CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 novembre 2021, n. 35005
Tributi – Contenzioso tributario – Appello – Sentenza – Contenuto necessario – Concisa esposizione dello svolgimento del processo e succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto – Mancanza – Nullità della sentenza
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle entrate, secondo quanto emerge dalla esposizione in fatto della sentenza impugnata, appellò la sentenza n. 12/3/2014 della C.T.P. di Pavia che aveva accolto il ricorso di W.R.C. avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Amministrazione finanziaria aveva rideterminato, ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, il reddito imponibile ai fini Irpef per l’anno d’imposta 2007.
2. La Commissione tributaria regionale della Lombardia accolse l’appello, osservando, in particolare, che: a) con il ricorso di primo grado il contribuente non aveva eccepito la violazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, sulla quale la sentenza di primo grado, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., aveva fondato la propria decisione; b) il citato art. 12 non era applicabile, posto che l’avviso di accertamento non era stato emesso a seguito di notifica di processo verbale di operazioni di verifica, ma sulla scorta dei coefficienti previsti dal redditometro; c) la rideterminazione del reddito imponibile operata dall’Ufficio era corretta e, in ogni caso, la documentazione giustificativa prodotta dall’interessato era stata utilizzata dall’Ufficio finanziario in sede di adesione ai fini della formulazione della proposta di abbattimento del reddito accertabile.
3. Il contribuente ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a cinque motivi, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo – rubricato: «Nullità della sentenza ai sensi degli artt. 1, comma 2, e 36 del d.lgs. n. 546/92, nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» — il ricorrente, deducendo che la sentenza deve contenere la concisa esposizione dello svolgimento del processo, le richieste avanzate dalle parti e la succinta esposizione dei motivi in fatto ed in diritto, al fine di consentire il controllo critico del provvedimento, lamenta che i giudici di appello, dopo avere provveduto a tratteggiare solo parzialmente la parte in fatto senza procedere ad una ricostruzione analitica delle vicende che hanno portato all’emissione dell’atto impositivo impugnato, hanno del tutto omesso una qualsiasi esposizione dei motivi proposti con il ricorso di primo grado e delle conclusioni a cui è giunta la C.T.P. con la sentenza di primo grado, partendo direttamente dalle richieste avanzate dalla parte appellante.
Il contenuto della decisione gravata, ad avviso del ricorrente, non consente di individuare i tratti essenziali del giudizio di primo grado, le ragioni poste a fondamento della sentenza di primo grado, né tanto meno gli elementi in fatto e in diritto considerati dai giudici di secondo grado per addivenire all’accoglimento del gravame, in tal modo impedendo di inquadrare l’oggetto ed il thema decidendum.
2. Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212, 6, comma 3, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Espone il ricorrente che, dopo essere stato invitato, si era presentato presso l’Agenzia delle entrate al fine di chiarire la propria posizione, tanto che era stato redatto il verbale del 22 ottobre 2012 nel quale aveva precisato che si riservava di documentare le dichiarazioni rese; pur essendosi successivamente attivato per reperire la documentazione, quando si era nuovamente presentato presso l’Ufficio dell’Agenzia delle entrate gli era stato immediatamente notificato l’avviso di accertamento. Si duole, quindi, della mancata instaurazione del preventivo contraddittorio, già denunciata con il ricorso di primo grado, facendo rilevare che la fattispecie non rientra nella tipologia degli «accertamenti a tavolino» e che l’Amministrazione finanziaria non può assolvere tale onere solo in modo formale, invitando il contribuente a consegnare il questionario compilato senza consentirgli di fornire chiarimenti. Aggiunge che a nulla rileva la circostanza che il nuovo redditometro sia entrato in vigore nel 2010, poiché le disposizioni di tipo procedimentale, come quella in esame, si applicano immediatamente e, dunque, anche in relazione a periodi d’imposta precedenti sottoposti a verifica.
3. Con il terzo motivo il contribuente censura la decisione gravata per violazione e falsa applicazione dell’art. 10 della legge n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ribadendo di avere denunciato la violazione dei principi di buona fede e collaborazione. Sottolinea, al riguardo, che il comportamento dell’Amministrazione finanziaria che ha chiesto in appello la conferma dell’originario accertamento notificato, pur avendo riconosciuto nel corso delle verifiche successive di essere incorsa in errori di calcolo, integra il mancato rispetto di tali principi.
4. Con il quarto motivo il contribuente, denunciando la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., sostiene che l’Agenzia delle entrate in grado di appello ha modificato le conclusioni rassegnate in primo grado, chiedendo la conferma dell’accertamento del maggior reddito inizialmente contestato, anziché del minor reddito emergente dalla proposta formulata in sede di contraddittorio, e che la C.T.R. ha inspiegabilmente confermato integralmente l’avviso di accertamento, sebbene abbia riconosciuto la rilevanza, ai fini della riduzione dell’imponibile, di parte della documentazione prodotta in sede di accertamento con adesione.
5. Con il quinto motivo denuncia omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., rimarcando che nel giudizio di merito aveva fatto presente che: a) il collaboratore domestico non svolgeva lavori di pulizia, ma solo di assistenza familiare, e trascorreva circa quattro/cinque mesi in Senegal presso la sua famiglia; b) il coefficiente “3” non era applicabile alla spesa annuale per il mutuo ipotecario; c) aveva utilizzato somme ereditate dal padre per l’acquisto di un immobile e per il pagamento del mutuo; d) la madre, socia della M. T. s.a.s., gli aveva sempre devoluto la propria quota di partecipazione, con conseguente aumento del proprio reddito di euro 7.333,00. La sentenza impugnata non faceva menzione di tali fatti rilevanti e non aveva esplicitato le ragioni della decisione in ordine alle contestazioni svolte ed alle prove offerte.
6. Il secondo motivo, che va scrutinato con priorità perché il suo accoglimento renderebbe superfluo l’esame degli altri mezzi di ricorso, è infondato.
6.1. E’ pacifico che l’Amministrazione finanziaria ha espletato un accertamento cd. a tavolino, esaminando nei propri uffici la documentazione, senza procedere ad accessi, ispezioni, verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio dell’attività commerciale, che costituisce il presupposto applicativo del disposto di cui all’ultimo comma dell’art. 12 della legge n. 212 del 2000 (Cass., sez. 6-5, 8/02/2017, n. 3408; Cass., sez. 6-5, 14/03/2018, n. 6219; Cass., sez. 6-5, 27/07/2018, n. 20036; Cass., sez. 6-5, 29/10/2018, n. 27420).
Pertanto, la statuizione della sentenza impugnata, che esclude l’applicabilità del citato art. 12, risulta aderente ai principi giurisprudenziali, di derivazione anche unionale, in materia di contraddittorio endoprocedimentale, secondo cui, per i tributi «non armonizzati», non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un generalizzato obbligo di contraddittorio nella fase amministrativa, sussistente solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito, così come non sussiste per gli accertamenti condotti «a tavolino», mentre per i tributi «armonizzati» grava sul contribuente, in ipotesi di violazione del contraddittorio, l’onere di enunciare le ragioni che avrebbe potuto far valere nella fase amministrativa (Cass., sez. U, 9/12/2015, n. 24823).
Nella specie, quindi, la normativa nazionale non imponeva, a pena di nullità, l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente, vertendosi in ipotesi di accertamento in materia di tributo non armonizzato, quale è l’Irpef.
6.2. A tale approdo si perviene, altresì, se si considera che la verifica di cui si discute è sfociata in un accertamento sintetico ex art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, in ordine al quale l’Ufficio finanziario ha un obbligo di invitare il contribuente a comparire (di persona o per mezzo di rappresentanti) per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento, così come previsto dal settimo comma dello stesso articolo, nella formulazione introdotta dall’art. 22, comma 1, d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge n. 122 del 2010, applicabile, però, solo dal periodo d’imposta 2009. Ciò significa che gli accertamenti relativi alle precedenti annualità, quale quello in esame, relativo al periodo d’imposta 2007, sono legittimi anche senza l’instaurazione del contraddittorio precedente alla loro emissione (Cass., sez. 6-5, 31/05/2016, n. 11283). Infatti, l’art. 22, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010, ha disposto, con specifica norma di diritto transitorio, che le modifiche operano in relazione agli «accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto» e quindi la norma ha effetto dal periodo d’imposta 2009 (Cass., sez. 6-5, 06/10/2014, n. 21041; Cass., sez. 6-5, 6/11/2015, n. 22746; Cass, sez. 5, 7/06/2021, n. 15760).
6.3. Va, al riguardo, ribadito, sulla specifica questione relativa all’applicabilità del nuovo redditometro di cui al d.m. 24 dicembre 2012, che è del tutto inconferente il richiamo alla retroattività, giacché la giurisprudenza della Corte, nell’affermare l’applicabilità degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992 ai periodi d’imposta precedenti alla loro adozione, non sulla retroattività ha fatto leva, bensì sulla natura procedimentale delle norme dei decreti, che ne comporta l’applicabilità in rapporto al momento dell’accertamento (Cass., sez. 5, 19/04/2013, n. 9539); così come non è pertinente il principio del favor rei, la cui applicazione è invocabile unicamente al cospetto di norme sanzionatorie, non già allorquando si tratti dei poteri di accertamento oppure della formazione della prova, che sono appunto i piani coinvolti dal redditometro.
Come è stato chiarito da Cass., sez. 6-5, 6/11/2015, n. 22746, «…la questione su quale sia la norma applicabile è questione di diritto intertemporale che, appunto, va a identificare, nella successione fra più norme, quella da dover applicare; ma il diritto intertemporale necessariamente recede a fronte di esplicita previsione di diritto transitorio, che esso stesso identifica la norma applicabile» (il richiamato art. 22, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010).
7. Merita, invece, accoglimento il primo motivo di ricorso.
7.1. Questa Corte ha ripetutamente affermato, con riguardo al processo tributario, che, ai sensi dell’art. 36 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – secondo cui la sentenza deve contenere, tra l’altro, la «concisa esposizione dello svolgimento del processo» e «la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto» – nonché dell’art. 118 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, applicabile al rito tributario in forza del generale rinvio operato dall’art. 1, comma 2, del citato decreto delegato, la mancata esposizione in sentenza dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa e l’estrema concisione della motivazione in diritto determinano la nullità della sentenza, allorché rendano impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni che stanno a fondamento del dispositivo (Cass., sez. 5, 12/03/2002, n. 3547; Cass., sez. 5, 22/09/2003, n. 13990; Cass., sez. 5, 3/10/2008, n. 24610; Cass., sez. 6-5, 16/12/2013, n. 28113; Cass., sez. 5, 3/11/2020, n. 24309; Cass., sez. 5, 11/03/2021, n. 6855).
7.2. In particolare, si è precisato che la sola carente esposizione dello svolgimento del processo non vale ad integrare un motivo di nullità della sentenza, purché dal contesto di questa sia dato desumere con sufficiente chiarezza le vicende processuali, le domande svolte nel processo, le difese svolte e le ragioni delle conseguenti decisioni adottate sulle stesse (Cass., sez. 5, 23/01/2004, n. 1170; Cass., sez. 5, 3/11/2020, n. 24309).
Infatti, la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto della decisione, richiesta dall’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., non costituisce un elemento meramente formale, bensì «un requisito da apprezzarsi esclusivamente in funzione della intelligibilità della decisione e della comprensione delle ragioni poste a suo fondamento, la cui mancanza costituisce motivo di nullità della sentenza solo quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione», e ciò in ragione del principio della strumentalità della forma, per il quale la nullità non può mai essere dichiarata se l’atto ha raggiunto il suo scopo, tenuto conto altresì del fatto che il legislatore, nel modificare l’art. 132 citato per mezzo della legge n. 69 del 2009, art. 45, comma 17, ha espressamente stabilito un collegamento di tipo logico e funzionale tra l’indicazione in sentenza dei fatti di causa e le ragioni poste dal giudice a fondamento della decisione (Cass., sez. 1, 2/11/2015, n. 22346; Cass., sez. 6-5, 20/01/2015, n. 920; Cass., sez. 6-5, 3/07/2018, n. 17403).
7.3. Orbene, nel caso di specie, il giudice del gravame, in sede di svolgimento del processo, ha del tutto omesso di descrivere i fatti rilevanti della causa, poiché la sentenza non contiene alcuna ricostruzione dei presupposti che sorreggono la pretesa fiscale, né alcun riferimento alle ragioni di contestazione della legittimità dell’avviso di accertamento impugnato e alla linea difensiva svolta dall’Amministrazione finanziaria in primo grado, risultando riportati in modo sintetico unicamente i motivi di appello formulati.
L’assoluta mancanza di elementi specifici non consente, dunque, di apprezzare l’esatto ambito della controversia in esame, in particolare, i profili centrali della pretesa erariale e le contrapposte ragioni di doglianza prospettate dal contribuente e, quindi, di giungere ad una valutazione in termini di piena validità della sentenza impugnata, non essendo possibile individuare le ragioni che, rispetto ai fatti di causa, che sono rimasti inespressi, giustificano la decisione adottata.
Al di là delle ragioni che sorreggono l’affermata inapplicabilità dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, infatti, i giudici di appello, affrontando la questione centrale della controversia, ossia la rideterminazione del reddito imponibile del contribuente operata dall’Ufficio finanziario, si sono limitati a confermare l’avviso di accertamento, assumendo che «tutto quanto dalla documentazione giustificativa prodotta dall’interessato è stato ritenuto probante, è stato utilizzato dall’Ufficio in sede di adesione ai fini della formulazione della proposta di abbattimento del reddito accertabile», senza ulteriori specificazioni, così adottando un percorso motivazionale che non consente di superare gli elementi di incertezza cui si è fatto riferimento, non potendo le espressioni apodittiche utilizzate colmare le lacune attinenti all’oggetto della controversia in esame, di cui è stata omessa ogni specifica indicazione, essendo impedito a questa Corte di verificare la sussistenza di un eventuale collegamento logico fra i fatti di causa e le ragioni poste dal giudice del gravame a fondamento del dictum pronunciato.
L’accoglimento del primo motivo di ricorso consente di ritenere assorbiti i restanti motivi.
8. Conclusivamente, rigettato il secondo motivo di ricorso, va accolto il primo motivo, assorbiti gli altri, con conseguente cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla competente Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, per il riesame della controversia, oltre che per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
rigetta il secondo motivo di ricorso; accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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