CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 marzo 2020, n. 7352
Tributi – Agevolazioni “prima casa” – Mancato trasferimento “formale” della residenza presso l’immobile acquistato – Decadenza benefici – Dimora abituale – Irrilevanza
Ritenuto che
L’Agenzia delle Entrate ricorre, affidandosi ad un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 408/08/14 depositata in data 27.10.2014 con la quale la CTR del Friuli Venezia Giulia, nel rigettare l’appello dell’Ufficio, ha confermato la decisione di primo grado con la quale la CTP di Pordenone aveva accolto il ricorso proposto da O.B.K.H. avverso gli avvisi di liquidazione con i quali l’Agenzia, in relazione ad un atto di acquisto di immobile e al relativo mutuo, aveva revocato le agevolazioni “prima casa” in quanto il contribuente non aveva trasferito la propria residenza nel Comune ove era sito l’immobile.
In particolare, la CTR aveva evidenziato che il contribuente aveva la propria residenza (e, cioè, la dimora abituale) nel detto Comune e che su detta “residenza civilistica” non poteva prevalere la “residenza anagrafica” che il contribuente non poteva ottenere, come da comunicazione dell’Ufficiale di Anagrafe del Comune in questione.
Il contribuente non resiste.
Considerato che
L’Agenzia delle Entrate deduce, a sostegno del ricorso, violazione o falsa applicazione dell’art. 1 della Tariffa, parte I, allegato A, al DPR n. 131 del 1986 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per avere la CTR ritenuto irrilevante, ai fini della decadenza dall’agevolazione “prima casa”, il mancato trasferimento “formale” della residenza presso l’immobile acquistato.
Il motivo è fondato e va accolto.
L’art. 1 della tariffa, parte I, allegato A al DPR n. 131 del 1986 stabilisce che requisito necessario per poter usufruire dell’agevolazione prima casa è che l’immobile sia ubicato nel Comune in cui l’acquirente abbia già la propria residenza o, in alternativa, che ivi si stabilisca entro 18 mesi dall’acquisto. Ne deriva che condizione indispensabile per non decadere dal beneficio fiscale è che l’acquirente, a meno che non sia già residente nel territorio del comune ove è ubicato l’immobile, provveda a trasferirsi in detto comune entro il termine, di natura perentoria, di 18 mesi dall’acquisto.
Orbene, la prova dell’elezione ad abitazione principale è solo il trasferimento anagrafico della residenza, unico elemento dotato di certezza perché verificabile, da parte dell’Amministrazione, presso il Comune ove è sito l’immobile.
In tal senso è la consolidata giurisprudenza della Corte secondo cui, infatti, “la previa residenza anagrafica (ovvero il previo svolgimento di attività lavorativa) nel Comune dove si intende acquistare un immobile costituisce presupposto necessario ai fini del godimento dei benefici fiscali per l’acquisto della prima casa e ciò sia con riferimento agi atti soggetti ratione temporis alla disciplina di cui al DL 7 febbraio 1985, convertito nella legge 5 aprile 1985 n. 118, sia con riferimento a quelli soggetti ratione temporis alla legge 31 dicembre 1991, n. 415. Il requisito in questione può essere dimostrato solo attraverso le risultanze anagrafiche, a nulla rilevando una residenza di fatto (ex multis: sent. 4628/2008; 23579/2012; 8415/2013).
Va da ultimo precisato l’impossibilità di configurare una causa di forza maggiore difettando i requisiti dell’imprevedibilità e della inevitabilità (Cass. ordinanza 4800 del 10.3.2015) non ravvisabili nella fattispecie in esame.
Il ricorso va, pertanto accolto e di conseguenza, cassata la sentenza impugnata.
Non essendovi ulteriori accertamenti da compiere, la causa può essere decisa nel merito con la reiezione dell’originario ricorso del contribuente.
La novità della questione trattata giustifica un compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito respinge l’originario ricorso del contribuente.
Spese compensate.