CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 novembre 2021, n. 34780
Tributi – COSAP – Omesso versamento – Prescrizione – Contraffazione dei bollettini postali relativi al pagamento – Decorrenza dalla data dell’intervenuta conoscenza della truffa
Fatti di causa
M.P. propone ricorso, affidato a cinque motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Corte d’Appello di Roma aveva accolto l’appello di R.C. avverso la sentenza n. 7483/2007 del Tribunale di Roma in accoglimento dell’opposizione proposta avverso invito di pagamento per il versamento del canone di occupazione di spazi ed aree pubbliche con riguardo al posteggio sito in un mercato coperto, annualità 1990.
La Corte d’Appello, in particolare, aveva riformato la sentenza di primo grado sul rilievo che non era maturata la prescrizione con riguardo all’obbligazione in questione stante l’intervenuta sospensione del periodo di prescrizione ex art. 2941 n. 8 c.c. a seguito dell’occultamento, da parte del debitore, del reale pagamento effettuato in favore del creditore, di gran lunga inferiore al dovuto, mediante contraffazione dei relativi bollettini postali, e dell’intervenuta conoscenza della truffa, da parte di R.C., solo all’esito delle indagini svolte dalla stessa mediante specifico gruppo di lavoro.
R.C. resiste con controricorso.
Il ricorrente ha da ultimo depositato memoria difensiva.
Il ricorso, fissato all’udienza pubblica, è trattato in camera di consiglio in base alla disciplina dettata dal sopravvenuto art. 23, comma 8 -bis, del decreto-legge n. 137 del 2020, inserito dalla legge di conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, nessuno degli interessati avendo fatto richiesta di discussione orale.
Ragioni della decisione
1.1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione di norme di diritto (artt. 347, 58 e 168 c.p.c., 36 e 126 disp. Att. C.p.c.), lamentando che la Corte d’Appello abbia deciso la causa senza acquisire il fascicolo d’ufficio di primo grado.
1.2. La censura va disattesa poiché l’acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado, ai sensi dell’art. 347 c.p.c., non costituisce condizione essenziale per la validità del giudizio d’appello, con la conseguenza che la relativa omissione non determina un vizio del procedimento o della sentenza di secondo grado, bensì, al più, il vizio di difetto di motivazione, a condizione che venga specificamente prospettato che da detto fascicolo il giudice d’appello avrebbe potuto o dovuto trarre elementi decisivi per la decisione della causa, non rilevabili aliunde ed esplicitati dalla parte interessata (cfr. Cass. nn. 9498/2019, 20631/2018).
2.1. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione di norme di diritto (artt. 2941 n. 8 e 2935 c.c.) e lamenta che la Corte d’Appello ha erroneamente ritenuto sussistere nella fattispecie le condizioni di legge per assumere la condotta fraudolenta del ricorrente al fine di applicare la sospensione della prescrizione dell’obbligo di pagare il canone COSAP.
2.2. La doglianza va parimenti disattesa.
2.3. La sentenza impugnata ha motivatamente ravvisato un intenzionale comportamento doloso, da parte del debitore, nell’occultamento del pagamento del debito relativo al canone COSAP, essendo emerso, a seguito di indagini espletate dal gruppo di lavoro dell’ente locale, che il canone dovuto era stato corrisposto soltanto in minima parte mediante artifici consistiti nella contraffazione del relativo bollettino postale di versamento, cui erano stati aggiunti due zeri.
2.4. La Corte d’Appello, muovendo dunque dalla descritta premessa fattuale, ha correttamente applicato l’insegnamento di questa Corte, nel senso che l’operatività della causa di sospensione della prescrizione di cui all’art. 2941, n.8 cod. civ. («tra il debitore che ha dolosamente occultato l’esistenza del debito e il creditore, finché il dolo non sia stato scoperto») ricorre quando sia posta in essere, dal debitore, una condotta tale da comportare, per il creditore, una vera e propria impossibilità di agire, e non una mera difficoltà di accertamento del credito, e dunque quando sia posto in essere dal debitore un comportamento intenzionalmente diretto ad occultare, al creditore, l’esistenza dell’obbligazione (cfr., tra le tante, Cass. 18 ottobre 2018, n.26269; Cass. 11 settembre 2018, n. 22072; Cass. 7 marzo 2012, n.3584).
2.5. Nella vicenda all’esame del Collegio, il bollettino postale di versamento del canone costituiva l’unico ed esclusivo documento che avrebbe consentito a R.C. di verificare l’effettivo integrale pagamento del dovuto, con conseguente decorrenza del termine di prescrizione dalla data in cui fu scoperto l’occultamento doloso del debito.
2.6. La Corte di merito ha quindi chiaramente valutato e dato atto della condotta dolosa del ricorrente, di occultamento del debito residuo, e del decorso della causa di sospensione della prescrizione, con giudizio di fatto che si sottrae ad ogni sindacato in sede di legittimità.
3.1. Con il terzo motivo si lamenta omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e violazione di norme di diritto (artt. 2941 n. 8 c.c. e 2935 c.c.), in relazione alla mancata valutazione del fatto notorio circa la cadenza trimestrale dell’invio dell’estratto di conto corrente, con riguardo a quanto affermato dalla Corte d’Appello in merito alla mancata prova dell’invio dell’estratto nel 1993, alla sua successiva acquisizione <<nell’ambito dell’indagine demandata al gruppo di lavoro incaricato dal Comune>>, ed in relazione all’indicazione, sul bollettino di conto corrente postale, dell’importo di £. 4.524.000, con stampigliatura meccanografica.
3.2. Con il quarto motivo si lamenta violazione di norme di diritto (artt. 2700, 2697 c.c. e 116 c.p.c.) per avere la Corte di merito omesso di valutare che il bollettino di conto corrente postale ha natura di atto pubblico rispetto all’estratto conto prodotto dall’ente territoriale, mero atto di contabilità interno tra Poste Italiane e quest’ultimo.
3.3. Le doglianze, da esaminare congiuntamente, in quanto strettamente connesse, vanno disattese.
3.4. Va preliminarmente ribadito, infatti, che nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, perché allo stesso non sollecitati, ed ove una determinata questione che implichi un accertamento di fatto non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità ha l’onere di indicare in quale atto del giudizio di merito l’abbia dedotta, così da permettere alla S.C. di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di ogni altro esame (cfr. Cass. nn. 14590/2005, 12571/2003, 9336/2001).
3.5. Le censure dei motivi in esame introducono, dunque, delle eccezioni fondate su presupposti di fatto (l’invio all’ente creditore dell’estratto del conto corrente postale nell’anno 1993, prima della successiva acquisizione, nel 2002, da parte del gruppo di lavoro del Comune di Roma, l’indicazione, sul bollettino di conto corrente postale, con stampigliatura meccanografica, dell’importo di £. 4.524.000, a differenza di quanto invece riportato sulla matrice, compilata manualmente, prodotta da R.C.) che non risultano accertate dal Giudice di merito, dinanzi al quale, per quanto risulta dalla sentenza impugnata e dalle stesse difese di parte (essendosi genericamente limitato il ricorrente ad affermare, con riguardo a tale ultima circostanza, che trattavasi di deduzione <<sempre affermata dalla difesa …dopo la produzione in giudizio dei docc. 2 e 3 in primo grado da parte del Comune>>), le eccezioni non risultano mai essere state opposte.
4.1. Con il quinto motivo si denuncia violazione di norme di diritto (artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c.) per avere la Corte di merito affermato che il ricorrente <<aveva ammesso di avere corrisposto la somma indicata sul bollettino postale (lire 45.240)>>, sebbene nel verbale di udienza in primo grado egli avesse unicamente dichiarato di aver consegnato l’importo necessario al pagamento del canone COSAP <<a una persona che si era prestata … al relativo versamento all’ufficio postale>>, e per avere il Giudice di secondo grado anche invertito l’onere della prova relativo all’invio dell’estratto conto nel 1993, pur non ricorrendo le condizioni per applicare l’art. 2941 n. 8 c.c.
4.2. Le doglianze vanno parimenti disattese poiché, nell’un caso (con riguardo alla dedotta ammissione circa il pagamento di un importo inferiore al dovuto), trattasi di affermazioni che non esauriscono la totalità delle rationes decidendi alla radice dell’enunciato della Corte di merito (contraffazione del certificato di accredito del versamento postale, mancata prova dell’invio dell’estratto conto nell’anno 1993), che sviluppa dunque in ogni caso l’argomento delle risultanze dell’interrogatorio formale del ricorrente in primo grado solo in via rafforzativa delle argomentazioni dianzi illustrate, e non risulta quindi circostanza decisiva ex se, con conseguente assorbimento della censura, nell’altro caso (circa l’inversione dell’onere della prova) trattasi, parimenti, di argomentazioni destinate a rimanere assorbite in conseguenza del rigetto delle doglianze formulate nei precedenti motivi di ricorso.
6. Sulla scorta delle considerazioni che precedono, il ricorso va integralmente respinto.
7. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in cassazione, liquidate in Euro 1.500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-qualer D.P.R. n. 115/02, inserito dall’art. 1 comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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