CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 maggio 2019, n. 13329

Tributi – ICI – Immobile adibito a centro postale meccanizzato – Classificazione E/3 e applicazione esenzione – Successivo accatastamento in categoria D – Applicazione retroattiva – Recupero imposta pregressa – Applicazione sanzioni

Ritenuto in fatto

In data 4.2.1986 Poste Italiane S.p.a., a seguito della costruzione del “centro postale meccanizzato” in Peschiera B. presentava domanda all’UTE competente per ottenere l’accatastamento del fabbricato. Ai fini ICI la società considerava l’immobile classificabile come E/3 e quindi avente diritto all’esenzione prevista dall’art. 7 d.lgs 30.12.1992 n. 504.

Nel corso dell’anno 2006 l’Agenzia del Territorio accatastava l’immobile in categoria “D” con attribuzione di rendita. L’attribuzione di rendita veniva impugnata.

Il Comune di Peschiera B. notificava avvisi di accertamento per gli anni 2003, 2004, 2005 e 2006 determinando il valore ai sensi dell’art. 5 comma 3 d.Igs 30.12.1992, n. 504 e dell’art. 7, comma 3 d.I. 11 luglio 1992, n. 333.

Avverso i predetti atti impositivi la società ha proposto autonomi ricorsi.

La CTP di Milano respingeva i ricorsi con sentenze n.464, 465, 466 e 467 del 2009.

Avverso le sentenze proponeva appello la società riformulando tutte le doglianze sviluppate in primo grado.

La CTR di Milano previamente riuniti gli appelli, con sentenza n. 141/06/2010 depositata il 26.10.2010, accoglieva il gravame limitatamente alla contestazione relativa alla mancata applicazione della cd “continuazione” e determinava la sanzione nella misura della metà di quella più grave.

Il Comune di Peschiera B. ricorre per la cassazione della sentenza affidando il suo mezzo a tre motivi.

Resiste con controricorso Poste italiane s.p.a., proponendo ricorso incidentale affidato a quatto motivi.

Ritenuto in diritto

1. Va esaminato, per motivi di ordine logico il ricorso incidentale proposto da Poste Italiane s.p.a.. la quale ha preliminarmente evidenziato che nelle more del giudizio è passata in giudicato la sentenza della CTR di Milano che aveva respinto l’appello della società avverso l’atto di classamento e di attribuzione di rendita in relazione al centro postale meccanizzato, definitivamente accertati in categoria

1.a. Con il primo motivo di ricorso incidentale la ricorrente Poste Italiane deduce illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il motivo relativo alla nullità degli atti fiscali dedotti in giudizio per difetto di motivazione nonché per violazione e falsa applicazione degli artt. 7, primo comma legge 27.7.2000 n. 212, 11 comma 2 bis dlgs 30.12.1992 n.504, in relazione all’art. 360 comma 1 n.3 c.p.c..

Lamenta che dalla lettura dell’avviso non si comprende il motivo per il quale l’immobile della società fosse da classificare in categoria “D” e quindi tassabile a fini ICI non essendo riportato in modo intelligibile il ragionamento logico-giuridico su cui si fondava l’accertamento.

1.b. La censura è in parte inammissibile e in parte infondata.

Come evidenziato dalla stessa Poste Italiane s.p.a., con sentenza della CTR di Milano n.75/46/09, passata in cosa giudicata, l’atto di classamento e la attribuzione di rendita in relazione al centro postale meccanizzato sono stati definitivamente accertati in categoria “D”.

E’ sopravvenuta, dunque, per parte della doglianza, carenza di interesse sull’atto di classamento, ormai definitivo.

1.b. La censura è altresì infondata.

Questa Corte con orientamento consolidato dal quale non vi è motivo per discostarsi, ha affermato che “In tema di imposta comunale sugli immobili l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l'”an” ed il “quantum” dell’imposta. In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (da ultimo Cass. 1694/2018; Cass. 26431/2017).

Nella specie la CTR ha evidenziato che l’atto impugnato esponeva chiaramente le ragioni della classificazione, facendo riferimento non solo alla valutazione dell’Agenzia del Territorio, ma anche alle caratteristiche del fabbricato, chiaramente esplicitate, che dimostravano come lo stesso non potesse non rientrare in categoria “D”.

2. Con il secondo motivo di ricorso incidentale la ricorrente Poste Italiane deduce la illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato le doglianze della società in ordine alla illegittimità delle sanzioni per errore sul fatto ex art. 6 primo comma d.lgs 472/1997. Violazione e falsa applicazione dell’art. 6 primo comma d.lgs 472/1997 in relazione all’art. 360 comma 1 n.3 c.p.c. In particolare lamenta che la CTR non aveva tenuto conto dell’errore della contribuente che non aveva presentato la dichiarazione ICI e non aveva pagato l’imposta essendo convinta che l’immobile fosse da accatastare in categoria “E” e che fosse, dunque, esente da ICI.

La censura non è fondata.

2.a. Il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, applicando alla materia fiscale il principio sancito, più in generale, dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 3, statuisce che, in materia di violazioni tributarie punite con sanzioni amministrative, non è (più) sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, ma è richiesta anche la colpevolezza del contribuente, cui deve potersi rimproverare di avere tenuto un comportamento, se non necessariamente doloso, quanto meno negligente. La norma deve essere tuttavia intesa nel senso della sufficienza dei suddetti estremi (coscienza e volontà), senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, atteso che essa pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, lasciando a costui l’onere di provare di aver agito senza colpa (Cass. 22890/2006; Cass.12331/2003, Cass.10607/2003, Cass.13068/11; Cass. 4171/09, sulla non necessità di un intento fraudolento). Mentre l’esimente della buona fede, rileva solo se l’errore sia inevitabile, occorrendo che l’ignoranza dei presupposti dell’illecito sia incolpevole, cioè non superabile con l’uso della normale diligenza (Cass.10607/03, in tema d’importazione di valuta).

La CTR ha affermato che la ricorrente non avesse fornito la prova della sussistenza delle “obiettive condizioni di incertezza sulla portata  e sull’ambito applicativo delle norme violate, atteso che non sussistevano divergenze interpretative in dottrina e in giurisprudenza. La CTR ha inoltre osservato che non può ritenersi la sussistenza di condizioni obiettive di incertezza o errore scusabile solo perché la ricorrente ha deciso di interpretare le norme in senso a sé favorevole, cioè nel modo che le consentiva di non pagare l’ICI.

L’avviso dedotto in giudizio è stato notificato nel 2008 e cioè dopo che la ricorrente aveva proposto all’Agenzia del Territorio la classificazione del fabbricato in categoria “D” e pur tuttavia lo ha impugnato sul punto continuando a sostenere la tesi che il fabbricato andava classificato nella diversa categoria “E”.

Con la trasformazione dell’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni prima in ente pubblico economico e successivamente in società per azioni, alla stessa è stata affidata la gestione in termini privatistici ed imprenditoriali del servizio; per ciò solo un imprenditore normalmente diligente non poteva ritenere di continuare a godere di un regime di esenzione. Tanto più ove si consideri che l’espletamento su concessione del servizio postale universale è stato controbilanciato dalla concessione di svolgimento di una tipica attività bancaria per la raccolta e gestione di risorse finanziarie dei privati ai quali sono offerte dalla ricorrente tutti i servizi tipici dell’attività bancaria.

3. Con il terzo motivo di ricorso incidentale Poste Italiane s.p.a. deduce la illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il motivo relativo alla illegittimità delle sanzioni per violazione dell’art.7, comma 3 D.Igs 18 dicembre 1997, n.472.

Motivazione insufficiente in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c..

4. Con il quarto motivo di ricorso incidentale Poste Italiane s.p.a. deduce l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il motivo relativo alla illegittimità delle sanzioni per indebita applicazione della recidiva. Violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 3 comma 133, lett. F) legge 662/1996; dell’art. 7, comma 3 D.Igs 18 dicembre 1997, n.472 e dell’art. 99 c.p. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c..

Lamenta che la CTR avrebbe contraddittoriamente affermato la legittimità dell’aumento della sanzione per la recidiva nonostante la condotta precedentemente contestata non fosse stata accertata con sentenza passata in giudicato e non fosse stata individuata la persona fisica che aveva posto in essere il comportamento irregolare e non avrebbe motivato sulle modalità di calcolo della sanzione. Le censure possono essere trattate congiuntamente in quanto strettamente connesse.

Esse sono fondate nei limiti che si vanno a precisare.

4.a. La recidiva in materia tributaria è disciplinata dell’art. 7 comma 3 del D.Lgs. n. 472 del 1997.

La norma, nel testo vigente ratione temporis, prevedeva: “La sanzione può essere aumentata fino alla metà nei confronti di chi, nei tre anni precedenti, sia incorso in altra violazione della stessa indole non definita ai sensi degli articoli 13, 16 e 17 o in dipendenza di adesione all’accertamento. Sono considerate della stessa indole le violazioni delle stesse disposizioni e quelle di disposizioni diverse che, per la natura dei fatti che le costituiscono e dei motivi che le determinano o per le modalità dell’azione, presentano profili di sostanziale identità”.

Nella specie è incontestato che le medesime violazioni fossero state contestate nei tre anni precedenti e la CTR ha ritenuto sussistere il presupposto per l’applicazione della recidiva nella quantificazione della sanzione ICl, senza verificare se le precedenti violazioni fossero state definitivamente accertate o non fossero state oggetto di impugnazione.

4.b. Lo stesso decreto legislativo, all’art. 12, detta le disposizioni in materia di concorso di violazioni e continuazione. Al proposito, l’art. 12, al secondo comma, prevedeva che fosse soggetto al cumulo giuridico delle sanzioni “chi, anche in tempi diversi, commette più violazioni che, nella loro progressione, pregiudicano o tendono a pregiudicare la determinazione dell’imponibile ovvero la liquidazione anche periodica del tributo”. La norma ha rimosso il previgente regime del cumulo materiale disponendo l’applicazione della sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio. A differenza dell’art. 81 cpv. c.p., l’art. 12, comunque ispirato alla disciplina penalistica, non prevede la ricorrenza del medesimo disegno tipico della continuazione di reati, privilegiando invece il profilo oggettivo della vicenda. L’interruzione della continuazione (art. 12, sesto comma) preclude l’applicazione del trattamento sanzionatorio di favore previsto dall’art. 12, comma primo, dal momento in cui l’agente abbia avuto contezza della contestazione relativa alla illiceità del comportamento, ossia quando l’amministrazione si sia attivata per comunicare all’autore le verificate violazioni. Di conseguenza, il soggetto potrà beneficiare del cumulo giuridico per tutte le violazioni antecedenti alla comunicazione, tornando invece operante la separata valutazione per quelle successive.

Il comma 5 dell’art. 12 nel testo vigente ratione temporis prevedeva che “Quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo.

Se l’ufficio non contesta tutte le violazioni o non irroga la sanzione contemporaneamente rispetto a tutte, quando in seguito vi provvede determina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni oggetto del precedente provvedimento. Se più atti di irrogazione danno luogo a processi non riuniti o comunque introdotti avanti a giudici diversi, il giudice che prende cognizione dell’ultimo di essi ridetermina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni risultanti dalle sentenze precedentemente emanate”…..

4.c. Gli artt. 7 comma 3 e 12 del dlgs n.472/1997 prevedono la compatibilità tra la “recidiva” in materia tributaria e la continuazione.

In particolare tanto il comma 3 dell’art. 7 che il comma 5 dell’art. 12 fanno espressamente riferimento a “violazioni della stessa indole” reiterate nel tempo.

L’astratta compatibilità tra i due istituti impone di valutare il fondamento della recidiva e della continuazione nel sistema tributario (tanto più alla luce della modifica, in vigore dal 1.1.2016 sebbene non applicabile a questo giudizio ratione temporis, dell’art. 7 comma 3 del dlgs n.472/1997 operata dal Decreto legislativo del 24/09/2015 n. 158 che ha previsto l’obbligatorietà dell’applicazione della recidiva). La questione della compatibilità e la contestuale coniugabilità di diversi valori e riferimenti non è dato pretorio, bensì è voluta dalla legge, la quale dunque ha, per criterio interpretativo dogmatico, ben considerato le differenze di struttura ontologica dei due istituti, ovvero la diversa considerazione dei fatti che essi suppongono.

Il cumulo giuridico rappresenta, infatti, un beneficio che discende dalla sostanziale unitarietà della trasgressione; la recidiva, al contrario, punisce con più rigore chi sì ostini a commettere consecutivamente la stessa violazione. A dispetto dell’espressione “stessa indole”, usata con disinvoltura dal legislatore all’art. 7 ed all’art. 12, le prospettive dei due istituti sono completamente diverse e non possono essere sovrapposte in maniera acritica.

Ciò trova, del resto, autorevole conferma nella giurisprudenza della Cassazione penale, in parte già richiamata (Cass. 9148/1996; Cass. 49658/2014; Cass. 21043/2018), secondo cui il trattamento sanzionatorio più mite è giustificato dal minor disvalore sociale associato al reato continuato.

Non appare dirimente, tuttavia, il riferimento al sistema della recidiva penale il quale presuppone, in coerenza con la presunzione di non colpevolezza, un accertamento giudiziale definitivo della responsabilità. Invece l’azione amministrativa per sua natura si fonda sulla presunzione di legittimità del suo atto e su questa la autoritarietà e la esecutività immediata del suo agire organizzativo. In altri termini, le due recidive, al di là delle assonanze logiche dovute all’operare in entrambe del rilievo del precedente, sono predisposte a tutela di diverso valore e di distinti riferimenti costituzionali.

Essendo la esecutività dell’atto amministrativo sussistente fino a che esso non venga dichiarato invalido o revocato, e dunque i suoi effetti permanenti nel mondo del diritto fino a quel momento, ed essendo invece la condanna del giudice penale pienamente efficace nei suoi riflessi sostanziali solo a giudicato intervenuto.

4.d. Notevoli difficoltà derivano all’interprete, come si è visto dall’utilizzo dell’espressione “stessa indole” sia in tema di recidiva, sia in tema di violazione ultrannuale.

Il comma 3 dell’art. 7, infatti, presenta un’importante differenza rispetto alle norme previgenti sulla recidiva, rispettivamente contenute nell’art. 54, comma 2, del DPR 600/1973 e nell’art. 49, comma 2, del DPR 633/1972: mentre queste ultime configuravano la recidiva nei confronti di chi, nei tre anni precedenti, fosse incorso in un’altra violazione della stessa indole, per la quale fosse stata inflitta la pena pecuniaria, la nuova norma sembra prescindere dall’intervento di una contestazione o irrogazione tra la prima violazione e le successive.

Ciò assume rilievo ai fini della compatibilità tra recidiva e cumulo giuridico delle sanzioni: se infatti la recidiva non necessitasse di una precedente irrogazione definitiva di sanzioni, essa non sarebbe mai applicabile unitamente alla continuazione la quale, viceversa, è interrotta dalla punizione delle violazioni pregresse.

Se, pertanto, si individuasse il fondamento della recidiva nella reiterazione di una violazione, contestata ma non definitivamente accertata, la compatibilità tra i due istituti non potrebbe essere ritenuta. Lo escluderebbe l’unificazione dovuta al vincolo della continuazione cui sono soggette violazioni della stessa indole commesse in periodi di imposta diversi. L’incompatibilità tra tali istituti sarebbe determinata dalle loro differenti strutture logiche. Infatti l’unicità delle violazioni della stessa indole si contrappone, in via di principio alla pluralità di violazioni che fungono da presupposto della recidiva.

Se invece si afferma, come ritiene questo Collegio che la recidiva si fondi sulla sussistenza di un precedente accertamento definitivo la preclusione costituita dall’inserimento nella vicenda della continuazione viene meno: il soggetto può ben aver commesso più violazioni della stessa indole ed è in tal caso possibile tener conto contemporaneamente delle valutazioni operate dal legislatore corrispondenti alla continuazione e alla recidiva.

Il compimento di un’altra violazione incarnante il superamento di quel momento di valore rappresentato dall’accertamento giudiziale della violazione (o della definitività della stessa per mancata impugnazione) potrà coniugarsi col disvalore proprio della perpetrazione di una ripetuta condotta di violazioni della stessa indole.

Consegue che, per giustificare la recidiva, nel sistema delineato dall’art. 7 comma 3 e dall’art. 12 comma 5 del d.lgs 472/92 è necessario, quanto alla azione amministrativa e dunque al rilevo fiscale, che la violazione sia stata definitivamente accertata dal Giudice Tributario, ovvero sia divenuta definitiva per la mancata impugnazione della contestazione della violazione.

4.f. Va, invece dichiarata inammissibile la censura relativa alla mancata individuazione della persona fisica che aveva commesso le analoghe violazioni in considerazione del fatto che Poste Italiane s.p.a. è una persona giuridica.

Con il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326, è stata introdotta la regola della applicabilità delle sanzioni amministrative tributarie alla sola persona giuridica e non più alla persona fisica autrice o coautrice della violazione (art. 7). La riforma del sistema comporta che il carattere afflittivo delle sanzioni amministrative tributarie non esige più l’applicazione delle stesse soltanto in capo alla persona fisica autrice materiale dell’illecito. In questo senso è stata modificata la riforma tributaria del sistema sanzionatorio realizzata col D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 che, accogliendo il modello penalistico di sanzione, aveva optato per l’applicabilità della stessa esclusivamente in capo all’autore materiale dell’illecito (art. 2, comma 2), secondo la impostazione già adottata in sede di riforma delle sanzioni amministrative (legge 6 novembre 1981, n. 689).

4.g. Il terzo e il quarto motivo del ricorso principale devono essere, conseguentemente accolti nei limiti precisati e affermato il seguente principio di diritto: la recidiva di cui all’art. 7 comma 3 dlgs del D LGS n. 472 del 1997 può essere applicata quando le violazioni antecedenti quella della cui sanzione si controverte risultano definitivamente accertate dal giudice tributario o siano divenute definitive per mancata impugnazione della contestazione della violazione.

5.Con il primo motivo di ricorso principale il Comune di Peschiera B. deduce violazione dell’art.12, comma 6 dlgs 18.12.1997, n.472 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c..

Lamenta che la CTR abbia ritenuto applicabile la continuazione per la determinazione delle sanzioni amministrative nonostante la notifica di ulteriori atti impositivi relativi agli anni dal 1995 al 1999.

La censura non è fondata.

L’art. 12 del dlgs 472/1997 al comma 5 prevede “ Quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo. Se l’ufficio non contesta tutte le violazioni o non irroga la sanzione contemporaneamente rispetto a tutte, quando in seguito vi provvede determina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni oggetto del precedente provvedimento “ Il comma 6 prevede, inoltre “Il concorso e la continuazione sono interrotti dalla constatazione della violazione”.

Nella specie la CTR ha ritenuto operare la continuazione con riferimento agli anni 2000, 2001 e 2002, successivi alla constatazione della precedente violazione, contestata nel 2000, afferente gli anni dal 1995 al 1999. Le violazioni successive all’interruzione ben potevano essere valutate ai fini della continuazione.

6. Con il secondo motivo il Comune di Peschiera B. deduce motivazione contraddittoria in relazione alla quantificazione delle sanzioni in relazione all’art. 360 comma 1 n.5 c.p.c.

7. Con terzo motivo il Comune di Peschiera B. deduce nullità della sentenza ex art. 156 comma 2 c.p.c. per contrasto tra la motivazione e il dispositivo in relazione all’art. 360 comma 1 n.3 c.p.c.

In entrambi i motivi lamenta che la CTR aveva ritenuto sussistere i presupposti per l’applicazione della recidiva, ma aveva quantificato le sanzioni irrogabili senza tenerne conto. Le censure sono suscettibili di trattazione unitaria in quanto connesse e vanno esaminate alla luce di quanto affermato in relazione ai motivi n. 3 e 4 del ricorso incidentale.

La CTR avrebbe dovuto previamente accertare se le violazioni precedentemente contestate fossero definitive ai fini della recidiva e commisurare la sanzione tenendo conto sia della recidiva che della continuazione in caso di risposta positiva o, in caso contrario determinare la sanzione applicando solo la continuazione. A tanto provvederà il giudice di rinvio.

La sentenza deve essere, pertanto, cassata con rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie, per quanto di ragione i motivi due e tre del ricorso del Comune di Peschiera B. e i motivi tre e quattro del ricorso incidentale di Poste Italiane; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR della Lombardia in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio di legittimità.