CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 dicembre 2020, n. 29009
Mansioni precedenti al trasferimento – Demansionamento oggetto di ulteriore procedimento conclusosi con sentenza favorevole – Filiale più vicina al comune di residenza il soggetto disabile da assistere – Necessità di porre in essere gli accomodamenti ragionevoli per favorire le persone disabili – Modifiche e adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo da adottare
Fatti di causa
1.Il Tribunale di Napoli dichiarava illegittimo il disposto trasferimento di S.R. ed ordinava al Banco di Napoli di “riassegnare il ricorrente nell’organigramma aziendale con le mansioni precedenti al trasferimento ovvero equivalenti al suo livello di inquadramento”.
2. La Corte d’appello di Napoli, in accoglimento del gravame della Banca ed in riforma della pronuncia di primo grado, rigettava la domanda del R., che aveva impugnato il trasferimento presso la Filiale di Napoli – Poggioreale ove gli era stato assegnato l’incarico di Gestore Small Business, in luogo del precedente incarico di Direttore della Filiale di Giugliano, per violazione dell’art. 2103 c.c. e dell’art. 33 L. 104/92.
2.1. La Corte distrettuale rilevava che la questione del dedotto demansionamento era oggetto di ulteriore procedimento conclusosi con sentenza favorevole e che, quanto all’invocato beneficio della I. 104/92, lo stesso decorreva dalla data del provvedimento reso dall’INPS (2.5.2011) e non dalla diversa precedente data in cui risultava inoltrata la domanda (15.2.2011), non potendo attribuirsi natura meramente ricognitiva alla comunicazione dell’INPS al datore di lavoro.
2.2. Secondo la Corte quello “che più contava” era, tuttavia, la circostanza che la destinazione del trasferimento riservata al R. si manifestava assolutamente idonea allo scopo, per essere indiscutibilmente la filiale di Poggioreale più vicina al comune di Casoria ove risiedeva il soggetto disabile da assistere.
2.3. La Corte riteneva che il R., negando il proprio consenso rispetto alla nuova destinazione, aveva invocato in modo del tutto improprio la normativa ed i benefici previsti dalla legge in tema di avvicinamento della sede di servizio ad un congiunto disabile.
3. Di tale decisione ha domandato la cassazione il R., affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui ha resistito la Banca con controricorso.
4. La causa, rinviata a nuovo ruolo nell’adunanza camerale del 27.2.2020 per consentirne la trattazione unitamente ad altra vertente tra le stesse parti e relativa a vicenda connessa, è stata fissata in pubblica udienza.
5. Vi è memoria di costituzione di nuovo difensore ad adiuvandum per il R., con contestuale proposizione di istanza di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE. Anche la s.p.a. Intesa Sanpaolo (società avente causa dal Banco di Napoli) ha depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni di diritto
1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione degli artt. 3 e 33 della legge 104/1992 e 12 delle Preleggi, in relazione alla ritenuta decorrenza dei benefici di legge riconosciuti dall’art. 33, co. 5, I. 104/1992 a far data dal provvedimento reso dall’INPS in data 2.5.2011 e non dalla data della richiesta del dipendente di potere usufruire dei permessi previsti dalla legge, quale fratello di persona gravemente disabile, a seguito del decesso del proprio genitore che ne era l’affidatario (richiesta inoltrata il 15.2.2011).
2. Con il secondo motivo, il R. denuncia violazione degli artt. 12 delle Preleggi, 2103 c. c. e 33 della legge n. 104/92, in relazione alla ritenuta irrilevanza del rifiuto del trasferimento, da parte del dipendente, in ragione dell’avvicinamento della sede di lavoro, con il trasferimento stesso, alla residenza del disabile.
3. Con il terzo motivo, lamenta violazione degli artt. 2103, 2697 c.c., 115 c.p.c., con riguardo alla mancata applicazione della norma codicistica generale, sul rilievo che la norma speciale ne costituisce un rafforzativo, ma non un’alternativa.
4. Con il quarto motivo, si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, con riferimento alla mancata considerazione della circostanza che la condizione di disabilità grave risultava già accertata alla data del trasferimento del lavoratore e non era soggetta a revisione.
5. Il primo ed il quarto motivo, pur nella differente articolazione della deduzione dei vizi prospettati – nell’un caso violazione di legge e nell’altro vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. – possono trattarsi congiuntamente per la connessione delle questioni negli stessi esaminate.
6. Nella sentenza di questa Corte 3.11.2015 n. 22421, con riferimento ad un caso in cui la lavoratrice neanche godeva dei benefici di cui alla L. n. 104 del 1992, art. 3, emergendo unicamente dallo stato di famiglia della stessa la presenza della madre portatrice di un’invalidità al 100%, sono state svolte le seguenti considerazioni.
6.1. In primo luogo, è stata richiamata consolidata giurisprudenza costituzionale, che ha evidenziato come con la L. 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) il legislatore ha preso in particolare considerazione l’esigenza di favorire la socializzazione del soggetto disabile, predisponendo strumenti rivolti ad agevolare il suo pieno inserimento nella famiglia, nella scuola e nel lavoro, in attuazione del principio, espresso anche dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 215 del 1987, secondo il quale la socializzazione in tutte le sue modalità esplicative è un fondamentale fattore di sviluppo della personalità ed un idoneo strumento di tutela della salute del portatore di handicap, intesa nella sua accezione più ampia di salute psico-fisica (con richiamo a Corte cost., sentenza n. 350 del 2003 nonché a sentenze n. 167 del 1999, n. 226 del 2001 e n. 467 del 2002).
6.2. In questo quadro, è stato altresì posto l’accento sul ruolo fondamentale della famiglia “nella cura e nell’assistenza dei soggetti portatori di handicap” (Corte cost., sentenze n. 203 del 2013; n. 329 del 2011; n. 19 del 2009; n. 158 del 2007; n. 233 del 2005), sottolineandosi, così, che una tutela piena dei soggetti deboli (e, in particolare dei portatori di handicap gravi) richiede, oltre alle necessarie prestazioni sanitarie e di riabilitazione, anche la cura, l’inserimento sociale e, soprattutto, la continuità delle relazioni costitutive della personalità umana (Corte cost, sentenza n. 203 del 2013).
6.3. Sulla base del richiamo alla Convenzione ONU, pienamente efficace ed operativa nel nostro ordinamento (vedi, sul punto: Cass. 6 aprile 2011, n. 7889) – alla quale, anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha aderito, a partire dalla sentenza dell’ 11 aprile 2013 (cause riunite C-335/11 e C-337/11, HK Danmark, C-335:ll) – è stato affermato che, ai fini della nozione di handicap, nell’interpretazione delle direttive in materia di diritto antidiscriminatorio, non contenenti una simile nozione, non possa essere ignorata la complessiva situazione familiare del lavoratore con riflessi sull’impugnato trasferimento, stante l’obbligo di rispetto della suindicata Convenzione, finalizzata ad assicurare e garantire alle persone disabili un più adeguato livello di vita e di protezione sociale, in tutti gli ambiti (cfr. in tali termini Cass. 22421/2015 cit.).
6.4. Ciò in ragione della considerazione che la tutela in questione non possa prescindere da una previsione di adeguata regolamentazione del contratto di lavoro dei familiari conviventi con la persona tutelata (e questo addirittura a prescindere dalla fruizione dei benefici di cui alla L. n. 104 del 1992 cit.) e che ciò rappresenti una indiretta applicazione della sentenza della CGUE 4 luglio 2013, C- 312/11, Commissione c. Italia, nella quale, in base ai suddetti principi, la Corte di Giustizia ha stabilito che il nostro Paese, non avendo imposto a tutti i datori di lavoro di prevedere, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, soluzioni ragionevoli applicabili a tutti i disabili, è venuta meno al suo obbligo di recepire correttamente e completamente l’art. 5 della citata direttiva 2000/78/CE, in materia di pari dignità di trattamento in materia di condizioni di lavoro.
6.5. In coerenza con quanto precisato dalla CGUE sulla previsione da parte della suindicata Convenzione ONU (spec. art. 2, comma 4) è stato evidenziato quanto affermato sulla necessità di porre in essere gli “accomodamenti ragionevoli” per favorire le persone disabili, intendendosi per tali le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo da adottare, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone disabili, nelle diverse situazioni, il godimento e l’esercizio di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali su base di uguaglianza con gli altri.
6.6. In questa prospettiva e per il coacervo delle ragioni indicate, il trasferimento – che nel caso esaminato da Cass. 22421/2015 cit. era stato disposto in attuazione di un accertamento giudiziale della nullità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro – è stato giudicato palesemente illegittimo perchè adottato in patente violazione delle norme che disciplinano, in generale, il trasferimento del lavoratore nonché delle fondamentali regole di correttezza e buona fede contrattuale, oltre a risultare in contrasto con la normativa che tutela le persone con disabilità.
7. Anche precedentemente a tale arresto giurisprudenziale, e sempre sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata della suindicata disposizione (art. 33 l. 104/92) – effettuata alla luce dell’art. 3 Cost., comma 2, dell’art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006 sui diritti dei disabili, ratificata con L. n. 18 del 2009 -, è stato ritenuto vietato il trasferimento del lavoratore che assista un familiare disabile anche quando il grado di disabilità dell’assistito non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica del familiare, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte (Cass. 7 giugno 2012, n. 9201).
7.1. In continuità con la sentenza da ultimo menzionata è stato osservato che l’applicabilità della suindicata norma sui trasferimenti – la cui disciplina è oggi accomunata a quelli dei permessi retribuiti – presuppone che la condizione di disabilità sia accertata dalla Commissione istituita presso la competente Azienda Sanitaria Locale, ai sensi della medesima L. n. 104 del 1992, art. 4, ma la circostanza non è stata ritenuta ostativa rispetto al fatto che nella fattispecie esaminata tale requisito non fosse presente, interpretando la normativa in termini costituzionalmente orientati, in funzione della tutela della persona disabile: è stato ritenuto vietato il trasferimento del lavoratore anche quando la disabilità del familiare, che egli assiste, non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica di quello, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive e urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte (cfr. Cass. 12.12.2016 n. 25379 e Cass. 11.10.2017 n. 23857).
8. Tutte le pronunce richiamate orientano per una valorizzazione dell’esigenza di tutela del disabile al di là di ogni condizionamento derivante dal mancato accertamento di uno status o da preclusioni collegate all’inesistenza di un provvedimento formale che confermi la ricorrenza della situazione di fatto che conferisce fondamento al diritto del familiare che presta assistenza al disabile.
9. A ciò si aggiunga che Cass. 175/2005 ha sottolineato come sia il datore di lavoro il destinatario dell’obbligo di concessione dei permessi mensili a favore del lavoratore che assista una persona con handicap, così come d’altronde previsto espressamente dall’art. 3 della legge 104/1992, che peraltro statuisce che “i soggetti interessati all’applicazione di detta norma possono richiedere ai rispettivi datori di lavoro di usufruire…” e dall’art. 2 comma 3 ter della legge 423/1993 che prevede che la precedente disposizione vada interpretata “nel senso che il permesso mensile deve essere comunque retribuito”, retribuibilità che non può che essere considerata quale tipico obbligo a carico del datore di lavoro” (cfr. in tali termini Cass. 5.1.2005 n. 175 cit.)
10. In adesione a tale principio, l’ente previdenziale, con circolare n. 53/2008, afferma che “emerge con nettezza come il provvedimento di riconoscimento della fruibilità dei permessi ex art. 33 della legge n. 104/92 emanato dall’Istituto, incida esclusivamente sul rapporto previdenziale (che, come noto, si svolge tra l’ente assicuratore ed il datore di lavoro ed ha come beneficiario il lavoratore), e come il suo contenuto si sostanzi in un’autorizzazione preventiva al datore di lavoro a compensare le somme eventualmente corrisposte a tale titolo con i contributi obbligatori”.
11. Questo Collegio ritiene, in conclusione, condivisibile questa prospettiva interpretativa che ancora l’insorgenza del diritto del dipendente a determinati benefici, tra cui quello di non essere trasferito senza il suo consenso, quanto meno alla presentazione della domanda intesa ad ottenere i benefici di cui alla legge 104/1992 e non alla data del provvedimento concessorio da parte dell’INPS.
12. Peraltro, nel caso qui esaminato ciò é confortato anche dalla sicura conoscenza da parte del datore, come evidenziato nel giudizio di merito e correttamente ritenuto dal primo giudice, della prima richiesta di permesso ai sensi della legge 104/92, presentata dal R. già in data 15.2.2011.
13. A tale conclusione deve dunque pervenirsi anche prescindendosi dal rilievo – che potrebbe in ipotesi assumere rilevanza assorbente – dell’impossibilità di individuare una vera e propria soccombenza che radichi un interesse del R. alla formulazione del relativo motivo di impugnazione, rispetto ad una ratio deciderteli che lo stesso giudice del gravame mostra di non individuare come quella precipuamente fondante il decisum.
14. Risolta la questione della decorrenza del diritto a prestare il proprio consenso all’eventuale trasferimento disposto dal datore di lavoro, l’esame del secondo motivo – da trattare congiuntamente al terzo per l’evidente connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto – non può prescindere dalla considerazione della diversità delle previsioni contenute nel quinto comma dell’art. 33 della I. 104/92, essendo il diritto di scelta della sede o la richiesta di trasferimento ad iniziativa del lavoratore in qualche misura limitato per effetto della locuzione “ove possibile”, laddove il trasferimento per iniziativa datoriale non può avvenire senza consenso del lavoratore.
14.1. Tale consenso risulta imprescindibile e come tale necessario ai fini della legittimità del trasferimento che pure sia giustificato da esigenze tecnico organizzative del datore di lavoro, in un’ottica di bilanciamento di diritti che presuppone comunque che il consenso venga reso, salva una sua considerazione più o meno attenuata in sede di comparazione. In tali sensi dispone l’art. 33, comma 5, I. 104/92 prevedendo che “il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, con lui convivente (l’obbligo di coabitazione non è più previsto per effetto della I. 53/2000) ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”.
14.2. Deve, invero, essere richiamato il principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui – alla stregua dell’orientamento della Corte costituzionale, che ha, da tempo, affermato che della L. n. 104 del 1992 cit., art. 33, comma 5, si deve dare una interpretazione orientata alla complessiva considerazione dei principi e dei valori costituzionali coinvolti (come delineati, in particolare, dalla Corte cost. con le sentenze n. 406 del 1992 e n. 325 del 1996) – il diritto del familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente od un affine entro il terzo grado handicappato, di non essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede, non può subire limitazioni in caso di mobilità connessa ad ordinarie esigenze tecnico-produttive dell’azienda ovvero della P.A. (cfr., Cass. SU 9 luglio 2009, n. 16102 e, successivamente, Cass. 12692/2002, Cass. 28320/2013, Cass. 11568/2017, 7981/2018, Cass. 6150/2019).
14.3. Nella specie, la ratio decidendi si è focalizzata sulla considerazione della non necessità del consenso in un’ipotesi che vedeva la sede di lavoro attribuita in sede di trasferimento più vicina al domicilio del disabile da assistere, in termini di mera distanza spaziale. Ciò deve ritenersi integrare, al di là della valutazione della correttezza delle valutazioni espresse, violazione della norma richiamata, che prevede che il consenso venga acquisito e che comunque il rifiuto espresso dal lavoratore non possa non essere tenuto in conto, quanto alle diverse ragioni prospettate, nella operazione comparativa richiesta.
14.3. Tanto è sufficiente per ritenere che la Corte non abbia fatto corretta applicazione della norma di legge, quale interpretata secondo il richiamato univoco orientamento di legittimità, e pertanto le censure meritano accoglimento, con conseguente cassazione della decisione anche in relazione a tali ulteriori motivi.
15. Quanto all’istanza di rinvio pregiudiziale, la stessa si fonda su un’asserita discriminazione indiretta, sul rilievo che la differenza di trattamento non sia supportata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti che giustifichino la stessa in base ad una reale necessità che sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria. Nella sostanza si sollecita il rinvio alla CGUE al fine di acquisire la corretta interpretazione nomofilattica della Corte europea, affinchè la stessa dica se osta alla Direttiva 78/2000/CE la condotta datoriale ed il complesso di norme interne, art. 33 l. 104/92 ed art. 2103 c.c. che sancisca, stando all’interpretazione della Corte partenopea, la possibilità e legittimità del trasferimento del lavoratore che presta assistenza ad un disabile e portatore di handicap a prescindere dalla sussistenza di una motivazione (art. 2103 c.c) ovvero senza il consenso del lavoratore (art. 33, co. 5, ultimo disposto, I. 104/92) e disponga il trasferimento del lavoratore che presta assistenza al disabile in un luogo di lavoro che, sebbene appaia geograficamente più vicino, richiede un tempo di percorrenza tra lavoro – domicilio del disabile maggiore rispetto a quello a cui il lavoratore medesimo era già destinato.
15.1. Non è sufficiente, tuttavia, che una parte sostenga che la controversia verte su una questione d’interpretazione del diritto UE perché l’organo giurisdizionale interessato – anche se di ultima istanza – sia tenuto a considerare che sussiste una questione da sollevare ai sensi dell’art. 267 TFUE (Corte giust., 10 gennaio 2006, causa C-344/04, IATA e ELFAA, punto 28; 1 marzo 2012, causa C-484/10, Ascafor e Asidac, punto 33; ord. 18 aprile 13, causa C-368/12, Adiamix, punto 17; ord. 14 novembre 2013, causa C-257/13, Mlamali, punto 23).
15.2. Come chiarito dalla stessa consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia UE (a partire dalla sentenza 6 ottobre 1982, causa C-283/81, 5 Cilfit), il giudice di ultima istanza, in presenza di una questione interpretativa del diritto della UE, deve adempiere l’obbligo del rinvio, soltanto dopo aver constatato “alternativamente” che:
1) la suddetta questione esegetica è rilevante ai fini della decisione del caso concreto;
2) la disposizione di diritto UE di cui è causa non ha già costituito oggetto di interpretazione da parte della CGUE;
3) la soluzione della questione non è ricavabile “da una costante giurisprudenza della Corte che, indipendentemente, dalla natura dei procedimenti da cui sia stata prodotta, risolva il punto di diritto litigioso, anche in mancanza di stretta identità fra le materie del contendere”;
4) la corretta applicazione del diritto europeo non è tale da imporsi “con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata”, con l’avvertenza che la configurabilità di tale ultima eventualità deve essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, delle particolari difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze di giurisprudenza (vedi Corte giust., 17 maggio de 2001, causa C-340/99, TNT Traco, punto 35; 30 settembre 2003, causa C-224/01, Kiibler, punto 118; 4 giugno 2002, causa C-99/00, Kenny Roland Lyckeskog).
15.3. Nella specie l’accoglimento del ricorso rende evidente l’irrilevanza della questione esegetica ai fini della presente decisione, essendo, se del caso, riproponibile la questione dinanzi al giudice del rinvio.
16. A quest’ultimo, individuato nella Corte quale designata in dispositivo, deve essere invero rimessa la causa per la corretta applicazione dei principi richiamati.
17. Allo stesso giudice del rinvio è demandata la determinazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, cui demanda la liquidazione delle spese anche del presente giudizio di legittimità.
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