CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 giugno 2020, n. 11702
Licenziamento – Simulazione dello stato di malattia – Recidiva in relazione a condotte sanzionate con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 4731/2018 la Corte di appello di Napoli, pronunziando in sede di reclamo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato, in data 21 dicembre 2016, da P. s.r.l. a socio unico a P.F., ordinato la reintegra dello stesso nel posto di lavoro e condannato la società datrice di lavoro al pagamento di sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto pari a € 1.641,70, oltre al versamento delle contribuzioni dovute dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione.
Il licenziamento era stato intimato sulla base di contestazione che addebitava al lavoratore comportamenti tali da attestare, in relazione al periodo 22/24 novembre 2016, la simulazione del proprio stato di malattia o quanto meno da risultare potenzialmente idonei a ritardare la guarigione; era inoltre contestata la recidiva nel biennio in relazione a condotte sanzionate con la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.
2. La Corte di merito ha respinto il reclamo della società inteso a censurare la declaratoria di illegittimità del licenziamento da parte del giudice dell’opposizione osservando che le risultanze istruttorie non confermavano né la simulazione dello stato di malattia da parte del lavoratore né l’adozione di comportamenti tali da aggravarne le condizioni di salute o quantomeno porne in pericolo o ritardo la guarigione e, quindi, il rientro al lavoro; ha, inoltre, escluso, a differenza di quanto ritenuto dal giudice di primo grado, che configurasse violazione degli obblighi di buona fede e correttezza contrattuale la circostanza che il F. collaborasse più o meno attivamente all’attività commerciale formalmente intestata a sua moglie, ulteriormente evidenziando la genericità del riferimento a tale attività nell’ambito della contestazione disciplinare e la piena consapevolezza che del relativo espletamento aveva la società datrice secondo quanto emerso dalla prova orale. In base a tali considerazioni, rilevato che la condotta posta in essere dal lavoratore era inidonea a dimostrare qualsiasi volontà di insubordinazione tale da compromettere il vincolo fiduciario, rilevata la insussistenza di presupposti del recesso datoriale del quale era stata accertata l’oggettiva inesistenza giuridica e fattuale, ha ritenuto spettare la tutela reintegratoria oltre alla indennità risarcitoria commisurata a sei mensilità della retribuzione globale di fatto.
3. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso P. s.r.l. a socio unico sulla base di cinque motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.
4. Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la società ricorrente deduce omesso esame di fatti storici decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, fatti riportati nella relazione investigativa e confermati dal teste Spinelli, rappresentati, in sintesi, dalle attività espletate dal dipendente nei giorni in cui era in malattia (ricorso pagg 14 e sgg.); nella memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. assume che l’omesso esame riguardava altresì i fatti storici presupposti, rispetto all’accertamento investigativo, costituiti dalla modifica dell’orario lavorativo, non gradita al dipendente, conseguente alla riorganizzazione del magazzino al quale questi era addetto (memoria pag. 3 e sgg.).
2. Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. censurando la sentenza impugnata per avere omesso di esaminare e dare rilievo alle dichiarazioni del teste Spinello, conferendo alle stesse un valore sussidiario rispetto a quanto emerso dal video dell’agenzia investigativa.
3. Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2016 cod. civ. e dell’art. 2119 cod. civ. censurando la sentenza di appello per avere ritenuto insussistente la giusta causa di licenziamento sul rilievo che il F. non aveva posto in essere comportamenti in grado di pregiudicare il rientro al lavoro.
4. Con il quarto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 300 del 1970 censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto insussistente la recidiva sul rilievo che le condotte precedentemente sanzionate non erano della stessa indole di quelle alla base del licenziamento.
5. Con il quinto motivo, in via subordinata, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 18 legge n. 300 del 1970 come modificato dall’art. 1 legge n. 92 del 2012 censurando la sentenza impugnata per avere riconosciuto la tutela reintegratoria e non solo quella indennitaria. Assume che poiché il << fatto contestato>> risultava inconfutabilmente sussistente e poiché lo stesso non risultava punito dal contratto collettivo con sanzione conservativa trovava applicazione la sola tutela indennitaria.
6. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Preliminarmente deve rilevarsi che poiché la memoria ex art. 378 cod. proc. civ. non può integrare i motivi del ricorso per cassazione, assolvendo all’esclusiva funzione di chiarire ed illustrare i motivi di impugnazione che siano già stati ritualmente – cioè in maniera completa, compiuta e definitiva – enunciati nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, con il quale si esaurisce il relativo diritto di impugnazione (Cass. 20/12/2016, n. 26332; Cass. 25/02/2015, n. 3780; Cass. 18/12/2014 n. 26670), risultano inammissibili le deduzioni con la quale la parte ricorrente indica, rispetto a quanto dedotto in ricorso, fatti ulteriori rispetto ai quali denunzia l’omesso esame da parte del giudice di merito.
La denunzia di vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 cod. proc. civ. formulata con il motivo in esame risulta inammissibile sia in quanto i fatti dei quali si denunzia l’omesso esame (ricorso pagg. 14 e sgg.) sono stati presi in considerazione dalla sentenza impugnata (sentenza, pag. 9 e sg.) sia per la preclusione scaturente, ai sensi dell’art. 348 ter, comma quinto, proc civ., dalla esistenza di una <<doppia conforme>> in merito alla illegittimità del licenziamento, non avendo la parte allegato e dimostrato che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, erano tra loro diverse, come suo onere al fine della valida censura della decisione sotto il profilo del vizio motivazionale (Cass. 22/12/2016, n. 26674; Cass. 10/03/2014, n. 5528).
7. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto non verte sul significato e sulla portata applicativa dell’art. 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. ma è inteso essenzialmente a denunziare la inadeguata valutazione della dichiarazione del teste S.. Come e noto, mentre la deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11/01/2016, n. 195; Cass. 30/12/2015, n. 26110; Cass. 04/04/ 2013, n. 8315; Cass. 16/07/2010, n. 16698; Cass. 26/03/2010, n. 7394; Cass. Sez. Un., 05/05/2006, n. 10313). Può, inoltre aggiungersi, che la norma prevista dall’art. 2697 cod. civ. regola l’onere della prova, non anche (come concretamente censurata nella specie) la materia della valutazione dei risultati ottenuti mediante l’esperimento dei mezzi di prova, viceversa disciplinata dagli artt. 115 e 116 c.p.c. e la cui erroneità ridonda comunque in vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 primo comma, n. 5 cod. proc. civ. (Cass. 17/06/ 2013, n. 15107; Cass. 29/11/ 2012, n. 21234; Cass. 05/09/ 2006, n. 19064; Cass. 12/02/2004, n. 2707).
8. Il terzo motivo di ricorso è infondato. La relativa illustrazione è affidata all’evocazione di principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema prestazione di attività esterna, a titolo gratuito od oneroso, da parte del dipendente assente per malattia, condotta alla quale è stato riconosciuto rilievo disciplinare non solo nell’ipotesi di simulazione della malattia ma anche nell’ipotesi in cui la ripresa lavorativa del lavoratore ammalato sia anche solo messa in pericolo dal comportamento imprudente dello stesso da valutarsi con giudizio ex ante ( Cass. 29/11/2012, n. 21253; Cass. 01/07/2005 n. 14046).
Tali principi non risultano, tuttavia, applicabili alla concreta fattispecie in quanto la Corte di merito, con accertamento di fatto non incrinato dalle censure articolate dalla odierna ricorrente, ha escluso che le ragioni di salute alla base dell’assenza per malattie fossero simulate e che la condotta concretamente tenuta dal dipendente fosse idonea a pregiudicarne il rientro al lavoro. In altri termini, alla stregua della ricostruzione del giudice di merito è da escludere il verificarsi del presupposto fattuale condizionante la applicabilità dei principi richiamati a sostegno delle censure articolate.
9. L’esame del quarto motivo di ricorso, incentrato sulla applicabilità della recidiva, negata dalla Corte di merito, risulta assorbito dal rigetto delle censure intese a contestare l’accertamento di insussistenza dell’addebito oggetto di contestazione.
10. Il quinto motivo è da respingere in quanto fondato su una inesatta nozione di <<insussistenza del fatto>>, alla quale far conseguire la applicabilità della tutela reintegratoria ai sensi del novellato art. 18, comma 4, legge n. 300 del 1970. Come chiarito da questa Corte, la <<insussistenza del fatto>> comprende oltre alle ipotesi in cui la condotta contestata non si sia realizzata sul piano fenomenico anche la ipotesi in cui sia accertato il verificarsi del fatto materiale contestato ma lo stesso – come avvenuto nel caso di specie – non presenti profili di illiceità (Cass. 10/05/2018, n. 11322; Cass. 26/05/2017, n. 13383; Cass. 20/09/2016, n. 18418; Cass. 13/10/2015, n. 20540). In questa prospettiva risulta pertanto irrilevante che dal quadro istruttorio risulti accertato che il lavoratore abbia effettivamente posto in essere le condotte materiali oggetto di addebito, posto che delle stesse è stata esclusa la illiceità sia in relazione alla simulazione, sia in relazione al potenziale pregiudizio alle stesse connesse in ordine alla tempestiva ripresa dell’attività lavorativa.
11. Al rigetto del ricorso consegue il regolamento secondo soccombenza delle spese di lite.
12. Le spese di lite sono liquidate secondo soccombenza.
13. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto (Cass. Sez. Un. n. 23535 del 2019).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori, come per legge. Con distrazione.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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