CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 marzo 2020, n. 7325
Tributi – IVA – Operazioni ritenute oggettivamente inesistenti – Fatture infragruppo – Conciliazioni giudiziali – Riconoscimento detraibilità dell’IVA – Operazione di fusione – Credito IVA – Istanza di rimborso – Prova dell’effettivo riversamento dell’IVA da parte delle incorporate – Mancanza – Diniego
Fatti di causa
1. M. s.r.l., in qualità di incorporante per fusione di A. C. s.p.a. (vantante il credito IVA in oggetto), e C.N. s.r.l. (in qualità di cessionario del detto credito) ricorrono, con sei motivi, per la cassazione della sentenza (indicata in epigrafe) di rigetto dell’appello dalle stesse proposto avverso la sentenza n. 705/02/2014 della CTP di Pisa. Quest’ultima, a sua volta, aveva rigettato l’impugnazione di provvedimento di diniego di rimborso IVA (prot. n. 17078/7.8.2012).
2. Dagli atti di parte nonché dalla sentenza impugnata emerge quanto segue circa i fatti di causa.
2.1. L’Amministrazione (il 7 agosto 2012) negò la richiesta di rimborso IVA (datata 29 luglio 2011) presentata il 2 agosto 2011 (con riferimento all’esercizio 2002) da A. C. s.p.a. (poi incorporata per fusione da M. s.r.l.) con riferimento a due fatture emesse dalla stessa nei confronti di C.N. s.r.l. e Conceria A. s.r.l. (facenti parte, insieme alla fatturante C. s.r.l., del medesimo «gruppo A.») fondanti su operazione ritenuta oggettivamente inesistente.
Sicché, per l’Amministrazione, si sarebbe trattato di IVA corrisposta dalle società acquirenti, poi versata dalla società venditrice, e dalle stesse detratta indebitamente, con conseguente notificazione di avvisi di accertamento (del 2008), nei confronti delle dette acquirenti, fatti oggetto di successive conciliazioni giudiziali. Con tali conciliazioni l’Amministrazione riconobbe (con riferimento ad entrambe le fatture), in parte, la non imponibilità a fini IVA, in quanto trattavasi di un riaddebito di costi, con conseguente «deducibilità» (rectius: detraibilità) ai fini IVA da parte di A.C. s.p.a., ed in parte l’assoggettabilità ad IVA, trattandosi di adeguamento del valore.
3. La CTP rigettò l’impugnazione del provvedimento di diniego di rimborso IVA in ragione dell’assenza di prova che l’IVA chiesta a rimborso dalla capogruppo (A. C. s.p.a., poi incorporata dalla M. s.r.l.) fosse stata effettivamente riversata dalle due società controllate (C.N. s.r.l., poi cessionaria del credito, e Conceria Arizona s.r.l.) a conclusione dei due procedimenti di conciliazione (sostanzialmente applicando nella specie il principio della neutralità dell’IVA).
4. La CTR, con la sentenza oggetto di attuale ricorso per cassazione, rigettò l’appello (proposto dalle odierne ricorrenti) fondando la propria statuizione su tre autonome rationes decidendi.
4.1. In primo luogo, al pari di quanto ritenuto dal Giudice di primo grado, la Commissione regionale ritenne che dagli atti di causa non risultasse «la prova dell’effettivo riversamento dell’IVA da parte delle incorporate nel novembre del 2009, come affermato nell’appello dalla società M. s.r.l. in data 16/06/2015, a pagina 9, alinea 6, dove è scritto», mancando, in relazione alle procedure di conciliazione del 2009, «i relativi versamenti di imposta con F24».
4.2. In secondo luogo, il Giudice d’appello ritenne insussistente un diritto di A. C. s.p.a. (nelle more incorporata da M. s.r.l.) al rimborso dell’IVA relativa all’anno 2002, essendole stato riconosciuto alla detta società, in sede di conciliazione conclusa con le due società acquirenti, il solo diritto alla «detrazione» IVA per l’anno 2009. Non potendo essere escluso, peraltro, aggiunse la CTR, che il relativo importo fosse «stato effettivamente portato in detrazione nella dichiarazione modello IVA 2010 relativo all’annualità 2009, mancando agli atti ogni dimostrazione al riguardo».
4.3. Il Giudice di merito, infine, ritenne comunque nella specie applicabile il termine decadenziale di due anni di cui all’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, decorrente dal pagamento o, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.
Il termine di cui innanzi, concluse la CTR, nella specie decorse inutilmente, in ragione della richiesta di rimborso IVA (datata 29 luglio 2011), relativa alle due fatture del 2002, presentata all’Amministrazione solo il 2 agosto 2011. In tali termini la Commissione ritenne «pacifico» che il presupposto per la restituzione dell’imposta non dovuta si fosse verificato nell’anno 2002, in cui furono emesse le due fatture con IVA indebita, avendo le conciliazioni del 2009 solo fatto sorgere il diritto alla detraibilità IVA riversata che sarebbe dovuta solo essere inclusa nella relativa dichiarazione quale maggior credito e non richiesta separatamente a rimborso. Il contribuente, quindi, errò nel ritenere che gli fosse stato riconosciuto, con le due conciliazioni di cui innanzi (comunque concluse tra altri soggetti), il diritto al rimborso IVA e non il mero diritto alla detraibilità della stessa (in tali termini, sostanzialmente, la CTR).
5. Contro la sentenza d’appello l’incorporante M. s.r.l. e la cessionari C.N. s.r.l. ricorrono con sei motivi, sostenuti da memoria, e l’Agenzia delle Entrate («A.E.») si difende con controricorso (instando per il rigetto delle doglianze).
In sede di discussione le parti concludono come riportato in epigrafe.
Ragioni della decisione
1. Il ricorso non merita accoglimento.
2. I motivi di ricorso sono suscettibili di trattazione congiunta, in ragione della connessione delle questioni inerenti i relativi oggetti, otre che in forza della comunanza di profili di inammissibilità.
2.1. Con il motivo 1, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c. p.c. (ratione temporis applicabile nella sua formulazione successiva alla sostituzione operata dall’art. 54, comma 1, lett. b, del d.l. n. 83 del 2012), si deduce «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».
In sostanza, sintetizzando, per i ricorrenti «i Giudici d’appello» avrebbero omesso di «considerare una circostanza dagli stessi riconosciuta come pacifica, vale a dire la detraibilità IVA afferente le fatture nn. 643 e 645 del 15 ottobre 2002, con la conseguente contraddittorietà della motivazione della sentenza … risultato un palese contrasto fra affermazioni inconciliabili tra loro, ovvero, da un lato il riconoscimento della detraibilità IVA, dall’altro la negazione di tale diritto».
Con il motivo 2, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (nella formulazione ratione temporis applicabile), si deduce «omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti».
In sostanza, sintetizzando, per il ricorrente la CTR avrebbe omesso di «considerare una … circostanza fattuale di contro decisiva ai fini della risoluzione della presente controversia e che, per contro, se fosse stata adeguatamente vagliata e ponderata avrebbe comportato un bel diverso esito del giudizio d’appello in senso favorevole alle parti contribuenti. Si tratta del fatto che la C., nella propria dichiarazione IVA/2010, per l’anno 2009, presentata in via telematica il 19 febbraio 2010, aveva richiesto il rimborso dell’importo complessivo pari ad euro 103.522,00, corrispondente all’IVA versata dalla Cofipel stessa in relazione alla prima parte delle fatture nn. 643 e 645 del 15 ottobre 2002».
Con il motivo 3, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., si deduce «nullità della sentenza per violazione del combinato disposto degli artt. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 111 Cost».
In sostanza, sintetizzando, per i ricorrenti la sentenza impugnata sarebbe nulla «per contrasto tra motivazione e dispositivo» in quanto, in ragione della parte motiva la CTR avrebbe dovuto accogliere l’appello (ancora una volta in forza della dichiarazione IVA 2010 che A. C. s.p.a., sempre a detta dei contribuenti, avrebbe presentato all’Amministrazione).
Con il motivo 4, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deducono «violazione e falsa applicazione dell’art. 21, comma 2, del d. lgs. n. 546 del 1992».
In sostanza, sintetizzando, per i ricorrenti la sentenza impugnata avrebbe erroneamente fatto decorrere il termine decadenziale previsto dalla detta norma (la cui ritenuta operatività nella specie non è contestata) non dalla conciliazione tra l’A.E. e le due società controllate da A.C. s.p.a. (del 2009) bensì dalla data delle fatture, nonostante che il diritto alla detrazione, a detta delle contribuenti, fosse sorto in capo alla controllante in forza delle due dette conciliazioni, ancorché concluse tra altri soggetti.
Con i motivi 5 e 6, in relazione all’art. 360, comma 1, rispettivamente, n. 4 e n. 3, c.p.c., si deducono la «nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 35, comma 3, e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 276 c.p.c.» (motivo 5), nonché «violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 10 della I. n. 212 del 2000 e degli artt. 3 e 97 Cost.» (motivo 6).
La sentenza impugnata sarebbe nulla (motivo 5) per aver esplicitamente la CTR ritenuto di disattendere «ogni altra eccezione» perché assorbita da quanto dalla stessa statuito, senza invece considerare che i ricorrenti avrebbero sostenuto (già in quella sede) di aver dedotto l’applicabilità, nella specie, dei principi in tema di tutela dell’affidamento, correttezza e capacità contributiva. Tali principi, sempre a dire dei ricorrenti in questa sede, sarebbero stati violati dall’Amministrazione con il diniego del rimborso nonostante l’affidamento ingenerato (nella controllante) dalle due conciliazioni giudiziali (comunque intervenute con le due società controllate acquirenti e riconoscenti il diverso diritto alla detrazione). Quanto appena detto, secondo la tesi dei ricorrenti e sempre che non si ritenga la nullità prospettata al motivo 5, implicherebbe comunque violazione e falsa applicazione dedotte con il motivo 6.
2.2. Tutti i motivi di ricorso sono inammissibili per una pluralità di profili (taluni comuni) oltre che, alcuni, anche infondati.
2.2. In primo luogo le doglianze non sindacano tutte le rationes decidendi autonomamente fondanti la statuizione impugnata, che, comunque, mostrano di non cogliere.
Come anticipato in sede di ricostruzione dei fatti, la CTR, con la sentenza oggetto di attuale ricorso per cassazione, rigettò l’appello (proposto dalle odierne ricorrenti) fondando la propria statuizione su tre autonome rationes decidendo.
Al pari di quanto ritenuto dal Giudice di primo grado, la Commissione regionale ritiene che dagli atti di causa non risulti «la prova dell’effettivo riversamento dell’IVA da parte delle incorporate nel novembre del 2009, come affermato nell’appello dalla società M. s.r.l. in data 16/06/2015, a pagina 9, alinea 6, dove è scritto», mancando, in relazione alle procedure di conciliazione del 2009, «i relativi versamenti di imposta con F24».
In secondo luogo, il Giudice d’appello ritiene insussistente un diritto di A. C. s.p.a. (nelle more incorporata da M. s.r.l.) al rimborso dell’IVA relativa all’anno 2002, essendole stato riconosciuto alla detta società, in sede di conciliazione conclusa con le due società acquirenti, il solo diritto alla «detrazione» IVA per l’anno 2009. Non potendo essere escluso, peraltro, aggiunge la CTR, che il relativo importo fosse «stato effettivamente portato in detrazione nella dichiarazione modello IVA 2010 relativo all’annualità 2009, mancando agli atti ogni dimostrazione al riguardo».
Il Giudice di merito, infine, ritiene comunque nella specie applicabile il termine decadenziale di due anni cui all’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, decorrente dal pagamento o, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione. Il termine di cui innanzi, conclude la CTR, nella specie è decorso inutilmente, in ragione della richiesta di rimborso IVA (datata 29 luglio 2011), relativa alle due fatture del 2002, presentata all’Amministrazione solo il 2 agosto 2011. In tali termini la Commissione ritiene «pacifico» il presupposto per la restituzione dell’imposta non dovuta come verificatosi nel 2002, anno in cui furono emesse le due fatture con IVA indebita, avendo le conciliazioni del 2009 solo fatto sorgere il diritto alla detraibilità IVA riversata che sarebbe dovuta solo essere inclusa nella relativa dichiarazione quale maggior credito e non richiesta separatamente a rimborso. Il contribuente, quindi, ha errato nel ritenere che gli fosse stato riconosciuto, con le due conciliazioni di cui innanzi (comunque concluse tra altri soggetti), il diritto al rimborso IVA e non il mero diritto alla detraibilità della stessa (in tali termini, sostanzialmente, la CTR).
Premesso quanto innanzi, dalla disamina di tutte la censure emerge l’assenza di effettiva doglianza in merito al primo ed autonomo fondamento della statuizione di rigetto dell’appello: la mancanza di «… prova dell’effettivo riversamento dell’IVA da parte delle incorporate nel novembre del 2009…», mancando, in relazione alle procedure di conciliazione del 2009, «i relativi versamenti di imposta con F24». Se ne rinviene un mero cenno nel motivo IV (in particolare a pag. 18) quale premessa della diversa doglianza ivi articolata e, comunque, in assenza di qualsivoglia censura sul punto (in termine di violazione di legge ovvero alla stregua del sostituito n. 5 dell’art. 360, comma 1, c.p.c.).
Ne consegue l’inammissibilità di tutti i motivi, per difetto di interesse, in quanto inerenti una delle tre rationes deciderteli, distinte ed autonome, che, al pari delle altre, è logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata. Essendo divenuto definitivo l’autonomo fondamento della statuizione (in quanto non sindacato con i motivi di ricorso), non potrebbero difatti le censure (tutte) produrre l’annullamento della sentenza (ex plurimis, limitando i riferimenti a talune tra le più recenti: Cass. sez. 1, 27/07/2017, n. 18641, Rv 645076-01; Cass. sez. 3, 21/06/2017, n. 15350, Rv. 644814-01, per la quale, peraltro, il conseguente rilievo di inammissibilità – consentito in applicazione del principio della «ragione più liquida» – rende irrilevante l’esame degli altri motivi, atteso che in nessun caso potrebbe derivarne l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile; Cass. sez. 4, 04/03/2016, n. 4293, Rv. 639158-01, nonché Cass. Sez. U., 23/03/2013, n. 7931, Rv. 625631-01).
2.3. A quanto innanzi è appena il caso di aggiungere che, comunque, tutti i motivi dedotti sono inammissibili anche perché mostrano di non cogliere l’altro fondamento della statuizione, quello relativo al mancato riconoscimento in capo a A. C. s.p.a. di un diritto al rimborso dell’IVA in luogo della mera possibilità di detrazione della stessa (per il detto profilo di inammissibilità inerente la ratio deciderteli si vedano, ex plurimis, tra le più recenti: Cass. sez. 3, 11/12/2018, n. 31946, in motivazione; Cass. sez. 5, 07/11/2018, nn. 28398 e 28391; Cass. sez. 1, 10/04/2018, n. 8755; Cass. sez. 6 5, 07/09/2017, n. 20910, Rv. 645744-01, per la quale la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 n. 4, c.p.c., con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio; Cass. sez. 4, 22/11/2010, n. 23635, Rv. 615017-01).
2.4. Agli evidenziati profili di inammissibilità comuni a tutte le censure se ne aggiungono altri con specifico riferimento alle singole doglianze, talune, comunque, anche infondate.
2.4.1. I motivi 1 e 2 sono inammissibili in quanto non in linea con l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella sua formulazione ratione temporis applicabile dopo la citata sostituzione operata nel 2012, perché deducono meri vizi motivazionali (in termini di insufficienza e contraddittorietà). Si prospetta altresì un omesso esame di circostanze fattuali che gli stessi ricorrenti, invece, evidenziano essere state ritenute dalla CTR pacifiche, comunque non prospettate in termini di fatti controversi e, nella specie, non decisivi anche in ragione delle evidenziate rationes fondanti la decisione.
Il motivo II fonda altresì la censura di contraddittorietà della motivazione (peraltro neanche deducendone in realtà l’assoluta inconciliabilità tra affermazioni contraddittorie) prospettando un fatto nuovo, quale l’intervenuta richiesta di rimborso effettuata nel 2010 del quale non vi è traccia nella motivazione e quindi non risultante da essa. Così facendo si tenta di introdurre in sede di legittimità un nuovo thema decidendum, avente ad oggetto una differente (pretesa) istanza di rimborso contenuta nella detta dichiarazione.
2.4.2. I primi due motivi sono comunque infondati, in ragione dell’ampio e strutturato apparato argomentativo di cui alla sentenza impugnata come innanzi già sintetizzato.
2.4.3. L’inammissibilità della terza doglianza risiede nell’essere un «non motivo».
Con tale censura, peraltro infondata per la già innanzi evidenziata perfetta conformità tra parte motiva e parte dispositiva, non si evidenzia il contrasto tra motivazione e dispositivo e non si chiarisce il perché l’assunto (e non articolato) contrasto sarebbe comunque, nella specie, non conciliabile, differentemente a quanto a più riprese ritenuto da questa Corte (si veda in particolare Cass. sez. VI-V, 17/10/2018, n. 26074, Rv. 651108-01 e prec. C).
2.4.4. Parimenti (anche) infondato è il motivo 4.
La CTR, sul punto non criticata dai contribuenti, ritiene difatti che dalle conciliazioni del 2009 non sia sorto un diritto al rimborso (peraltro facente riferimento alle fatture del 2002) bensì alla detrazione, sicché non si può pretendere, come invece vorrebbero i ricorrenti, di far decorrere il termine decadenziale dalle dette conciliazioni, comunque intercorse tra altri soggetti.
In merito è altresì appena il caso di evidenziare che, contro la tesi sostenuta dai contribuenti, depone lo stesso (da loro) invocato principio della neutralità dell’IVA, non essendo nella specie completamente escluso il rischio di perdita di entrate fiscali da parte dell’erario, stante l’assenza di priva circa il versamento dell’IVA da parte delle società controllate ed in ragione delle conciliazioni.
Dal compimento di un’operazione imponibile discendono invero tre rapporti fra di loro autonomi, l’uno tra l’amministrazione finanziaria e il cedente, relativamente al pagamento dell’imposta, l’altro tra il cedente ed il cessionario, in ordine alla rivalsa e il terzo tra l’Amministrazione ed il cessionario, per ciò che attiene alla detrazione dell’imposta assolta in via di rivalsa, ma tale autonomia presuppone che rimanga salvo il principio della neutralità dell’IVA, il quale postula l’esclusione, in concreto, dell’eventualità di una perdita di gettito tributario. Si veda, in tal senso, Cass. sez. 5, 14/03/2012, n. 4020, Rv. 622057-01, che, in applicazione del principio, decidendo nel merito, ha escluso che fosse dovuto il rimborso dell’IVA indebitamente versata da un fondo pensione, ente non commerciale e, come tale, non soggetto al tributo, in relazione a locazioni di immobili a terzi, non risultando acquisita la prova della mancata detrazione, da parte dei locatori, dell’imposta loro addebitata in rivalsa, e, quindi, della mancanza di danno per l’Erario.
2.4.5. I motivi 5 e 6, sono inammissibili ex art. 366 c.p.c., anche per difetto di specificità (in termini di autosufficienza), non riportando il ricorso congiunto l’atto d’appello al fine di verificare l’effettiva invocata applicabilità dell’art. 10 del c.d. statuto dei diritti del contribuente, peraltro con riferimento al tributo e non ad interessi e sanzioni (per l’inammissibilità dovuta a difetto di specificità del motivo di ricorso, in termini di autosufficienza, si vedano, ex plurimis, » e limitando i riferimenti solo alle decisioni più recenti: Cass. sez. 3, 27/05/2019, n. 14357, in motivazione; Cass. sez. 6-3, 24/05/2019, n. 14161, in motivazione; Cass. sez. 5, 13/11/2018, n. 29092, Rv. 651277-01; Cass. sez. 6-1, 27/07/2017, n. 18679, Rv. 645334-01; Cass. sez. 5, 12/04/2017, n. 9499, Rv. 643920-01, in motivazione; Cass. sez. 5, 15/07/2015, n. 14784, Rv. 636120-01; Cass. sez. 3, 09/04/2013, n. 8569, Rv. 625839-01, oltre che Cass. sez. 3, 03/07/2009, n. 15628, Rv. 609583-01).
2.4.6. I motivi 5 e 6 sono comunque infondati avendo la CTR pronunciato ritenendo di disattendere le altre eccezioni in ragione delle argomentazioni già innanzi sintetizzate che, peraltro, escludono in radice la possibilità di un affidamento nel contribuente circa il diritto a chiedere il rimborso, trattandosi di conciliazioni facenti riferimento a diritto alla detrazione e non al rimborso, peraltro intervenute anche tra soggetti differenti.
3. In conclusione, il ricorso non merita accoglimento ed i ricorrenti devono essere condannati, in solido, al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che si liquidano, in applicazione dei parametri applicabili ratione temporis, in complessivi euro 8.000,00, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi del comma 1 quater dell’art. 13, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (aggiunto dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228), deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto (ex comma 18 della medesima I. n. 228 in quanto procedimento civile di impugnazione iniziato dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della citata I. n. 228 del 2012, cioè a decorrere dal 31 gennaio 2013).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso congiunto e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che si liquidano in euro 8.000,00, oltre alle spese prenotate a debito, dando atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norme dal comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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