CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 novembre 2021, n. 34623
Tributi – Imposta sulla pubblicità – Accertamento – Omessa presentazione della dichiarazione di inizio dell’esposizione pubblicitaria ed omessi versamenti – Sanzioni – Applicazione del cumulo ex art. 12 del D.Lgs. n. 472 del 1997
Fatti della causa
Con sentenza n. 1915/47/2014, depositata il 21/2/2014, e non notificata, la CTR del Piemonte ha confermato il rigetto del ricorso della S. s.r.l. contro diversi avvisi di accertamento, con i quali la E. s.r.l., per conto del Comune di Napoli, aveva proceduto alla riscossione dei canoni sulla pubblicità maturati nel 2010, irrogando sanzioni, in relazione a svariati mezzi ritenuti pubblicitari ed abusivamente realizzati su suolo pubblico, mancando altresì la prescritta dichiarazione di inizio dell’esposizione pubblicitaria.
Avverso la decisione della CTR, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sedici motivi di impugnazione.
L’intimata si è difesa con controricorso. 3/2021Data pubblicazione 16/11/2021
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., è dedotta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 52, comma 5, d.lgs. n. 446 del 1997, 36, d.l. n. 247 del 2007, per non avere la CTR ritenuto di dover verificare, sia pure in via incidentale, la sussistenza in capo alla E. s.r.l., a seguito della uscita del socio privato, dei requisiti richiesti alle società in house providing e, quindi, la legittimazione ad emettere ingiunzioni fiscali.
Con il secondo motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 62, d.lgs. n. 446 del 1997, 112 e 132 n. 4 c.p.c., per non avere la CTR escluso l’applicabilità, nella esaminata fattispecie, dell’art. 5, d.lgs. n. 507 del 1993, avendo l’ente territoriale previsto (art. 1 del Titolo VI del P.G.I. del Comune di Napoli), in luogo dell’imposta comunale sulla pubblicità, il pagamento di un canone fondato su una tariffa.
Con il terzo motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., è dedotto l’omesso esame del fatto storico costituito dalla circostanza che alcuni dei trentotto avvisi di accertamento impugnati sono stati notificati oltre il termine di decadenza di 90 giorni, stabilito dall’art. 14, titolo IV, del P.G.I. (Piano generale degli impianti) del Comune di Napoli.
Con il quarto motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., per non avere la CTR ritenuto nulli i verbali di accertamento redatti tra il 3/5/2010 ed il 26/7/2010, in quanto sottoscritti con firma illeggibile da soggetto sconosciuto.
Con il quinto motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 62, d.p.r. n. 446 del 1997, per non avere la CTR considerato che i verbali di accertamento devono essere redatti da competente pubblico ufficiale del Comune di Napoli.
Con il sesto motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 3, d.lgs. n. 507 del 1993, d.p.r. n. 446 del 1997, per non avere la CTR ritenuto nulli i verbali di accertamento in quanto privi della sottoscrizione del legale rappresentante del concessionario, come previsto dall’art. 14, titolo IV, del P.G.I. del Comune di Napoli.
Con il settimo motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., è dedotto l’omesso esame del fatto storico costituito dalla circostanza che gli avvisi di accertamento impugnati sono nulli in quanto il soggetto che agisce in luogo del concessionario deve essere munito di apposita procura e presso il Comune di Napoli non risulta depositata alcuna procura che autorizzava G. M. a sottoscrivere gli avvisi emessi dalla E. s.r.l.. Con l’ottavo motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., è dedotto l’omesso esame del fatto storico costituito dalla circostanza che gli avvisi di accertamento sono privi di sottoscrizione autografa e/o dei dati sostitutivi di questa, ai sensi dell’art. 6-quater della l. n. 80 del 1991, essendo peraltro richiesta l’indicazione del nominativo del responsabile del procedimento.
Con il nono motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., è dedotto l’omesso esame del fatto storico costituito dalla natura temporanea della pubblicità, per cui poteva applicarsi non la tariffa per anno solare ma quella ad un solo giorno in considerazione del fatto che la pubblicità si deve presumere contestualmente rimossa ex art. 62, comma 4, d.lgs. n. 446 del 1997.
Con il decimo motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., è dedotto l’omesso esame del fatto storico costituito dalla erronea applicazione della norma sanzionatoria, individuata nell’art. 23, d.lgs. n. 507 del 1993, anziché nell’art. 23, d.lgs. n. 285 del 1992.
Con l’undicesimo motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., è dedotto l’omesso esame del fatto storico costituito dalla assenza di una norma che preveda la responsabilità solidale a carico di colui che produce i beni e/o i servizi oggetto della pubblicità.
Con il dodicesimo motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., è dedotto l’omesso esame di fatto storico in quanto dall’omissione, contestata alla contribuente, della dichiarazione di pubblicità cumulativa di cui all’art. 8, d.lgs. n. 507 del 1993, erano scaturite diverse violazioni della citata disposizione, sanzionabili con applicazione del cumulo giuridico.
Con il tredicesimo motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 n. 4, c.p.c., per avere la CTR escluso, con una sentenza sorretta da motivazione meramente apparente, l’inadeguatezza della motivazione degli avvisi di accertamento emessi da E. s.r.l., come pure accertato dalla CTP di Napoli in analoghi giudizi proposti da altri contribuenti.
Con il quattordicesimo motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 n. 4, c.p.c., per avere la CTR escluso la sussistenza di una causa d’incompatibilità di uno dei componenti del collegio giudicante di primo grado, il dott. R.C., da considerarsi, ai sensi dell’art. 59 lett. d), d.lgs. n. 546 del 1992, non legittimamente composto.
Con il quindicesimo ed il sedicesimo motivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2719 c.c., per avere la CTR ritenuto prova idonea la documentazione fotografica prodotta in giudizio da E. s.r.l., nonostante la contestazione di conformità agli originali, senza dare conto delle ragioni della decisione.
Ragioni della decisione
La prima censura è inammissibile perché nuova.
La Corte ha più volte affermato che “Qualora una questione giuridica – implicante un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che la proponga in sede di legittimità, onde non incorrere nell’inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, per consentire alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la censura stessa.” (Cass. n. 32804/2019, n. 27568/2017). La seconda censura è infondata.
La società ricorrente, editrice di periodici, assume di aver consegnato, nel maggio 2010, “al proprio distributore apposite locandine cartacee riportanti il nome dei periodici editati dalla stessa (…) affinché il distributore provvedesse a distribuirle nei giorni ritenuti opportuni, insieme ai periodici editati da vendere, presso le principali edicole della città di Napoli al fine di consentirne l’affissione presso le stesse edicole a cura e nell’interesse degli edicolanti”, e si duole del fatto che il giudice di appello, sulla base della documentazione versata in atti, ha ritenuto provata l’effettiva realizzazione della iniziativa pubblicitaria, da tassare ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 507 del 1993, norma, invece, non applicabile alla fattispecie esaminata in quanto nel Comune di Napoli, dall’anno 2002, è previsto il pagamento di un canone determinato in base a tariffa (art. 1, titolo VI, P.G.I. del Comune di Napoli).
L’art. 62, d.lgs. n. 446 del 1997, ha previsto la facoltà per gli enti territoriali, esercitabile con regolamento, di trasformare l’imposta sulla pubblicità in un canone (cd. CIMP, canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari), fondato su una tariffa che deve tenere conto, secondo criteri di ragionevolezza e gradualità, di una serie di fattori (popolazione residente, flussi turistici, caratteristiche urbanistiche delle diverse zone comunali, impatto ambientale).
Orbene, il riferimento alla disposizione del d.lgs. n. 507 del 1993 che definisce in via generale i presupposti dell’imposizione, va rettamente inteso come d’ausilio per stabilire se una determinata fattispecie rientri o meno nell’area dell’obbligo tributario e, del resto, il richiamo a principi e regole dettati dal citato d.lgs. n. 507 del 1993 non manca neppure nel il P.G.I. del Comune di Napoli, fermo restando che l’ente territoriale ha previsto la corresponsione di un canone in luogo dell’imposta.
La terza censura è inammissibile.
La ricorrente si duole del fatto che il giudice di appello ha “omesso di esaminare” il motivo di gravame con cui ha chiesto la declaratoria di illegittimità di alcuni degli impugnati avvisi di accertamento perché “sono stati notificati oltre il termine di decadenza di 90 giorni stabilito dal PGI”, segnatamente, dall’art. 14, del titolo IV, e deduce che il vizio in oggetto “è motivo di cassazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c.”. La Corte ha più volte affermato che “L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello, e, in genere, su una domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio, integra una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, dello stesso codice, che consente alla parte di chiedere – e al giudice di legittimità di effettuare – l’esame degli atti del giudizio di merito, nonché, specificamente, dell’atto di appello, mentre è inammissibile ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.” (Cass. n. 22759/2014).
Inoltre, la decadenza non può prescindere dalla individuazione del momento in cui i verbali di accertamento delle violazioni sono stati notificati, ma alcuna data viene indicata nel motivo di ricorso che si appalesa genericamente formulato onde non consente alcuna ulteriore valutazione circa la sua fondatezza.
La quarta, quinta e sesta censura, che possono essere esaminate congiuntamente in quanto strettamente connesse, sono infondate.
La ricorrente deduce l’illegittimità delle attività di accertamento in quanto i relativi verbali recano sottoscrizioni illeggibili, devono essere redatti da pubblico ufficiale del Comune di Napoli, devono recare la sottoscrizione del legale rappresentante del concessionario, e tuttavia non considera che, ai sensi dell’art. 1, comma 179 della l. n. 296 del 2006, si è ampliata la platea dei soggetti legittimati ad esercitare i poteri di accertamento e di contestazione, tra i dipendenti dell’ente locale o dell’affidatario, che possono accedere a locali ed aree, allo scopo di accertare le manifestazioni pubblicitarie assoggettabili a tributo. I Comuni, infatti, possono conferire i suddetti poteri per le violazioni relative alle proprie entrate, e per quelle che si verificano sul proprio territorio, anche in maniera disgiunta, sia per quanto concerne le attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi, che di riscossione delle altre entrate. L’esistenza dell’atto non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo e, sotto tale aspetto, le deduzioni della società contribuente appaiono alquanto generiche e non colgono nel segno.
La settima censura è infondata.
Gli avvisi di accertamento emessi dalla E. s.r.l., secondo la ricorrente, non sono validi in quanto presso, il Comune di Napoli, non risulta depositata alcuna procura che autorizza G. M. a sottoscrivere tale tipologia di atti e, tuttavia, il motivo d’impugnazione richiama una disposizione, l’art. 31 (Disciplina del servizio in concessione) del d.lgs. n. 507 del 1993, in tesi violata, che è stato abrogata dall’art. 53, d.lgs. n. 446 del 1997, con cui è stata rivista l’attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi e di altre entrate di Province e Comuni gestite da soggetti privati abilitati, in possesso dei requisiti previsti per l’iscrizione all’albo appositamente istituito (comma 4, “Sono abrogati gli articoli da 25 a 34 del decreto legislativo 15 novembre 1993, n. 507, concernenti la gestione del servizio di accertamento e riscossione dell’imposta comunale sulla pubblicità”). In realtà, queste norme consentivano di affermare l’immediata ammissibilità soltanto dell’attività amministrativa predisposta elettronicamente.
L’ottava censura è infondata.
In realtà, le norme di cui la ricorrente lamenta la violazione consentivano di affermare l’immediata ammissibilità dell’attività amministrativa predisposta elettronicamente e l’ultimo periodo del comma 2 del citato art. 3 del d.lgs. n. 39 del 1993, con formulazione in parte analoga a quella di cui all’art. 15-quinquies della legge n. 38 del 1990 (in materia di certificazioni di anagrafe e di stato civile delle amministrazioni comunali), la sostituibilità della firma autografa con quella in formato grafico (indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile), sancendone la piena equiparazione ai fini della validità dell’atto (o delle operazioni).
La ricorrente deduce la necessità, nel caso di specie, della sottoscrizione autografa del legale rappresentante del concessionario, soggetto distinto dall’ente locale e, al di là di come il motivo risulta stato formulato, denuncia l’inosservanza delle regole sulla sottoscrizione degli avvisi di accertamento relativi ai tributi locali.
Giova, al riguardo, ribadire quanto già espresso dalla Corte (Cass. 2181/2020), e cioè che “L’art.1, comma 162, l. 296 del 2006 (in vigore dal 1/1/2007) prevede che gli avvisi di accertamento dei tributi locali “sono sottoscritti dal funzionario designato dall’ente locale per la gestione del tributo“. L’art.1, comma 87, l. n. 549 del 1995 stabilisce che “la firma autografa prevista dalle norme che disciplinano i tributi regionali e locali sugli atti di liquidazione e accertamento è sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, nel caso in cui gli atti medesimi siano prodotti da sistemi informativi automatizzati”. La Corte ha chiarito che questa seconda disposizione contiene una norma speciale, non abrogata (Cass. n.9079/2015, Cass. n. 6736/2015, Cass. n. 20362/2017) e che, “a garanzia del contribuente e della trasparenza della azione amministrativa, il nominativo del funzionario responsabile va individuato con apposito provvedimento di livello dirigenziale” (Cass. 30050/2018; Cass.n.20628/2017, n.15447/2010). La Corte ha altresì rimarcato che la norma, malgrado sia calibrata sull’ipotesi di gestione diretta dell’accertamento da parte dell’ente locale, può, in via interpretativa, essere ritenuta valevole anche per l’ipotesi di gestione da parte di un concessionario e che in questa ipotesi sugli atti di liquidazione e di accertamento prodotti da sistemi informativi automatizzati la firma autografa è sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del concessionario persona fisica, del rappresentante legale del concessionario persona giuridica o del soggetto che il concessionario abbia nominato “responsabile dell’emanazione degli atti di liquidazione ed accertamento del tributo” (Cass.9627/2012 in riferimento ad un caso di atto sottoscritto dal responsabile). La Corte ha rilevato che “del resto, anche l’art. 11, d.lgs. n. 507 del 1993, tiene distinto il caso della gestione diretta (comma 1), prevedendo che “il comune designa un funzionario cui sono attributi la funzione ed i poteri per l’esercizio di ogni attività organizzativa e gestionale dell’imposta sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni; il predetto funzionario sottoscrive anche le richieste, gli avvisi, i provvedimenti relativi e dispone i rimborsi”, dal caso della gestione in concessione (comma 3), prevedendo che “le attribuzioni di cui al comma 1 spettano al concessionario” (Cass. 30050/2018)”.
Nella fattispecie per cui è causa, come riferito dalla controricorrente, accertato dalla CTR della Campania e non contestato dalla ricorrente, gli avvisi di accertamento emessi dalla E. s.r.l. sono stati sottoscritti, con le modalità sopra ricordate, dal “Funzionario Responsabile”, del quale viene riportato il nome e cognome; tanto basta, ai fini qui considerati, per ritenere validi gli atti impugnati.
Del resto, il potere del concessionario dipende dal rapporto di convenzione “a monte” con l’ente impositore, e l’emissione del singolo atto è “sempre riferibile nei confronti dei terzi all’ente che lo emette, a prescindere dal funzionario che materialmente lo esegue” (Cass. n. 31707/2018 e n. 26176/2011, in fattispecie concernente avviso di mora emesso dal concessionario del servizio di riscossione).
La nona censura è infondata.
La ricorrente lamenta l’omesso esame del fatto storico costituito dalla natura (pretesamente) temporanea della pubblicità e la erronea applicazione applicazione della tariffa per anno solare, e non di quella “ad un solo giorno”, dovendosi presumere il mezzo pubblicitario rimosso ex art. 62, comma 4, d.lgs. n. 446 del 1997.
Come opportunamente evidenziato dal giudice di appello, la E. s.r.l. ha contestato alla contribuente di non aver “ottemperato agli obblighi sanciti dall’art. 8 del D.Lgs. n. 507/93 non provvedendo a presentare al Comune apposita dichiarazione nella quale doveva indicare le caratteristiche degli avvisi pubblicitari”, ed il comma 4 della citata disposizione stabilisce che “qualora venga omessa la presentazione della dichiarazione, la pubblicità (…) si presume effettuata con decorrenza dal primo giorno in cui è stata accertata; per le altre fattispecie la presunzione opera dal primo giorno del mese in cui è stato effettuato l’accertamento”, e la regola viene richiamata anche dal P.G.I. del Comune di Napoli.
La decima censura è infondata.
La ricorrente lamenta l’erronea applicazione della norma sanzionatoria, che andrebbe individuata non nell’art. 23, d.lgs. n. 507 del 1993, ma nell’art. 23, d.lgs. n. 285 del 1992 (Codice della Strada).
In ragione di quanto detto in precedenza, esaminando il nono motivo d’impugnazione, l’esposizione di pubblicità non dichiarata è da considerarsi violazione di carattere tributario sanzionata dal citato articolo 23, che riguarda qualsiasi forma di pubblicità effettuata sul territorio comunale, mentre la normativa concorrente, rappresentata dal Codice della Strada, il quale regolamenta esclusivamente la pubblicità effettuata sulle strade o in vista di esse si pone quale fine la tutela della sicurezza stradale, che si realizza soprattutto con la rimozione degli impianti abusivi.
La norma applicata, come evidenziato nel controricorso, è richiamata anche dal P.G.I. del Comune di Napoli (art. 14, comma 2, Titolo VI).
La undicesima censura è infondata.
Con il motivo di doglianza, sviluppato impropriamente in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., si deduce l’assenza di una norma che preveda, per l’applicazione delle sanzioni, la responsabilità solidale a carico di colui che produce i beni e/o i servizi oggetto della pubblicità.
Ai sensi del d.lgs. n. 507 del 1993, il presupposto dell’imposta sulla pubblicità è rappresentato dalla diffusione dei messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive ed acustiche in luoghi pubblici o aperti al pubblico, o che sia da tali luoghi percepibile.
Il soggetto passivo dell’imposta è rappresentato da colui che dispone, a qualsiasi titolo, del mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario viene diffuso (art. 6, comma 1, d.lgs. n. 507 del 1993).
Colui che produce o vende la merce oppure fornisce i servizi oggetto della pubblicità è solidalmente obbligato, con tale soggetto, al pagamento dell’imposta (art. 6, comma 2, d.lgs. n. 507 del 1993).
I soggetti sopra indicati, prima di collocare i mezzi pubblicitari, sono tenuti a presentare al comune apposita dichiarazione nella quale devono essere indicate le caratteristiche e la durata della pubblicità, nonché l’ubicazione dei mezzi pubblicitari utilizzati.
Le sanzioni amministrative per le condotte illecite, riguardo alla collocazione di impianti pubblicitari, sono previste dagli articoli 23 e 24 dello stesso d.lgs. n. 507 del 1993.
Orbene, la tesi sostenuta dalla contribuente non tiene conto del fatto che le norme contenute nel P.G.I. del Comune di Napoli “integrano la vigente normativa di legge” e, per quanto qui rileva, fanno espresso rinvio al d.lgs. n. 507 del 1993.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 141/2009, nel riconoscere la natura tributaria del canone introdotto dall’art. 62, d.lgs. n.446 del 1997, ha sottolineato “forti tratti di continuità tra la disciplina del CIMP e quella dell’imposta sulla pubblicità” per cui “il canone costituisce – seppure con diverso nomen iuris – un prelievo della stessa natura dell’imposta e presenta, perciò, tutte le caratteristiche del tributo”,
Nella pronuncia del giudice delle leggi si legge che uno dei motivi di analogia tra i prelievi è individuato proprio nel “fatto che, per la pubblicità assoggettata a canone, si applica un sistema di controllo, accertamento e sanzioni amministrative degli abusi sostanzialmente corrispondente a quello previsto per la pubblicità assoggettata ad imposta”.
La dodicesima censura, invece, è fondata.
La ricorrente si duole della mancata applicazione del cumulo giuridico delle sanzioni di cui all’art. 12 del d.lgs. n. 472 del 1997, sottolineando che dall’omissione, contestata alla contribuente, dell’obbligo di dichiarazione (cumulativa) della pubblicità di cui all’art. 8, d.lgs. n. 507 del 1993, contenente l’indicazione delle caratteristiche e la durata della iniziativa pubblicitaria che s’intende intraprendere nel territorio comunale, nonché del mancato pagamento del canone dovuto, erano scaturite diverse violazioni sanzionabili della stessa disposizione, questione riproposta in appello, al fine di ottenere la rideterminazione dell’ammontare complessivo delle sanzioni irrogate, con uno specifico motivo del quale “non vi è traccia di esame nelle motivazioni della decisione impugnata e nella memoria di costituzione della E. srl”.
La società S., in buona sostanza, sollecita il controllo di legittimità sulla conformità a legge della apodittica decisione implicita di rigetto del motivo di gravame (Cass. n. 24953/2020), in relazione ad una circostanza di fatto ritenuta decisiva per la corretta determinazione del carico punitivo derivante da 38 avvisi di accertamento per le varie esposizioni pubblicitarie (pagg. 2 e 3 ricorso per cassazione), con richiesta del canone dovuto per ciascuna di esse, della sanzione per omessa dichiarazione, della sanzione per omesso versamento e degli interessi, avuto riguardo agli artt. 8, 9, 10, 23 e 24, d.lgs. n. 507 del 1993, e all’art. 14, titolo IV, P.G.I. (Piano Generale degli Impianti – norme di attuazione) del Comune di Napoli, che a sua volta richiama l’art. 24, d.lgs. n. 507 del 1993, ed infine all’art. 12, d.lgs. n. 472 del 1997, che ha riformato la disciplina generale della continuazione nell’illecito tributario, confermando ed ampliando il principio del cumulo giuridico delle sanzioni, rendendolo obbligatorio, in attuazione del principio del favor rei.
Sulla questione della misura delle sanzioni irrogate, disattesa dal giudice di prime cure, la CTR dell’Emilia Romagna omette, persino graficamente, di spendere qualsivoglia argomentazione giustificativa della reiezione del motivo di gravame essendosi limitata a rilevare, nello svolgimento del processo (pag. 8 sentenza), la formulazione, da parte della contribuente, di una doglianza sulla “mancata applicazione del cumulo delle sanzioni”.
Il tredicesimo motivo è inammissibile
La ricorrente prospetta, sotto il profilo della violazione dell’art. 132 n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza di secondo grado in quanto la motivazione è apparente, in punto di valutazione della adeguatezza della motivazione degli avvisi di accertamento emessi da E. s.r.l., ed a supporto della doglianza richiama precedenti giudiziari di merito.
Il motivo di impugnazione appare mal formulato perché il vizio dell’error in procedendo è denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. n. 13977/2019, Cass. S.U. n. 22232/2016).
Il motivo non è correlato alla ratio decidendi valorizzata dal giudicante, che ha ritenuto “assolutamente generica” l’eccezione formulata al riguardo dalla contribuente, ed evidenziato il fatto che “come innanzi previsto il tributo è dovuto per legge da chiunque effettua pubblicità in luoghi pubblici”, per cui le ragioni della decisione non possono dirsi non percepibili.
Il motivo appare anche irrispettoso del canone di autosufficienza in quanto, sebbene la doglianza sia rivolta nei confronti della sentenza impugnata, essa si appunta contro la ritenuta congruità ed idoneità della motivazione degli avvisi di accertamento oggetto di causa. A tal proposito è dirimente il principio, tante volte ribadito nella giurisprudenza di codesta Corte, secondo il quale, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso (anche sotto il profilo della corrispondenza ai requisiti minimi di legge) in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso – è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio in proposito esclusivamente in base al ricorso medesimo (per tutte, Cass. n. 16147/2017).
La quattordicesima censura è infondata.
La ricorrente lamenta il fatto che la CTR ha escluso la sussistenza di una ragione di nullità della sentenza di primo grado per incompatibilità di uno dei componenti del collegio giudicante, il dott. R. C., e richiama l’art. 59 lett. d), d.lgs. n. 546 del 1992, che prevede una delle tassative ipotesi di rimessione della causa al primo giudice.
Sulla questione concernente la regolarità o meno della composizione del collegio giudicante in primo grado perché un componente dello stesso svolgeva professionalmente servizi contabili e fiscali (esercitando attività di revisore contabile come componente del collegio sindacale di numerose società, ed attività di revisore contabile di società di riscossione dei tributi, nonché svolgendo la figlia la professione di commercialista nella sede della commissione tributaria), va ribadito il principio (Cass. n. 4626/2008, n. 20389/2006 e n. 1853/2000) secondo cui, qualora nei confronti dei componenti delle commissioni tributarie sussista una delle cause di incompatibilità previste dall’art. 8 del d.lgs. n. 545 del 1992, come successivamente modificato, la decadenza del giudice dall’incarico deve essere accertata e deliberata dal Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria e dichiarata con decreto ministeriale, il quale incide ex nunc sulle attribuzioni giurisdizionali atteso che la (sussistenza di una) causa d’incompatibilità riguarda non già la cosiddetta capacità generica del giudice, ma soltanto una condizione di esercizio del potere di giudicare, che non determina né la nullità, né, a maggior ragione, l’inesistenza della sentenza emessa dal giudice in una situazione d’incompatibilità.
La quindicesima e sedicesima censura sono inammissibili.
Si duole la ricorrente perché la CTR ha immotivatamente ritenuto prova idonea ex art. 2719 c.c. la documentazione fotografica prodotta in giudizio da E. s.r.l., nonostante la contestazione circa la conformità della stessa agli originali.
Non v’è dubbio che a fondamento della pretesa l’ente impositore e il concessionario debbano assolvere all’onere della prova (art. 2697 c.c.) circa l’onere della prova dei fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria e, dunque, del fatto che il contribuente abbia iniziato un’attività pubblicitaria in luoghi aperti al pubblico o percepibili da detti luoghi.
Oltre al materiale fotografico, costituiscono fonte di prova i verbali di accertamento redatti dai soggetti accertatori e, nel caso di specie, anch’essi sono stati oggetto d’impugnazione.
Dalla motivazione della sentenza impugnata, tuttavia, non risulta affatto che la CTR abbia basato la decisione sul materiale fotografico comprovante l’esistenza di mezzi pubblicitari non dichiarati e che, quindi, si tratti di elemento probatorio decisivo ai fini della risoluzione della controversia.
Ne discende la declaratoria d’inammissibile per difetto di interesse dell’impugnazione il motivo di ricorso (Cass. n. 214187/014, n. 20689/2016).
Il dodicesimo mezzo deve, in conclusione, essere accolto sul punto specifico della misura delle sanzioni e ciò comporta che la sentenza d’appello va cassata limitatamente alla sola censura accolta (cfr. sopra sub. n. 9 ter), con rinvio alla Commissione regionale competente per l’esame del punto trascurato e la regolamentazione delle spese anche del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il dodicesimo motivo di ricorso, rigetta i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al mezzo accolto e rinvia alla CTR della Emilia Romagna, in diversa composizione, anche per la regolamentazione della spese processuali.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 09 giugno 2021, n. 16139 - Nell'ipotesi in cui il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria sotto il profilo del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento, che non è…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 aprile 2020, n. 7847 - Nel giudizio tributario, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 10 gennaio 2022, n. 382 - In base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall'art. 366 c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 marzo 2022, n. 7604 - Nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione…
- Corte di Cassazione sentenza n. 17358 depositata il 19 agosto 2020 - Qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 16985 depositata il 13 agosto 2020 - Nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo motivazionale nel giudizio sulla congruità della…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Le liberalità diverse dalle donazioni non sono sog
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 7442 depositata…
- Notifica nulla se il messo notificatore o l’
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5818 deposi…
- Le clausole vessatorie sono valide solo se vi è ap
La Corte di Cassazione, sezione II, con l’ordinanza n. 32731 depositata il…
- Il dipendente dimissionario non ha diritto all’ind
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 6782 depositata…
- L’indennità sostitutiva della mensa, non avendo na
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 7181 depositata…