CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 luglio 2019, n. 19166
Tributi – IMU – Contratto di leasing – Soggetto passivo – Utilizzatore – Scioglimento del contratto – Permanenza del presupposto impositivo sino alla riconsegna
Ritenuto in fatto
L.M.I. S.p.A. impugnava il diniego oppostole al rimborso dell’lmu versata in relazione all’immobile concesso in locazione finanziaria (leasing), osservando che, pur risolto il contratto per inadempienze in data 31.07.2009, l’immobile, dì fatto, non era stato rilasciato e detenuto materialmente dal conduttore. A conforto della tesi, richiamava la sopravvenuta disciplina ai fini della Tasi (art. 1, comma 672, legge n. 147/2013), la quale statuisce che la durata del contratto è da riferire alla effettiva consegna del bene al locatore, comprovata da verbale di consegna. Chiedeva, quindi, la declaratoria del diritto al rimborso dell’imposta versata.
Il Comune di San Benedetto dei Marsi, nel costituirsi in giudizio, contestava l’assunto della controparte e ne chiedeva il rigetto.
La CTP di L’Aquila, con la sentenza n. 772/1/2014, rigettava il ricorso, principalmente non ritenendo applicabile l’art. 1, comma 672, I. n. 147/2013 all’imposta Imu. In particolare, nel richiamare la normativa istitutiva dell’lmu (d.lgs. n. 23/2011), rilevava che, ai fini dell’individuazione della durata contrattuale, operava uno stretto riferimento al rapporto in essere, sicché, nel caso di contratto di leasing risolto prima dello scadere, il soggetto passivo del tributo doveva essere individuato nel titolare di diritto reale sull’immobile.
La contribuente impugnava la sentenza.
Il Comune di San Benedetto dei Marsi, contestava i motivi di appello e controdeduceva, rilevando la corrispondenza della disciplina lei con quella Imu e rappresentando che, ex art. 1140 c.c., il possessore del bene non coincideva con il mero detentore.
Evidenziava altresì che per le annualità precedenti, ai fini lei, la società aveva regolarmente adempiuto agli obblighi fiscali.
Con sentenza del 22.12.2015, la C.T.R. Abruzzo rigettava l’appello sulla base delle seguenti considerazioni:
1) parte ricorrente, a seguito di risoluzione anticipata del contratto di leasing, era ritornata legittimo possessore del bene, tanto da adempiere ai conseguenti obblighi tributari;
2) né poteva invocarsi in senso contrario la disposizione normativa introdotta con la legge n. 147/2013 (art. 1, comma 672), che, ai fini della imposta Tasi, precisa che la durata del contratto è riferita alla data di riconsegna del bene al locatore comprovata dal verbale di consegna;
3) invero i diversi presupposti impositivi (rispettivamente, il possesso di immobili e il collegamento ai servizi erogati e fruibili) distinguevano l’Imu dalla Tasi.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la M.I. s.p.a., sulla base di un unico motivo. Il Comune di San Benedetto dei Marsi ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative ex art. 378 c.p.c..
Considerato in diritto
1. Con l’unico motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 9, co. 1, d.lgs. n. 23/2001 e 1, co. 672, I. n. 147/2013 (in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.), per aver la CTR identificato il soggetto passivo per l’IMU nella società concedente il leasing sulla base della mera risoluzione del contratto per inadempimento dell’utilizzatore, a prescindere dalla effettiva riconsegna del cespite.
1.1. Il motivo è fondato.
Per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria, soggetto passivo è il locatario (recte, utilizzatore), a decorrere dalla data della stipula e per tutta la durata del contratto.
Così recita testualmente l’art. 9 d.lgs. 14.3.2011 n. 23, comma 1, ultimo periodo.
E dunque, in deroga al principio che individua il presupposto per l’applicazione dell’IMU nel “possesso” degli immobili, la soggettività passiva dell’IMU, rispetto agli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, detenuti in leasing, è riferita al locatario.
Quanto alla decorrenza, si fa riferimento senza dubbio alla data di stipula del contratto.
Più critica, invece, è l’individuazione del termine del contratto, in caso di risoluzione, e del momento in cui la soggettività passiva IMU torna in capo alla società di leasing: si ha, infatti, in un primo momento la cessazione del contratto ed in un secondo momento la riconsegna materiale del bene. Le due date difficilmente possono coincidere, dal punto di vista pratico, e anzi può succedere che tra la cessazione del contratto e il verbale di riconsegna intercorra del tempo, talvolta anche non breve.
Due sono gli orientamenti formatisi sul punto.
1.2. Secondo un primo indirizzo, solo finché dura il contratto il soggetto passivo è il locatario, cioè il detentore. Dalla data di risoluzione per inadempimento del contratto di leasing il contratto cessa, e quindi il locatario non sarebbe più da considerarsi soggetto passivo, che ritornerebbe ad essere il proprietario (società di leasing).
A nulla rileverebbe, invece, il fatto che la riconsegna non sia contestuale alla risoluzione del contratto. Difatti, la mancata riconsegna del bene non inciderebbe sulla durata del rapporto che, per effetto della risoluzione, non sarebbe più in vigore e avrebbe, pertanto, avuto fine.
In definitiva, nel periodo intercorrente fra la risoluzione anticipata del contratto e la riconsegna del bene, sarebbe il proprietario a dover versare l’imu, in quanto il locatario sarebbe un mero detentore senza titolo del bene.
La riconsegna farebbe parte degli aspetti ultra-contrattuali.
A conferma di tale lettura, viene valorizzato lo stesso articolo 9 d.lgs. 23/2011 che, nell’individuare la decorrenza della soggettività passiva in capo al conduttore, fa riferimento alla data di stipula del contratto e non alla materiale consegna del bene (si pensi, ad esempio, al caso di immobili ancora non costruiti).
Del resto, si aggiunge, il codice civile, all’art. 1458 c.c., testualmente prevede che la risoluzione del contratto per inadempimento abbia effetto retroattivo fra le parti, ragion per cui come effetto automatico dell’atto di risoluzione la soggettività d’imposta tornerebbe in capo all’originario proprietario del bene.
Semmai, dall’inadempimento dell’obbligo di riconsegna deriverebbe una diversa responsabilità del locatario stesso da farsi valere in sede civile (facendo riferimento alle disposizioni degli artt. 1591 e 1529 c.c., che prevedono in capo alla società di leasing il diritto ad un equo compenso per l’uso dei fabbricati, oltre al risarcimento del danno).
La prevalente giurisprudenza tributaria di merito è nel senso che, poiché la norma citata fa riferimento alla durata del contratto e per la data iniziale prende in considerazione l’esistenza del vincolo contrattuale e non già la consegna del bene locato e quindi la sua materiale detenzione da parte dell’utilizzatore, egualmente per il termine finale bisogna fare riferimento alla cessazione del contratto, prescindendo dalla effettiva riconsegna del bene al concedente (da ult. in tal senso, Comm. trib. prov. Modena 12 aprile 2017 n. 327, conf. Ctr Trieste n. 305/2016; Ctp Como n. 146/2016; Ctp Modena n. 721/2016; Ctp Bergamo n. 590/2015; Ctp Lecco n. 133/2015, Ctp Mantova n. 122/2015).
Una diversa interpretazione della norma condurrebbe, sostengono i fautori dell’indirizzo in esame, al paradosso che il proprietario-locatore ordinario dovrebbe corrispondere il tributo in ogni caso, mentre il concedente il leasing non pagherebbe fino a quando non fosse rientrato in possesso del bene, scaricando in tal modo sull’erario gli effetti pregiudizievoli dell’inadempimento di un’obbligazione privatistica.
1.3. Secondo l’opposto indirizzo, invece, per durata del contratto di locazione finanziaria dovrebbe intendersi il periodo intercorrente dalla data della stipulazione alla data di riconsegna effettiva del bene al locatore.
L’utilizzatore, dunque, sarebbe il soggetto passivo IMU fino alla data di riconsegna dell’immobile/comprovata dal relativo verbale.
Questa tesi (cfr., nella giurisprudenza di merito, Ctp Reggio Emilia, 8 luglio 2016 n. 218, Ctp Terni n. 274/2016, Ctp Pavia n. 180/2016) si fonda sulle istruzioni contenute nel Dm 30 ottobre 2012, lì dove si specifica che, nel caso di risoluzione anticipata del contratto o di mancato esercizio del riscatto finale del bene, il passaggio della soggettività passiva si verifica con la riconsegna del bene, comprovata dal relativo verbale; nonché sulla legge di Stabilità per il 2014, la quale – nell’ambito della lue (Imposta unica municipale che comprende Imu, Tasi e Tari) – aveva previsto che la Tasi fosse dovuta dal locatario per tutta la durata del contratto: intendendosi come tale il periodo che intercorre tra la stipula e la riconsegna del bene al locatore (comprovata dal verbale di consegna).
Un ulteriore argomento che viene speso a favore di tale indirizzo è rappresentato dalle istruzioni alla compilazione della dichiarazione IMU (approvate con dm 30.10.2012 e attualmente in vigore), le quali prevedono quanto segue, al paragrafo 1.4.:
– nel caso di locazione finanziaria per l’acquisto dell’immobile, anche da costruire o in corso di costruzione con contestuale stipula del contratto di leasing, il locatario deve presentare la dichiarazione IMU entro 90 giorni dalla data di stipula del contratto stesso, essendo il locatario il soggetto passivo dell’IMU a decorrere dalla data della stipula del contratto e per tutta la durata dello stesso. La società di leasing non ha alcun obbligo dichiarativo;
– nel caso, invece, di risoluzione anticipata o di mancato esercizio del diritto di opzione finale (riscatto) del contratto di locazione finanziaria, la società di leasing, che è il nuovo soggetto passivo, e il locatario, che ha cessato di esserlo, sono coloro su cui grava l’onere dichiarativo IMU entro 90 giorni dalla data di riconsegna del bene, comprovata dal verbale di consegna.
Le istruzioni individuano, pertanto, la data del verbale di riconsegna quale momento dal quale decorre il termine per la presentazione della dichiarazione.
Anche se le istruzioni individuano il detto momento, e non anche espressamente quello in cui cambia il soggetto passivo, esisterebbe una linea interpretativa nel senso di identificare in modo unico tali due momenti.
Infine, nel richiamare la normativa dettata in tema di Tasi dalla legge di stabilità 2014, si sostiene che la stessa non potrebbe non applicarsi anche all’IMU, non potendoci essere discrasia tra i due tipi di tributi, anche per una questione di coerenza del sistema.
Ai fini del tributo sui servizi indivisibili, l’art. 1 comma 672 della L. 147/2013 precisa che “in caso di locazione finanziaria, la TASI è dovuta dal locatario a decorrere dalla data della stipulazione e per tutta la durata del contratto; per durata del contratto di locazione finanziaria deve intendersi il periodo intercorrente dalla data della stipulazione alla data di riconsegna del bene al locatore, comprovata dal verbale di consegna”.
Pertanto, ai fini della TASI, che pur rientra insieme all’IMU e alla TARI nella “IUC – imposta unica comunale”, la norma è chiara nell’indicare il termine della soggettività passiva del conduttore nella data di riconsegna. Applicando l’interpretazione favorevole a far coincidere il ritorno in capo alla società concedente della legittimazione passiva con la risoluzione del contratto, si avrebbe un diverso periodo di imposizione in capo al conduttore: fino alla cessazione del contratto, ai fini IMU, e fino alla riconsegna del bene ai fini della TASI.
1.4. In senso contrario a quest’ultimo approccio, si è posto in evidenza che non avrebbe rilevanza, quanto all’Imu, la norma prevista per la Tasi, poiché le due imposizioni tributarie hanno presupposti differenti. La Tasi è destinata al finanziamento di servizi pubblici rivolti alla collettività e pertanto deve essere corrisposta sia dai proprietari che dagli affittuari. Proprio la fruizione del servizio pubblico indivisibile giustifica l’obbligo del pagamento in capo al locatario finanziario dalla data di stipulazione del contratto a quello di riconsegna del bene al locatore. L’Imu, invece, prescinde del tutto dalla fruizione dei servizi, tanto che ha come unico presupposto il possesso di fabbricati ed aree. Dalla differenza di natura e dei presupposti delle due obbligazioni tributarie discenderebbe l’impossibilità di formulare interpretazioni analogiche tra le due disposizioni.
Del resto, argomentando a contrario, proprio la necessità, avvertita dal legislatore, di introdurre una disciplina in tema di Tasi, sul punto, difforme rispetto a quella già vigente in tema di Imu deporrebbe nel senso di ritenere che quest’ultima, peraltro non modificata, dovrebbe intendersi nei termini avallati dal primo orientamento.
1.5. Tuttavia, numerosi elementi depongono a favore della tesi avallata dal secondo indirizzo, che, con gli opportuni accorgimenti, si intende qui condividere.
Il presupposto dell’IMU (come quello della “vecchia” ICI) è testualmente individuato dall’art. 8 del d.lgs. n. 23/2011 nel “possesso” dei beni immobili.
Tuttavia, per effetto di quanto previsto dalla norma sulla soggettività passiva dell’IMU (l’art. 9, comma 1 del citato decreto, formulato in termini identici a quelli dell’art. 3 del d.lgs. n. 504/1992, in materia di ICI), ciò che l’art. 8 citato chiama “possesso” ha un contenuto diverso (perché più ampio) della nozione di “possesso” delineata dall’art. 1140, comma 1, c.c. Ai fini dei menzionati tributi, infatti, si qualificano come possessori anche soggetti che, alla stregua del diritto civile, tali non sono, siccome dispongono dell’immobile sulla base non di un diritto reale di godimento, bensì di un diritto personale e, dunque, si qualificano (civilisticamente) come detentori qualificati.
In particolare, un soggetto che, per il diritto civile, è un detentore qualificato (e che, invece, viene annoverato tra i possessori dalle disposizioni sulla soggettività passiva dell’io, dell’IMU e della TASI) è proprio l’utilizzatore in leasing, il quale è gravato della responsabilità dei citati tributi “per l’intera durata del contratto”.
In quest’ottica, viene depotenziato l’argomento secondo cui l’utilizzatore, “possessore” al momento della stipula del contratto di leasing, diventerebbe un mero detentore (peraltro abusivo) al momento della risoluzione dello stesso, dovendosi riconoscergli tecnicamente la veste di detentore ab initio.
1.5.1. Questo, peraltro, non significa che l’utilizzatore in leasing sia sprovvisto di poteri e facoltà assimilabili a quelli di un possessore in senso proprio.
In particolare, l’utilizzatore in leasing pacificamente, con il contratto, allaccia una relazione giuridica con il bene assai più penetrante di quella facente capo alla stessa società concedente, la quale, come più volte affermato da questa Corte (tra le molte, Cass., Sez. III, sent. n. 3362 del 13 febbraio 2014), esercita sul bene una proprietà di tipo “formale o fiduciario”, la cui sola funzione è, cioè, quella di garantire l’impresa stessa contro l’unico rischio che le deriva dal contratto di leasing (quello dell’inadempimento dell’utilizzatore all’obbligazione di pagamento dei canoni), potendosi riconoscere all’utilizzatore, invece, “una sorta di utile dominio”.
La ragione per la quale l’utilizzatore in leasing (che per il diritto civile è solo un detentore del bene) viene riguardato e trattato alla stregua di un possessore dalla disciplina dell’IMU (della TASI e della vecchia ICI) risiede proprio nel fatto che solo l’utilizzatore, in virtù del contratto, esercita i poteri e le facoltà e, al contempo, assume i doveri e i rischi (ossia i rischi di perimento, perdita e danneggiamento del bene, nonché di danni a cose o persone causati dal bene), che tipicamente fanno capo ad un possessore (ed anche al proprietario).
Non a caso tale disciplina individua il momento iniziale (per così dire) della soggettività passiva dell’utilizzatore in quello della sottoscrizione del contratto (e non in quello nel quale l’utilizzatore riceve in consegna il bene).
È con la sottoscrizione, infatti, che il contratto, sul piano civilistico, inizia a produrre i propri effetti, facendo acquisire, appunto, all’utilizzatore la situazione (di potere e di responsabilità) che tipicamente connota la sua posizione nei confronti dell’impresa concedente e dei terzi.
1.5.2. Una volta chiarito che l’inclusione dell’utilizzatore in leasing nell’elenco dei soggetti passivi del tributo si spiega con l’idoneità del contratto di leasing ad attribuire in via esclusiva all’utilizzatore i benefici e gli oneri che, normalmente, fanno capo a chi abbia la proprietà del bene, si deve, poi, riconoscere anche che (sempre in virtù del contratto) questa situazione si protrae del tutto invariata fino a quando l’utilizzatore mantiene presso di sé la disponibilità concreta dell’immobile.
A dimostrarlo è, prima di tutto, la costante presenza nei formulari impiegati dalle imprese di leasing per la conclusione dei contatti con la clientela di clausole che:
– addossano all’utilizzatore i rischi pertinenti il bene in leasing fino al momento in cui (in assenza di opzione di riscatto) non provveda alla materiale restituzione del bene e – fanno, altresì, obbligo all’utilizzatore di stipulare e mantenere, in favore dell’impresa di leasing, una polizza assicurativa contro i suddetti rischi, di nuovo, fino ad eventuale riconsegna del bene.
Si tratta di clausole che non si giustificherebbero causalmente (e che, dunque, non sarebbero state riconosciute come valide, e non vessatorie, dalla giurisprudenza) se non fosse dato affermare che la peculiare relazione che, per effetto del contratto di leasing, l’utilizzatore instaura con il bene si mantiene intatta, in fatto e in diritto, fin quando il primo mantiene la disponibilità materiale del secondo.
1.5.3. Un’affermazione in tal senso risulta corretta, data la vigenza, nel nostro ordinamento, di un più generale principio secondo il quale, nei contratti di durata che attribuiscono ad un soggetto il diritto di godere di un bene altrui, la mancata riconsegna del bene stesso a seguito della risoluzione del rapporto per causa del conduttore determina la permanenza in capo a quest’ultimo degli obblighi e dei rischi assunti con il contratto (mora debitoris perpetuai obligationem). Fenomeno, questo, che questa Corte ha efficacemente definito come di “ultrattività” del contratto, nell’ambito di una giurisprudenza che si è certamente formata soprattutto in riferimento ai contratti di locazione semplice, ma non differisce, in concreto (negli esiti), da quella che più specificamente si è occupata della risoluzione anticipata del leasing per inadempimento dell’utilizzatore.
Secondo la giurisprudenza in parola, infatti, in caso di risoluzione della locazione, il locatario conserva, fino alla riconsegna del bene, la stessa posizione che aveva nella fase fisiologica del rapporto, che dunque continua da questo punto di vista a produrre i suoi effetti tipici, quale in specie quello di gravare il locatario di tutti i rischi inerenti alla perdita o al deterioramento del bene locato e di danni a terzi, degli obblighi di custodia, manutenzione e riconsegna del bene, nonché dell’obbligazione (ex art. 1591 c.c.) di corrispondere il canone correlato al godimento del bene parametrato all’importo stabilito nel contratto (v., tra le molte, Cass., sentt. nn. 2617/1963, 2672/ 1981, 5456/ 1986, 11055/1993, 9977/ 2011, 9549/2010, 23720/2008, 11118/2013, 22924/2012, 22924/2012, 6253/2015).
Tra le menzionate pronunce, si segnala, in particolare, Sez. 3, Sentenza n. 22924 del 13/12/2012, secondo cui, in tema di locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciali, il conduttore che, alla scadenza del contratto, rifiuti la restituzione dell’immobile, in attesa che il locatore gli corrisponda la dovuta indennità di avviamento, è obbligato, ai sensi dell’art. 1591 c.c., al pagamento del corrispettivo rapportato al canone legalmente dovuto, sostituendosi tale importo, anche in tale fase di ultrattività del rapporto, a quello contrattuale eventualmente convenuto in contrasto con la legge.
1.5.4. Inoltre, avuto riguardo al caso di risoluzione di un contratto di leasing cd. traslativo, mancando una disciplina ad hoc per quest’ultimo caso, la giurisprudenza in discorso ritiene applicabile, in via analogica, la disciplina della risoluzione anticipata della c.d. vendita a rate per inadempimento del compratore di cui all’art. 1526 c.c. e, quindi, estende all’utilizzatore moroso il diritto (dell’acquirente a rate) alla restituzione dei canoni versati all’impresa concedente (al netto di un equo compenso per il godimento del bene). Diritto, che, però, sorge solo dopo che l’utilizzatore stesso abbia provveduto alla riconsegna del bene, perché è solo in tale momento che l’utilizzatore si spoglia delle facoltà, degli obblighi e dei rischi assunti con il contratto. È solo in tale momento, cioè, che il rapporto contrattuale si estingue e cessa di produrre i propri effetti.
Tanto è vero che in più occasioni questa Corte ha affermato il principio secondo cui nel leasing traslativo, al quale si applica per analogia la disciplina dettata dall’art. 1526 c.c. per la risoluzione del contratto di vendita con riserva di proprietà in caso di inadempimento dell’utilizzatore, quest’ultimo, riconsegnato il bene, ha diritto alla restituzione delle rate riscosse, mentre il concedente ha diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa (Sez. 3, Sentenza n. 9161 del 24/06/2002; conf. Sez. 3, Sentenza n. 73 del 08/01/2010 e Sez. 3, Sentenza n. 29020 del 13/11/2018).
1.5.5. Tale essendo il quadro delle norme e dei principi (di diritto civile e tributario) da prendere a riferimento allorché ci si interroga sull’efficacia temporale del leasing, risulta evidente, poi, come tanto le Istruzioni per la compilazione della dichiarazione IMU per il 2012 (di cui al d.m. 30 ottobre 2012) quanto la disciplina della TASI (art. 1, comma 672, della I. n. 143/2013), nel precisare che per “durata del contratto di leasing” deve intendersi tutto il periodo che va dalla data di stipulazione del contratto a quella di riconsegna del bene, comprovata da apposito verbale, non hanno introdotto nel sistema alcun elemento di novità/specialità, essendosi limitate, piuttosto, a confermare (esplicitare) l’efficacia anche agli effetti del diritto tributario di una regola generale in tema di locazione finanziaria.
1.5.6. Il primo degli argomenti di segno contrario fa leva sulla formulazione letterale dell’art. 9, comma 1, del d.l. n. 23/2011, che pone l’obbligazione tributaria in capo all’utilizzatore “per tutta la durata del contratto”.
Si tratta, però, di un classico esempio di tautologia. A ben vedere, infatti, l’argomento in esame può parafrasarsi in questi termini: «la “durata del contratto” alla quale fa riferimento l’art. 9, comma 1, non comprende il periodo che va dalla comunicazione della risoluzione alla riconsegna del bene perché l’art. 9, comma 1, fa riferimento alla “durata del contratto”». Un argomento così strutturato, però, risulta privo di persuasività già sul piano logico, ancora prima che su quello giuridico, in quanto si risolve in un ragionamento che assume (implicitamente) come dato di partenza proprio il fatto (l’estraneità del periodo che va dalla risoluzione alla riconsegna del bene) che, invece, vorrebbe e dovrebbe dimostrare.
1.5.7. Occorre evitare l’indebita confusione di due piani – quello delle conseguenze del ritardo dell’utilizzatore nella restituzione del bene all’impresa di leasing nei rapporti tra le parti, da un lato, e quella delle conseguenze del medesimo fatto nel rapporto d’imposta tra il soggetto passivo e l’ente impositore – che sono e debbono mantenersi del tutto distinti tra loro, siccome afferenti rapporti (obbligatori) parimenti diversi (l’uno di carattere privatistico, l’altro di carattere pubblicistico).
Il problema di stabilire dove (in capo a chi) si collochi la soggettività passiva dell’IMU per il periodo di durata del suddetto ritardo si pone in relazione all’esigenza di tutela di un interesse generale (alla corretta applicazione dei tributi). In quanto tale, esso non può trovare la propria soluzione che all’interno dei principi del sistema normativo tributario e, particolarmente, nel principio della capacità contributiva.
A ben vedere, del resto, gli artt. 1591 e 1526 c.c. assumono rilevanza nel senso della conferma che tali norme offrono in ordine alla persistenza (e, quindi, nella “durata”) del rapporto contrattuale pur dopo la risoluzione o la scadenza del termine finale del contratto e fino alla restituzione dell’immobile.
1.5.8. Né, come si è visto, in senso ostativo alla tesi che si è avallata potrebbe invocarsi l’argomento per cui, a seguito della risoluzione del contratto, l’utilizzatore diventerebbe un mero detentore del bene. Invero, per il diritto civile, come si è già visto, l’utilizzatore in leasing non è mai possessore in senso proprio (giacché non dispone del bene in virtù di un diritto reale di godimento idoneo a conferirgli, appunto, il possesso ex art. 1140 c.c.), ma solo un detentore. Ciò rappresenta un ulteriore elemento a conferma del fatto che, di per sé, la risoluzione anticipata del contratto non può produrre l’effetto di apportare quella modificazione sostanziale minima necessaria alla situazione giuridica dell’utilizzatore che, sola, potrebbe giustificare in diritto il trasferimento della responsabilità del tributo.
2. In definitiva, il ricorso merita di essere accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, accogliendosi il ricorso originario della contribuente. L’assenza di precedenti specifici sul tema e la obiettiva opinabilità della questione giustificano la compensazione integrale delle spese con riferimento ai gradi di merito, laddove la spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie i! ricorso originario della contribuente; compensa per intero le spese relative ai gradi di merito e condanna la resistente al rimborso, in favore del ricorrente, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in euro 3.800,00, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.
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