dalla legge per il compimento di un atto, ha efficacia meramente esortativa (cioè costituisce un invito a non indugiare) e l’atto può essere compiuto dall’interessato fino a quando ciò non gli venga precluso dalla sopravvenuta prescrizione del relativo diritto”.
Tuttavia, non essendo concepibile che il contribuente resti soggetto sine die al potere dell’amministrazione, la legittimità della pretesa erariale è subordinata, alla luce dell’intervento legislativo realizzato con l’art. 1, commi 5-bis e 5-ter, del d.l. n. 106 del 2005, convertito nella legge n. 156 del 2005 – emanato in ossequio alla sentenza della Corte costituzionale 15 luglio 2005, n. 280 -, alla notificazione della cartella di pagamento al contribuente entro il termine di decadenza del 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, dovendo l’ordinamento garantire l’interesse del medesimo contribuente alla conoscenza, in termini certi, della pretesa tributaria derivante dalla liquidazione delle dichiarazioni, regola applicabile anche per i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della detta legge di conversione n. 156 del 2005 (in tali sensi Sez. 5, 4 luglio 2014, n. 15329 e, da ultimo, Sez. 5, 13 dicembre 2017, n. 29845).
9.3. Nella specie, in cui il termine di presentazione delle dichiarazioni relative agli anni d’imposta 2002 e 2003 andava a scadere, rispettivamente, nel 2003 e 2004, la cartella di pagamento, notificata il 5 maggio 2007 entro il quadriennio, risulta tempestiva ai sensi dell’art. 1, comma 5-bis, lett. b), del d.l. n. 106 del 2005.
9.4. Va ulteriormente osservato che è improprio il riferimento fatto dalla ricorrente alla disciplina dei termini contenuta nell’art. 154 c.p.c. in quanto, come condivisibilmente affermato dalla cit. Sez. 5, n. 240/2014, “l’art. 154 c.p.c. disciplina la proroga dei soli termini processuali, sicché non si applica a quelli, di carattere sostanziale, riguardanti gli accertamenti ed i controlli delle dichiarazioni tributarie”.
9.5. Analoghe considerazioni valgono per l’ottavo motivo, riguardante specificamente il termine ex art. 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972 per la liquidazione dell’IVA mediante procedure automatizzate. Invero, la censura oblitera del tutto il carattere generale delle previsioni contenute nell’art. 1, commi 5-bis e 5-ter, del d.l. n. 106 del 2005, avendo il legislatore inteso conformarsi alla cit. Corte cost., n. 280/2005 ridisciplinando l’intera materia dei termini di decadenza sia per l’attività di accertamento che per la notificazione delle cartelle, con riferimento tanto alle imposte dirette che all’IVA, al dichiarato fine di “garantire l’interesse del contribuente alla conoscenza, in termini certi, della pretesa tributaria (…) e di assicurare l’interesse pubblico alla riscossione dei crediti tributari” (comma 5-bis), nonché di “conseguire la necessaria uniformità del sistema di riscossione mediante ruolo delle imposte sui redditi e dell’imposta sul valore aggiunto” (comma 5-ter) (sul detto carattere generale della disciplina in discorso, applicabile anche alla riscossione dell’IVA, si v., da ultimo e tra le tante, Sez. 5, 4 aprile 2018, n. 8321); ciò relativamente ai controlli mediante procedure automatizzate, in esito ai quali – a differenza degli ordinari accertamenti tributari – “il contribuente viene a conoscenza, per la prima volta, dell’esercizio del potere impositivo attraverso la notifica della cartella di pagamento, non essendo questa preceduta da alcun atto di accertamento e non essendo assoggettato il potere di controllo della dichiarazione ad alcun termine di decadenza” (così Sez. 5, 15 febbraio 2017, n. 3976, in motivazione).
Va pertanto ribadita la tempestività della notificazione della cartella di pagamento anche con riferimento all’IVA, per quanto ritenuto al punto 9.3 che precede.
10. Con il nono motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 12, comma 4, e 25, comma 2, del d.P.R. n. 602 del 1973, 1 e 6 del d.l. 3 settembre 1999, n. 321 e 125 c.p.c. : il difetto di sottoscrizione della cartella di pagamento ne comporterebbe l’illegittimità, trattandosi di elemento essenziale non surrogabile con la mera riferibilità dell’atto all’ente emanante; trattandosi inoltre di atto direttamente incidente sulla sfera giuridica del contribuente, esso sarebbe assimilabile all’atto di precetto che, ai sensi dell’art. 125 c.p.c., richiede necessariamente la sottoscrizione.
10.1. Il motivo è infondato. Fermo quanto già osservato in generale ai fini dello scrutinio del quinto mezzo sul difetto di iscrizione del ruolo, la doglianza si infrange sul principio, più volte affermato da questa Sezione, secondo cui la cartella di pagamento è da ricomprendersi nell’ambito di un “processo di natura amministrativa dotato di una disciplina sua propria”, con la conseguenza che, “stante la specialità del rapporto tributario e delle regole che presiedono alla realizzazione della pretesa impositiva”, non vi può essere “totale coincidenza con le prescrizioni generali dettate per l’atto di precetto; di cui, pure, la cartella mutua la sostanza” (così da ultimo Sez. 5, 28 ottobre 2016, n. 21840, richiamata da Sez. 5, n. 1109/2017 cit.). Per la stessa ragione non è postulabile la tesi, pure sostenuta dalla ricorrente, dell’applicazione alla cartella di pagamento della disposizione di cui all’art. 12, comma 4, d.P.R. n. 602 del 1973, che prevede la sottoscrizione del ruolo e che è riferibile solo ed esclusivamente a tale atto. Peraltro, la conclusione cui è pervenuto il giudice di appello è diretta derivazione del principio affermato dalla Corte cost., ord. 21 aprile 2000, n. 117 che, esaminando “la questione di legittimità costituzionale dell’art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, denunziato in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 97 della Costituzione, nella parte in cui omette di indicare la sottoscrizione autografa tra gli elementi costitutivi della cartella di pagamento”, l’ha ritenuta infondata “per palese erroneità del presupposto su cui essa si fonda”, costituendo “diritto vivente” (come da ultimo ulteriormente ribadito da Sez. 5, n. 26053/2015 cit., Sez. 5, n. 25773/2014 cit. e Sez. 5, 27 luglio 2012, n. 13461) “il principio secondo cui l’autografia della sottoscrizione è elemento essenziale dell’atto amministrativo nei soli casi previsti dalla legge, ed è regola sufficiente che dai dati contenuti nel documento sia possibile individuare con certezza l’autorità da cui l’atto proviene”, che è questione che nel caso di specie non viene neanche prospettata dalla ricorrente.
11. Con il decimo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.: secondo la T.I., avendo essa opposto l’inesistenza totale della pretesa tributaria, era onere dell’ente impositore provarne l’esistenza, ma l’ente nulla aveva controdedotto al riguardo, essendosi limitato a produrre nel giudizio di primo grado le ristampe delle cartelle esattoriali e della dichiarazione ex art. 9 della legge n. 289 del 2002, senza produrre “la dichiarazione della Società, in guisa da dimostrare di aver iscritto a ruolo gli importi ivi liquidati, di cui si assumeva l’omesso versamento” (p. 88 del ricorso), sicché il fatto non contestato era da ritenersi pacifico.
11.1. Il mezzo è palesemente privo di pregio. Parte ricorrente prescinde completamente dal considerare che, nella specie, si verte sull’omesso versamento di imposte dalla stessa dichiarate, così nemmeno cogliendo – inammissibilmente – la ratio deciderteli e finendo per invocare un’applicazione dell’art. 2697 c.c. meramente meccanica, basata su un’errata lettura del principio di non contestazione.
11.2. Invero, ove si tratti di debito tributario portato da cartella di pagamento derivante da una mera liquidazione di quanto esposto dallo stesso contribuente nelle dichiarazioni a suo tempo presentate, previo semplice riscontro cartolare di queste ultime oppure a seguito di verifica dell’omesso versamento, integrale o parziale, delle imposte dichiarate come dovute, il contribuente è in possesso del documento da cui sono tratti gli elementi posti a base della liquidazione e, pertanto, si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale (cfr. Sez. 5, 27 luglio 2016, n. 15564).
11.3. Ora, posto che il principio di non contestazione (art. 115, comma 1, c.p.c., come sostituito dall’art. 45, comma 14, della legge 18 giugno 2009, n. 69; in precedenza Sez. U, 23 gennaio 2002, n. 761) si applica anche nel processo tributario, ma, attesa l’indisponibilità dei diritti controversi, riguarda esclusivamente i profili probatori del fatto non contestato (Sez. 5, 18 maggio 2018, n. 12287; Sez. 5, 6 febbraio 2015, n. 2196), l’insussistenza della pretesa tributaria opposta dalla T.I. è deduzione affatto generica.
In generale, infatti, “il principio di non contestazione non opera in difetto di specifica allegazione dei fatti che dovrebbero essere contestati, né tale specificità può essere desunta dall’esame dei documenti prodotti dalla parte, atteso che l’onere di contestazione deve essere correlato alle affermazioni presenti negli atti destinati a contenere le allegazioni delle parti, onde consentire alle stesse e al giudice di verificare immediatamente, sulla base delle contrapposte allegazioni e deduzioni, quali siano i fatti non contestati e quelli ancora controversi” (così Sez. 3, 22 settembre 2017, n. 22055).
Inoltre, se è vero, in tesi generale, che nel processo tributario l’amministrazione è attore in senso sostanziale con i relativi oneri probatori, nondimeno la contestazione da parte del convenuto dei fatti non ribalta sull’attore – come pretenderebbe T.I. – l’onere di “contestare l’altrui contestazione”, dal momento che egli ha già esposto (nella specie, con la menzionata documentazione) la propria posizione a riguardo (in tali sensi, Sez. L, 14 marzo 2018, n. 6183).
11.4. Orbene, correttamente la CTR ha rilevato come fosse onere di T.I., che ne aveva all’evidenza interesse, dimostrare l’avvenuto effettivo versamento di quanto indicato come dovuto nella dichiarazione dei redditi. La chiesta produzione in giudizio, da parte dell’amministrazione, della dichiarazione verificata risulta del tutto superflua e, quindi, nell’ipotesi — come quella in esame — in cui la contribuente parrebbe contestare la non corrispondenza tra quanto liquidato dall’ufficio e quanto da essa originariamente dichiarato, era onere della medesima fornire la relativa prova documentale, o mediante produzione di quella dichiarazione, al fine di dimostrare l’insussistenza dei rilevati errori materiali o di calcolo, oppure delle ricevute di versamento degli importi effettivamente dovuti.
12. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, dal che consegue la condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 18.000,00 a favore dell’Agenzia delle Entrate, oltre spese prenotate a debito, ed in euro 18.000,00 a favore della SERIT Sicilia s.p.a., oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori come per legge.
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