CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 novembre 2018, n. 29629
Lavoro – Contratti di somministrazione – Proroga – Accertamento dell’illegittimità – Assenza di soluzione di continuità tra l’ultima proroga del primo contratto e l’inizio del successivi contratti
Fatti di causa
Con sentenza n. 453/2013 la corte d’Appello di Brescia ha confermato la sentenza del tribunale Bergamo che ha respinto la domanda di N.S. diretta a far accertare l’illegittimità di cinque contratti di somministrazione, intercorsi nel periodo dal 18.3.2010 sino al 29.4.2011 e la costituzione ai sensi dell’art. 27 del D.lgs. n. 276/2003 di un rapporto di lavoro alle dipendenze della società utilizzatrice Officine V.V. spa.
La corte ha escluso che i cinque contratti, ciascuno dei quali prorogato più volte, fossero stati posti in essere in violazione dell’art.42 del CCNL del settore, oltre che in frode alla legge, come lamentato dal lavoratore in grado di appello, per il quale I’illiceità era a suo dire desumibile sia dall’assenza di soluzione di continuità tra l’ultima proroga del primo contratto e l’inizio del successivi contratti, egualmente prorogati, sia dalla genericità delle causali apposte a detti contratti.
La corte distrettuale ha invece ritenuto che le causali dei cinque contratti contenessero sufficienti ragioni giustificatrici, ai sensi dell’art. 20 c. 4 del d.lgs. n. 276/2003, essendo stata provata la sussistenza di tali ragioni attraverso le prove testimoniali, che avevano confermato le modalità organizzative della società, la quale lavorava attraverso un “ordine aperto”che rendeva impossibile una pianificazione a lungo termine della produzione, che invece era organizzata su base di commesse, le quali prevedevano la fornitura di pezzi senza cadenze per numeri fissi mensili, ma con variazioni di volta in volta comunicate dal cliente.
La corte bresciana ha poi precisato, con riferimento alle causali dei singoli contratti, che i testi escussi avevano confermato che durante il processo di riqualificazione dell’attività produttiva, si era verificato un sovraccarico di lavoro dovuto alla necessità di produrre i pezzi delle commesse ed allo stesso tempo alla necessità di ristrutturazione del reparto produttivo, come anche per il terzo contratto vi era stata la necessità colmare vuoti di organico, dovuti alle ferie arretrate fatte godere al personale, anche in ragione di un calo della produzione.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il S. affidato a quattro motivi, a cui ha resistito la società con controricorso. Entrambe le partì hanno poi depositato memorie ex art. 480 1 bis c.p.c.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso di deduce la violazione, in relazione all’art. 360 c. 1, n. 3 c.p.c. dell’art. 42 del CCNL del 2008 dei lavoratori somministrati che vieta che il periodo di assegnazione iniziale possa essere prorogato più di sei volte nell’arco di 36 mesi e che di fatto la società, stipulando senza soluzione di continuità più contratti di somministrazione per la stessa attività, avrebbe superato il limite di proroga imposto dalla norma contrattuale collettiva.
Con il secondo motivo di ricorso si deduceva la violazione dell’art. 2967 c.c. in relazione all’art. 42 del CCNL, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., per avere la corte di merito in realtà addossato al lavoratore l’onere di prova di quella che altro non è stato se non una delle condizioni di liceità della somministrazione, consistente nel rispetto dei limiti posti dalla contrattazione collettiva all’impiego di tale eccezionale figura di rapporto di lavoro. Ciò in quanto, pur ammessa la possibilità di una costituzione senza soluzione di continuità di contratti di somministrazione, l’utilizzatrice avrebbe dovuto provare quali circostanze di fatto avrebbero potuto consentire l’impiego del medesimo A lavoratore in continuità temporale a causa esigenze nuove, temporanee e sopravvenute, così che nonostante la continuatività temporale, non si dovesse ritenere violato il limite delle proroghe consentito dalla contrattazione collettiva. Nella realtà infatti il ricorrente aveva svolto sempre le stesse mansioni di addetto alla saldatura computerizzata, in base a un non meglio precisata riorganizzazione del reparto e di riordino del reparto produttivo.
Con il terzo motivo di gravame il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 21 e 27 3^ comma del D.LGS. n. 276/2003, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., per non avere la corte di merito ritenuto la mancanza di specificità delle causali dei contratti, che non consentivano di verificare le effettive ragioni a cui è legata la legittimità del contratto, che presuppone delle esigenze non stabili. Nel caso di specie le causali non erano affatto dettagliate nelle loro componenti essenziali, riferendosi a non meglio precisate esigenze di carattere organizzativo del reparto saldatura o di quello produttivo, in vista di cambio turni o di ferie o di incremento produttivo.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 20 comma 4^ del D.LGS. n. 276/2003, in relazione all’art. 360 c. 1, n. 3 c.p.c., per non avere la corte distrettuale accertato la reale sussistenza in concreto delle esigenze produttive, l’incidenza dell’asserito riassetto organizzativo sulla gestione dell’azienda e la sua effettiva temporaneità, quindi il nesso causale tra le suddette esigenze e l’incremento del personale stabilmente impiegato con personale somministrato. In assenza di tali elementi verrebbe di fatto vanificata la necessità di indicazione delle causali ai contratti di somministrazione, che deve invece essere individuata e predeterminata al momento della stipulazione del contratto e delle relative proroghe.
I primi due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente perché connessi, contestando di fatto entrambi la legittimità delle proroghe stipulate ai sensi dell’art. 42 del contratto collettivo del settore, non meritano accoglimento.
Il ricorrente fa discendere il superamento del numero di proroghe ammesse per ciascun contratto di somministrazione in base a quanto statuito dall’art. 42 del CCNL del settore – che stabilisce che il periodo di assegnazione iniziale può essere prorogato per sei volte nell’arco di 36 mesi – dalla continuatività temporale tra l’ultima proroga del precedente contratto di somministrazione, prorogato sei volte, e il successivo contratto di somministrazione stipulato anche a distanza di un solo giorno.
Tuttavia, poiché formalmente non risultano stipulate più di sei proroghe per ciascun contratto di somministrazione e poiché la norma non prevede che debba intercorrere alcun intervallo di tempo tra un contratto di somministrazione e l’altro, la violazione della citata clausola contrattuale collettiva può ritenersi sussistere solo ove tale superamento sia attribuibile ad una condotta fraudolenta del datore di lavoro, il quale attraverso la stipulazione di un successivo contratto di somministrazione, senza soluzione di continuità, elude il divieto di prorogare non più di sei volte il precedente contratto.
La sentenza impugnata ha escluso che nella fattispecie potesse configurarsi una tale ipotesi fraudolenta, che presupporrebbe la prova, da parte del lavoratore, della fittizietà della frattura tra un contratto e l’altro. La corte infatti ha ritenuto che la società avesse fornito la prova, attraverso le deposizioni testimoniali assunte in primo grado, della sussistenza delle ragioni giustificative indicate nei contratti di somministrazione stipulati successivamente al primo.
Non può dirsi pertanto che vi sia stata una violazione, nel caso di specie, neanche del principio regolatore dell’onere probatorio di cui all’art. 2967 c.c., in quanto la corte ha escluso l’intento fraudolento proprio in ragione della ritenuta prova da parte della società datrice di lavoro della sussistenza, per ciascun contratto, delle effettive esigenze indicate nelle singole causali e del loro carattere di temporaneità. L’accertamento della sussistenza della frode alla legge è demandato al giudice di merito e dunque è sindacabile in cassazione solo ove il giudice abbia del tutto omesso di esaminare i fatti dedotti quali espressione di mezzi per eludere la regola della temporaneità, circostanza non verificatasi nel caso in esame.
Anche il terzo e quarto motivo di ricorso non meritano accoglimento.
Va premesso che , quanto alla necessità della specificità della causale nel contratto di somministrazione e del relativo contratto di lavoro somministrato, queste Corte ha statuito che in tema di somministrazione di manodopera, il controllo giudiziario sulle ragioni che la consentono è limitato all’accertamento della loro esistenza, non potendo estendersi, ai sensi dell’art. 27, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003, al sindacato sulle valutazioni tecniche ed organizzative dell’utilizzatore, il quale è tenuto a dimostrare in giudizio l’esigenza alla quale si ricollega l’assunzione del lavoratore, esplicitando il collegamento tra la previsione astratta e la situazione concreta (così Cass. n. 21916/2015, Cass. n. 74513/2017).
Ora senza dubbio la non genericità della causale indicata nel contratto di somministrazione non è sufficiente di per sé per ritenere legittima l’apposizione del termine, indipendentemente dalla prova della sussistenza in concreto di una situazione che sia riconducibile alla ragione indicata in tale contratto (cfr Cass. n. 20598/2013 e Cass. n. 17540/2014).
Nel caso in esame tuttavia la Corte territoriale non si è fermata ad escludere un giudizio di genericità delle causali, ma ha ampiamente motivato, sulla base delle risultanze testimoniali raccolte in primo grado, quali fossero le ragioni organizzative dei reparti saldatura e produttivo, sia le esigenze di riordino del reparto produttivo, in ragione di turni per ferie – nei mesi da giugno ed agosto -, sia le ragioni legate ad un incremento produttivo correlato ad una precisa commessa ed ha esaminato in dettaglio le singole ragioni giustificatrici indicate per i cinque contratti stipulati, accertando per ciascuno la corrispondenza della singola causale indicata in contratto con quanto effettivamente emergente dalle testimonianze sia in termini di effettività delle ragioni, sia intermini di temporaneità delle stesse.
Il ricorso deve pertanto essere respinto, con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.
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