CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 febbraio 2022, n. 5277
Tributi – Reddito d’impresa – Costi – Deducibilità – Fatture riferite ad operazioni inesistenti – Natura oggettiva o soggettiva di inestistenza – Accertamento
Fatti di causa
1. La società contribuente M. SRL ha impugnato un avviso di accertamento, notificato in data 2 aprile 2009, relativo al periodo di imposta 2004, con il quale, sulla base di una informativa trasmessa dalla Guardia di Finanza avente ad oggetto un procedimento penale, veniva disconosciuto il costo di una fattura di acquisto (fattura n. 3/2003) emessa dalla società R. SRL avente ad oggetto spese di impianto, così procedendosi al recupero di IRES e IRAP per la quota di costi pluriennali indeducibili (costi di impianto).
L’atto impositivo veniva emesso in sostituzione di un precedente atto impositivo, annullato in sede di autotutela.
2. La società contribuente ha censurato l’atto impositivo per difetto di motivazione, stante la mancata allegazione degli atti istruttori presupposti, costituiti dalle indagini eseguite a carico della società emittente la fattura contestata, carenza di prova della pretesa impositiva. La società contribuente ha, inoltre, rilevato l’illegittimo esercizio del potere di autotutela in relazione al precedente atto impositivo e l’esistenza del giudicato in relazione al caso deciso con precedente sentenza della «CTP di Salerno n. 561/16/17», con cui erano stati annullati in sede giudiziali gli avvisi di accertamento, successivamente annullati in sede di autotutela.
3. La CTP di Salerno ha rigettato il ricorso.
4. La CTR della Campania, Sezione staccata di Salerno, con sentenza in data 4 luglio 2014, ha rigettato l’appello della società contribuente. Il giudice di appello, per quanto qui rileva, ha ritenuto legittimo l’esercizio del potere di autotutela, ritenendo irrilevante la decisione della precedente causa proposta in relazione al precedente avviso annullato dall’Ufficio, avente ad oggetto altra imposta, nonché in quanto gli avvisi di accertamento emessi in relazione ai periodi di imposta 2001 – 2003 sono stati confermati da altra sentenza della CTR n. 570/04/12. Nel merito, la CTR – disconoscendo le risultanze di una consulenza depositata in corso di giudizio – ha ritenuto non provati i contratti di subappalto da parte della società emittente in virtù dei controlli incrociati con le società subappaltatrici, osservando come non fossero deducibili i costi in quanto beni o prestazioni di servizi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto [non] colposo per il quale sia stata esercitata l’azione penale ex art. 14, comma 4-bis, l. 24 dicembre 1994, n. 537;
la CTR ha rilevato – infine – l’inattendibilità della documentazione contabile dell’emittente.
5. Ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a tredici motivi, cui ha resistito con controricorso l’Ufficio.
Ragioni della decisione
1.1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 2909 cod. civ., 324 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto legittimo l’esercizio dell’autotutela da parte dell’Ufficio in costanza della sentenza del giudice di prime cure che aveva annullato giudizialmente l’atto, rigettando l’eccezione di passaggio in giudicato della precedente sentenza della CTP di Salerno n. 561/2008 sul rilievo che tali doglianze erano state rigettate con sentenza della CTR della Campania, Sezione staccata di Salerno n. 570/04/12. Osserva il ricorrente come il giudice di appello abbia violato le regole del giudicato, posto che non ha accertato che la menzionata sentenza della CTR n. 570/03/12 fosse passata in giudicato, laddove parte contribuente aveva osservato che pendeva ancora il giudizio concluso con la citata pronuncia per essere stato proposto ricorso per cassazione e, quindi, non fosse definitiva per intervenuto passaggio in cosa giudicata.
1.2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 2909 cod. civ., 324 cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto legittimo l’esercizio dell’autotutela da parte dell’Ufficio in costanza della sentenza del giudice di prime cure che aveva annullato giudizialmente l’atto, sul rilievo che l’asserito giudicato esterno formatosi in relazione al precedente avviso fosse relativo ad altra imposta (IVA). Osserva il ricorrente che la circostanza della diversità dell’imposta oggetto del precedente accertamento non sia rilevante, alla luce del fatto che si tratterebbe di atti impositivi (quello annullato in sede giudiziale e poi amministrativa e quello oggetto del presente giudizio) che traggono origine dal medesimo presupposto di fatto e che sarebbero fondati sul medesimo corredo probatorio, essendo stata la nota della GdF sulla quale è stato fondato l’atto impositivo oggetto del presente giudizio già prodotta in sede giudiziale nel precedente giudizio relativo all’avviso oggetto di autotutela.
1.3. Con il terzo motivo si deduce in via gradata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, costituito dal fatto che la controversia decisa con sentenza della CTR della Campania, Sezione staccata di Salerno, n. 570/04/12, fosse ancora pendente.
1.4. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 7, primo comma, l. 27 luglio 2000, n. 212 e 3, terzo comma, l. 7 agosto 1990, n. 241, per avere il giudice di appello ritenuto, nella sentenza impugnata, implicitamente rigettato l’eccezione di difetto di motivazione negli atti impositivi per mancata allegazione dei verbali redatti nei confronti di soggetti terzi rispetto alla società accertata. Osserva parte ricorrente come elemento fondante degli accertamenti per cui è causa è stato l’utilizzo di fatture di acquisto per operazioni inesistenti su fatture emesse dalla R. SRL, oggetto di atti istruttori riguardanti l’emittente e le sue imprese fornitrici, non allegati all’atto impositivo.
Deduce parte ricorrente che la mancata allegazione degli stessi non potrebbe fondare la motivazione per relationem, ove non venga allegato all’atto impositivo l’atto al quale lo stesso faccia rinvio, ove lo stesso non sia altrimenti conosciuto.
1.5. Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione degli art. 7, secondo comma, d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 61 e 196 cod. proc. civ., nella parte in cui la CTR, ritenendo che le operazioni sottostanti le fatture oggetto di analisi nell’atto impugnato fossero meramente cartolari, abbia disatteso le deduzioni di parte contribuente. Deduce parte ricorrente che la CTR ha disposto CTU contabile, allo scopo di indagare i rapporti tra la contribuente e la società emittente, nonché allo scopo di verificare l’effettiva restituzione dei pagamenti da parte della committente, odierna contribuente, all’emittente. Osserva parte ricorrente come il giudice di appello si sia discostato dalle risultanze della CTU senza disporre ulteriori indagini tecniche, suppletive e integrative di quelle già disposte, né avendo sentito a chiarimenti il CTU, attività che il giudice avrebbe l’onere processuale di attuare a termini dell’art. 7, secondo comma, d. lgs. n. 546/1992, non trattandosi più di attività discrezionale rimessa alla valutazione del giudice.
1.6. Con il sesto motivo si deduce, in via gradata rispetto al superiore motivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisione del giudizio, nella parte in cui il giudice di appello non ha fatto uso dei propri poteri istruttori per acquisire quegli elementi conoscitivi di particolare complessità che avevano reso necessaria la CTU, costituito dalla effettiva realizzazione dell’opificio industriale cui facevano riferimento le fatture oggetto di esame nell’avviso impugnato.
1.7. Con il settimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo ai fini del giudizio, costituito dalla congruità dei costi sopportati dalla società contribuente ad opera dell’emittente R. SRL in relazione a quelli mediamente praticati, comprovato da due relazioni tecniche, nelle quali si attestava sia la realizzazione delle opere. Il ricorrente deduce la decisività di tale fatto storico (realizzazione dell’opificio industriale a prezzi congrui), in quanto ove il giudice di appello la avesse presa in esame avrebbe concluso «che le prestazioni di servizio rese dalla R. s.r.l. non erano fittizie» (pag. 79 ricorso).
1.8. Con l’ottavo motivo si deduce, a termini dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, per avere la sentenza impugnata ritenuto che l’emittente le fatture non avrebbe avuto la struttura organizzativa per poter subappaltare le opere. Osserva il ricorrente come il giudice di appello avrebbe omesso di esaminare la circostanza, accertata dal CTU e indicata nella relazione, che il contratto di appalto escludeva competenze tecniche e di progettazione dell’opera e che tali attività sarebbero state compensate da altro corrispettivo diverso da quello concordato per la realizzazione delle opere murarie, il che sarebbe indice del fatto che la società emittente avrebbe svolto quanto meno attività «gestionale propedeutica alla edificazione dell’opificio industriale».
1.9. Con il nono motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo ai fini del giudizio, costituito dal fatto che dai controlli incrociati eseguiti dall’Ufficio risultava l’effettività del subappalto dei lavori dalla R. SRL alla L. di L. & C. SAS, esercente l’attività di fabbricazione di prodotti in calcestruzzo edili, questione rilevante ai fini dell’accertamento delle operazioni come effettivamente eseguite, benché soggettivamente inesistenti.
1.10. Con il decimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, costituito dal fatto che dai controlli incrociati eseguiti dall’Ufficio risultava l’effettività del subappalto dei lavori dalla R. SRL alla T. 2000 di M.M. SAS, esercente l’attività di installazione di impianti idraulico-sanitari, questione rilevante negli stessi termini del superiore motivo.
1.11. Con l’undicesimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatto decisivo ai fini del giudizio, costituito dal fatto che l’Agenzia delle Entrate aveva contestato alla emittente R. SRL l’omessa contabilizzazione delle rimanenze, così accertando un maggior reddito di impresa derivante dall’esecuzione proprio dell’appalto nei confronti dell’odierna ricorrente, il che rende contraddittorio l’accertamento di oggettiva inesistenza delle fatture emesse dalla R. SRL. Osserva, inoltre, il ricorrente come le contestazioni mosse all’emittente attenessero all’omessa contabilizzazione delle rimanenze a causa della mancata compilazione degli studi di settori, per cui l’inattendibilità delle scritture contabili della stessa riguardava la violazione del principio di competenza, senza che venissero poste in dubbio le circostanze in fatto relative all’effettuazione dei lavori edili svolti nel cantiere della contribuente.
1.12. Con il dodicesimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dal fatto che dai controlli incrociati eseguiti dall’Ufficio risultava l’effettività del subappalto dei lavori dalla R. SRL alla Co.Edil.Tre SRL, questione rilevante negli stessi termini dei superiori motivi nono e decimo.
1.13. Con il tredicesimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 8, commi 1 e 3, d.l. n. 16/2012, nella parte in cui il giudice di appello non ha fatto applicazione dello ius superveniens, con valenza retroattive, di cui alle citate disposizioni normative, con conseguente deducibilità dei costi per le suddette operazioni, in quanto soggettivamente inesistenti. Osserva il ricorrente che l’indeducibilità opera solo per i costi e le spese direttamente utilizzati per il compimento dei delitti, circostanza inapplicabile al caso delle operazioni soggettivamente inesistenti.
2. I primi tre motivi, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili in quanto non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata. Il giudice di appello non ha invocato, né fatto applicazione di un giudicato esterno formatosi in relazione alla sentenza della medesima CTR n. 570/04/12, bensì ha utilizzato la tecnica della motivazione per relationem, richiamandosi a una sentenza nota alle parti e utilizzata quale precedente. La parte motiva di tale sentenza è, pertanto, stata richiamata nel giudizio di appello per economia di scrittura. Il riferimento alla «definitività» contenuto nella sentenza impugnata (e riferito alla menzionata sentenza della CTR) è indice della natura definitiva di tale pronuncia, in quanto adottata a conclusione di quel giudizio, non anche dell’affermazione del giudicato esterno.
3. Il quarto motivo, articolato nelle forme della censura per violazione di legge, è infondato. Il giudice di appello ha fatto corretta applicazione del principio comunemente affermato da questa Corte, secondo cui l’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente medesimo in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestarne efficacemente l’an ed il quantum debeatur (ex multis Cass., 27 aprile 2020, n. 8177).
Avendo, pertanto, la CTR accertato, sia pure in modo estremamente sintetico, che la società contribuente è venuta a conoscenza della pretesa impositiva nei suoi elementi essenziali («La carenza di motivazione non sussiste considerato che l’avviso di accertamento indica nella parte motiva i presupposti della pretesa e consente come provocatio ad opponendum»), il motivo va rigettato.
4. Il quinto e il sesto motivo sono infondati. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio – e non prova vera e propria – sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito (Cass., Sez. V, 9 ottobre 2019, n. 25253). Lo stesso ricorrente, del resto, riconosce la facoltà per il giudice di discostarsi motivatamente dalle conclusioni del CTU, ove non le condivida (Cass., Sez. III, 25 novembre 2021, n. 36638), essendo rimesso al prudente apprezzamento del giudice sia l’avvalersi o meno della consulenza tecnica, sia il condividerne le conclusioni (Cass., Sez. II, 30 giugno 2006, n. 15089). Ugualmente discrezionale è, poi, la convocazione del CTU a chiarimenti, come statuito dai precedenti citati da parte ricorrente a pag. 69 del ricorso (Cass., Sez. V, 29 novembre 2013, nn. 26741, 26742; conf. Cass., Sez. III, 2 marzo 2007, n. 4952, Cass., Sez. II, 6 maggio 2002, n. 6479), ove si è osservato che «non appare, infatti, revocabile in dubbio che in tale potere officioso, debba necessariamente ricomprendersi – non essendo la consulenza tecnica d’ufficio un mezzo di prova soggetto al potere dispositivo delle parti – la facoltà del Giudice, ove ritenuto necessario, di richiamare il consulente a chiarimenti ovvero di rinnovare la consulenza peritale».
5. I motivi dal settimo al dodicesimo sono fondati. La sentenza impugnata ha omesso di considerare alcuni fatti, del tutto decisivi al fine di provare l’inesistenza meramente soggettiva e non oggettiva delle prestazioni sottostanti l’emissione delle fatture, quali la congruità dei costi rispetto a quelli mediamente praticati da terzi, la circostanza che il contratto che il contratto con l’emittente non contemplava le competenze di progettazione ma, soprattutto, che era risultato che l’emittente si fosse avvalsa di rapporti di subappalto con imprese terze per la realizzazione delle opere in oggetto (opere murarie e opere termoidrauliche), circostanza decisiva (come correttamente illustrato dal ricorrente) al fine di valutare l’eventuale interposizione dell’emittente nell’esecuzione delle opere da parte di terzi. Ulteriormente rilevante appare – a riscontro della effettiva realizzazione delle opere – la circostanza storica dell’accertamento di un maggior reddito di impresa in capo all’emittente derivante dall’omessa contabilizzazione delle rimanenze. Tali circostanze vanno valutate dal giudice del merito al fine di ritenere assolto l’onere della prova contraria del contribuente circa l’effettiva realizzazione delle opere, benché realizzate da terzi rispetto all’emittente. Tale circostanza in fatto si rivela, ulteriormente, pregiudiziale e decisiva ai fini dell’applicazione dello ius superveniens in tema di operazioni soggettivamente inesistenti ai fini della deducibilità dei costi. E’ rimessa, pertanto, al giudice del rinvio la questione dell’applicazione dello ius superveniens di cui al tredicesimo motivo, assorbito in questa sede.
6. Il ricorso va, pertanto, accolto in relazione ai motivi dal settimo al dodicesimo, con rinvio alla CTR della Campania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i primi tre motivi, rigetta i motivi dal quarto al sesto, accoglie i motivi dal settimo al dodicesimo, dichiara assorbito il tredicesimo, con rinvio alla CTR della Campania, Sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.