CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 settembre 2020, n. 19272
Tributi – Importazione – Procedura doganale in regime di sospensione – Importazione di oli vegetali per usi tecnici – Prestazione della garanzia – Esenzione doganale – Rimborso degli oneri di fideiussione
Fatti di causa
Dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: Casa italiana olearia s.p.a. aveva presentato istanza di rimborso degli oneri di fideiussione sostenuti in relazione ad operazioni di importazione di oli vegetali per usi tecnici destinati alla vendita ad altre società per l’utilizzazione per la produzione di energia elettrica o di biodiesel; l’Agenzia delle dogane aveva negato il rimborso, sia in quanto non vi era alcuna previsione normativa che esentasse gli oli vegetali dal pagamento dell’accisa sia in quanto non era applicabile l’art. 8, legge n. 212/2000, poiché la ratio della suddetta previsione normativa risiedeva nel fatto che l’accertamento definitivo della non debenza dell’imposta dovesse avere causato un ingiusto danno al contribuente, mentre, nella fattispecie, la richiesta di prestazione della garanzia era connessa all’utilizzo della procedura doganale in regime di sospensione ed all’adempimento dell’operatore autorizzato di assegnare le merci alla destinazione dichiarata; avverso il provvedimento di diniego la società aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Brindisi che lo aveva accolto; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle dogane aveva proposto appello.
La Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: la questione di fondo da definire riguardava l’applicabilità al caso di specie dell’art. 21, decreto legislativo n. 504/1995; tenuto conto della pronuncia della Corte di giustizia del 5 ottobre 2006 nonché della direttiva 2003/96/CE, alla quale doveva essere riconosciuto la natura self-executing, doveva disporsi la disapplicazione dell’art. 21, cit.; sotto tale profilo, il carattere incondizionato dell’obbligo per gli Stati membri di assicurare l’esenzione fiscale di cui alla suddetta direttiva non poteva essere messo in discussione con l’esercizio di un potere discrezionale di uno Stato membro di limitare il suddetto beneficio.
Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle dogane affidato a quattro motivi di censura.
La società è rimasta intimata.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 132, comma secondo, n. 49, cod. proc. civ., e 36, decreto legislativo n. 546/1992, per avere pronunciato sulla questione della non applicabilità dell’esenzione della tassazione a favore della società, profilo non contestato, senza, invece, motivare sulla questione della legittimità del provvedimento di diniego basato sulla non applicabilità dell’obbligo di rimborso del costo delle fideiussioni, in considerazione del regime sospensivo della destinazione particolare della merce importata e della ratio della previsione di cui all’art. 8, legge 212/2000.
1.1. Il motivo è infondato.
Il giudice del gravame ha, in primo luogo, illustrato, in sede di svolgimento del processo, quali erano le ragioni prospettate dall’Agenzia delle dogane a fondamento del provvedimento di diniego, e, successivamente, nella parte motiva, ha individuato nell’applicabilità o meno dell’art. 21, decreto legislativo n. 504/1992, il profilo centrale da esaminare ai fini della definizione della controversia.
Sicché, dalla non applicabilità della suddetta previsione, quindi dal riconoscimento del diritto della società all’esenzione dal pagamento dell’accisa per i prodotti energetici utilizzati per la combustione, attesa la necessaria disapplicazione della stessa, ha conseguentemente escluso che il diritto alla suddetta esenzione potesse essere sottoposto a condizioni, atteso il carattere incondizionato di un obbligo per gli Stati di riconoscere il diritto all’esenzione.
È proprio con quest’ultimo passaggio motivazionale, dunque, che il giudice del gravame si è pronunciato sulla questione della non legittimità del provvedimento di diniego e sul diritto al rimborso della società dei costi per la fideiussione prestata: nella logica della decisione in esame, infatti, la imposizione della garanzia, richiesta al contribuente al momento della importazione della merce in esame, non poteva avere fondamento una volta che non sussisteva alcun obbligo di pagamento dell’accisa relativamente alla merce in oggetto.
2. Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 4, legge 212/2000, dell’art. 293, par. secondo, lett. e), Reg. Cee n. 2454/1993, e degli artt. 82, 88, 190, 193 e 199, Reg. Ce n. 2913/1992; nonché per violazione e falsa applicazione degli artt. 1362-1371, cod. civ., e delle regole di ermeneutica contrattuale.
In particolare, si evidenzia che, relativamente alle polizze fideiussorie n. 1046798 e n. 1047934, non vi era alcun cenno alla garanzia dell’accisa né all’impiego degli oli vegetali né alla società cui parte dei quantitativi di oli vegetali avrebbero dovuto essere ceduti, ma si trattava di garanzie prestate per il pagamento dei dazi previsti dall’art. 293, par. 2, lett. e), DAC, relativi alla autorizzazione alla destinazione particolare degli stessi, con la conseguenza che, secondo la disciplina unionale, le stesse erano prestate al fine di assicurare il rispetto dell’obbligo di effettiva destinazione prevista, sicché, in caso di mancato rispetto dell’obbligo, era legittimo il diniego del trattamento tariffario favorevole.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Lo stesso, infatti, prospetta una questione relativa alla corretta valutazione del contenuto delle polizze fideiussorie sopra indicate, profilo che attiene al merito della valutazione compiuta dal giudice del gravame, non sindacabile in questa sede.
Peraltro, la ragione di censura prospettata si scontra con la valutazione compiuta dal giudice del gravame che, avendo ritenuto che l’intera questione rientrava nell’ambito della previsione di cui all’art. 21, decreto legislativo, n. 504/1995, ha ritenuto che la fattispecie dovesse essere ricondotta nell’ambito della disciplina delle accise, in tal modo compiendo la sua valutazione di fatto sull’esatto contenuto delle polizze fideiussore presentate dalla contribuente.
Va rilevato, sotto tale profilo, che la stessa parte ricorrente (vd. pag. 27 del ricorso) ha precisato che il provvedimento di diniego è ancorato alla prestazione di garanzia connessa al regime sospensivo della destinazione particolare ex artt. 291 e ss. Reg. CEE 2454/1993 ed ai rischi insiti nella precedente fase di circolazione dei prodotti energetici soggetti ad accisa: pertanto, viene chiaramente evidenziato che la questione della prestazione di garanzia era correlata al pagamento delle accise ed è proprio in relazione a questo profilo specifico che il giudice del gravame si è pronunciato.
Inoltre, stando al contenuto delle due suddette polizze, il cui testo è stato riportato in questa sede, si evince che la fideiussione era stata prestata a garanzia di tutti i diritti doganali, nonché di ogni altro tributo la cui riscossione sia demandata all’Agenzia delle dogane, e nello stesso provvedimento di diniego del rimborso, anche questo riprodotto, si precisa che non vi era nessuna previsione normativa o pronuncia giurisprudenziale che esentasse gli oli vegetali dal pagamento dell’accisa, né risultava compiuta una distinzione, come ora intende parte ricorrente, rispetto al pagamento di dazi doganali.
Né può valere la censura della sentenza sotto il profilo della violazione delle regole di interpretazione ermeneutica, non avendo parte ricorrente espressamente indicato sotto quale profilo il giudice del gravame non si sia attenuto alle previsioni normative di cui agli artt. 1362 e ssgg. cod. civ..
3. Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione del principio di supremazia del diritto unionale, nonché per violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 4, legge n. 212/2000, degli artt. 293, 857 e 858, Reg. Ce n. 2454/1993, e degli artt. 82, par. secondo, 88, 193, 195 e 199, Reg. Ce n. 2913/1992.
In particolare, si censura la sentenza per contrasto con la disciplina unionale la quale, se, da un lato, prevede la facoltà di richiede la prestazione di una garanzia nel caso di immissione in libera pratica delle merci con destinazione particolare, dall’altro, non prevede alcun obbligo o possibilità di rimborso del costo, sicché sarebbe incompatibile l’applicazione della previsione di cui all’art. 8, comma 4, legge n. 212/2000.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Lo stesso, in primo luogo, non contiene alcuna specifica indicazione del passaggio della pronuncia di cui si prospetta il contrasto con le previsioni indicate in rubrica, in particolare con la disciplina unionale.
D’altro lato, come detto, il giudice del gravame ha motivato facendo esclusivo riferimento al diritto al rimborso dei costi della fideiussione prestata a garanzia del pagamento delle accise, mentre il presente motivo di ricorso, così come il secondo, già esaminato, prospetta una questione dei limiti del rimborso relativi alle fideiussioni prestate a garanzia delle obbligazioni doganali, profilo che non risulta essere stato preso in considerazione dal giudice del gravame.
4. Con il quarto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 4, legge n. 212/2000, degli artt. 6, 7 e 21, decreto legislativo n. 504/1995, degli artt. 3 e 20, Direttiva Ce n. 2003/96 e degli artt. 5 e 15, par. 3, Direttiva n. 912/12/Ce; nonché per violazione e falsa applicazione degli artt. 1362-1371, cod. civ., e delle regole di interpretazione di ermeneutica contrattuale.
In particolare, si censura la sentenza per non avere considerato che, relativamente alle operazioni di immissione in libera pratica degli oli vegetali destinati alla produzione di energia elettrica, sussisteva l’obbligo di sottopozione ad accisa al momento della loro importazione in territorio unionale, nonché di prestare la garanzia, a copertura dei rischi per la circolazione, prevista dall’art. 15, paragrafo 3, Direttiva n. 92/12/Cee, cui faceva richiamo l’art. 20, par. 1, lett. a), Direttiva n. 2003/96/Cee.
Sostiene, inoltre, parte ricorrente che, sotto tale profilo, sarebbe del tutto irrilevante la circostanza che l’impiego di prodotti energetici nella produzione di energia elettrica fosse stata esentata dal pagamento dell’accisa dalla suddetta Direttiva n. 2003/96/Cee, posto che l’art. 20 della medesima non prevedeva alcuna deroga all’obbligo di garanzia nel caso in cui i prodotti energetici da trasferire in regime sospensivo fossero destinati ad impieghi esenti, poiché la garanzia prevista dall’art. 15, par. 3, Direttiva n. 92/12/Cee è posta a copertura dei rischi inerenti la circolazione, per cui sarebbe irrilevante l’impiego finale del prodotto.
4.1. Il motivo è infondato.
Parte ricorrente incentra il presente motivo facendo specifico riferimento alla circostanza che i quantitativi di olio di palma importati dal maggio 2006 al febbraio 2007 dalla Casa Olearia con destinazione particolare alla produzione di energia elettrica erano da considerarsi sottoposti ad accisa al momento della loro importazione nel territorio, non rilevando, a tal proposito, la circostanza che, per l’impiego di prodotti energetici nella produzione di energia elettrica, fosse prevista l’esenzione di cui all’art. 14, par. 1, lett. a), della Direttiva n. 2003/96/Cee.
La suddetta linea interpretativa non è corretta.
La Direttiva 2003/96/Cee ha previsto, all’art. 14, par. 1, che: In aggiunta alle disposizioni generali di cui alla direttiva 92/12/CEE, relative alle esenzioni di cui godono i prodotti tassabili quando sono destinati a determinati usi, e fatte salve le altre disposizioni comunitarie, gli Stati membri esentano dalla tassazione i prodotti elencati in appresso, alle condizioni da essi stabilite al fine di garantire un’agevole e corretta applicazione delle esenzioni stesse e di evitare frodi, evasioni o abusi: a) prodotti energetici e l’elettricità utilizzati per produrre elettricità e l’elettricità utilizzata per mantenere la capacità di produrre l’elettricità stessa.
Pertanto, secondo la suddetta Direttiva, i prodotti energetici utilizzati per produrre elettricità, quali quelli in oggetto, sono esentati dal pagamento dell’accisa.
È noto, peraltro, che questa Corte (Cass. civ., 13 febbraio 2009, n. 3553), in ordine alla applicabilità della previsione in esame e alla sua incidenza nell’ordinamento interno, ha dato atto che, con sentenza del 5 ottobre 2006 (causa C-360/05), la Corte di Giustizia CE ha espressamente dichiarato che “la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono” in forza della “direttiva del Consiglio 27 ottobre 2003, 2003/96/CE, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità” avendo quel giudice accertato che la nostra Repubblica, “alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato” (ovverosia alla scadenza del 31 dicembre 2003), non aveva adottato “le misure richieste per il recepimento della direttiva nell’ordinamento giuridico italiano”, sicché le norme della direttiva detta, quindi, devono essere applicate siccome parte dell’ordinamento nazionale a partire da primo gennaio 2004.
Inoltre, si è quindi precisato che l’interpretazione delle disposizioni comunitarie in esame, condotta alla luce dei principi enunciati nelle pronunce rese dalla Corte di Giustizia CE su analoghe contenute in altre Direttive, di poi, ha imposto di affermare la natura selfexecuting della Direttiva in questione e, di conseguenza, in disapplicazione del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 21 (“prodotti soggetti ad accisa”) per contrarietà dello stesso alla normativa comunitaria, il diritto all’esenzione “dalla tassazione” dei prodotti (“energetici”) utilizzati per la combustione (pacificamente rientranti tra quelli esentati elencati nel provvedimento comunitario), disposta dalla stessa direttiva.
Ferma, restando, quindi, l’insussistenza nella fattispecie del presupposto per il pagamento dell’accisa relativamente ai prodotti in esame, va altresì aggiunto che non è, peraltro, corretta la linea interpretativa di parte ricorrente, secondo cui sarebbe del tutto irrilevante la suddetta esenzione ai fini del rimborso, in favore della società, dei costi sostenuti per la prestazione della fideiussione. L’art. 20, Direttiva 2003/96/Cee, indicata dalla ricorrente a fondamento della propria tesi difensiva, invero, prevede, per quanto di interesse, che: “Z_e disposizioni relative al controllo e alla circolazione, di cui alla direttiva 92/12/CEE, si applicano soltanto ai prodotti energetici elencati in appresso: a) i prodotti di cui ai codici NC da 1507 a 1518, qualora siano destinati ad essere utilizzati come combustibile per riscaldamento o come carburante per motori”.
Pertanto, il richiamo compiuto dalla Direttiva in esame alle previsioni di cui alla Direttiva 92/12/Cee, anche relativamente alla prestazione di garanzia per la circolazione dei prodotti soggetti ad accisa in regime sospensivo, previsto dall’art. 15, par. 3, non è pertinente.
Del resto, il legislatore interno, nell’art. 21, comma 7, decreto legislativo n. 504/1995, ha previsto che: “Le società di cui al comma 6, ovvero i soggetti autorizzati a sostituirle ai sensi del medesimo comma, hanno l’obbligo di prestare una cauzione sul pagamento dell’accisa”, in tal modo chiaramente evidenziando che l’obbligo di prestare la cauzione sussiste solo nel caso in cui è dovuto il pagamento dell’accisa ed è proprio in funzione di garanzia del pagamento dell’imposta, sicché, ove non sussiste il suddetto obbligo, perché il prodotto è esente, non è dovuta la prestazione di garanzia,
Dalle considerazioni sopra espresse deriva che l’insussistenza dell’obbligo di pagamento dell’accisa relativa agli oli vegetali finalizzati alla produzione di energia elettrica, ha determinato la mancanza dei presupposti per la prestazione della garanzia fideiussoria rilasciata dalla società, con conseguente applicazione della previsione di cui all’art. 8, legge 212/2000.
5. In conclusione, sono infondati il primo e quarto motivo, inammissibili il secondo e terzo, con conseguente rigetto del ricorso.
Nulla sulle spese, attesa la mancata costituzione della società intimata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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