CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 novembre 2022, n. 33888
Licenziamento – Trasferimento d’azienda ex art. 2112 c.c. – Adempimento dell’obbligazione della corresponsione del TFR
Svolgimento del processo
Con sentenza del giorno 8 giugno 2017 n. 1108, la Corte d’appello di Milano respingeva l’appello dell’Inps avverso la sentenza del tribunale di Como che aveva accolto la domanda proposta da B.C. volta ad ottenere l’intervento del Fondo di Garanzia con riferimento al TFR maturato alle dipendenze de La Q.H. srl presso la quale era stata dipendente dal 23.12.09 e da cui era stata licenziata il 22.7.11; inoltre, l’azienda di quest’ultima società era stata trasferita nella stessa data del 22.7.11 al Gruppo S.A. srl, presso cui era stata anche riassunta: il giudice delegato al fallimento di L.Q.H. srl aveva ammesso al passivo l’intero importo di TFR richiesto dalla lavoratrice.
Ad avviso del tribunale, sezione Lavoro, l’Inps non aveva il potere di contestare l’ammontare del credito vantato dal ricorrente, perché il presente giudizio non era la sede per mettere in discussione l’esistenza di una soluzione di continuità tra il rapporto di lavoro instaurato dapprima con L.Q.H. srl e poi quello intercorso con il Gruppo S.A. srl. Inoltre, non erano accoglibili le eccezioni dell’Inps sull’esistenza di un unico rapporto di lavoro, in virtù dell’intercorso trasferimento d’azienda, ex art. 2112 c.c., per cui il lavoratore avrebbe dovuto rivolgersi previamente alla società cessionaria quale obbligata solidale.
Da parte sua, per quanto ancora d’interesse, la Corte d’appello a sostegno delle ragioni di rigetto del gravame dell’Inps, ha ritenuto che una volta che – a torto o a ragione – i crediti di lavoro sono stati definitivamente ammessi al passivo della società sottoposta a procedura concorsuale, l’Istituto previdenziale non può contestare tale accertamento giudiziale che lo vincola sia che vi abbia partecipato sia che ad esso sia rimasto estraneo: ciò in virtù del subentro ex lege nel debito del datore di lavoro insolvente, all’esito della richiesta di insinuazione allo stato passivo del datore di lavoro stesso e del successivo accertamento del credito del lavoratore divenuto definitivo nella misura in cui esso risulta in quella sede accertato, anche per l’assenza di opposizione dell’Inps.
Avverso la sentenza della Corte d’appello, l’Istituto previdenziale ha proposto ricorso in cassazione, sulla base di un motivo, illustrato da memoria, mentre il lavoratore ha resistito con controricorso.
Il PG ha rassegnato conclusioni scritte, nel senso del rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
Con il motivo di ricorso, l’Istituto ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 2 commi 1, 2, 4, 5, 7 e 8 della legge n. 297/82, e dell’art. 1 commi 1 e 2 del d.lgs. n. 80/92, con riferimento agli artt. 1203 nn. 3 e 5, 1298 comma 1 e 2112 c.c., perché, pur se i crediti del lavoratore erano stati ammessi, in via definitiva, al passivo della procedura concorsuale del datore di lavoro cedente poi insolvente, in effetti essi s’inserivano nella vicenda traslativa di un trasferimento d ‘azienda e potevano essere richiesti al datore di lavoro cessionario in bonis, in quanto obbligato solidale ex lege.
Il ricorso è fondato, in quanto secondo la giurisprudenza di questa Corte, “l’art. 2 della legge n. 297 del 1982 e l’art. 2 del d.lgs. n. 80 del 1992 (che istituiscono e regolano il Fondo di Garanzia presso l’Inps) si riferiscono all’ipotesi in cui sia stato dichiarato insolvente ed ammesso alle procedure concorsuali il datore di lavoro che è tale al momento in cui il TFR diviene esigibile e in cui la domanda d’insinuazione al passivo viene proposta ed, inoltre, poiché il TFR diventa esigibile solo al momento della cessazione del rapporto, il fatto che (erroneamente) il credito maturato per TFR fino al momento della cessione d’azienda sia stato ammesso allo stato passivo nella procedura fallimentare del datore di lavoro cedente non può vincolare l’Inps, che è estraneo alla procedura e che perciò deve poter contestare il credito per TFR, sostenendo che esso non sia ancora esigibile, neppure in parte, e quindi non opera ancora la garanzia della legge n. 297 del 1982, art. 2“(Cass. n. 4897/21, in motivazione).
Pertanto, la tutela previdenziale apprestata dal Fondo di Garanzia (che è distinta dall’obbligazione retributiva che nasce in forza del rapporto di lavoro) interviene, per definizione nel caso di bisogno, allorché il credito lavorativo non è, in concreto, provvisto di tutela nell’ambito del rapporto di lavoro nei confronti del datore di lavoro: pertanto, tale rapporto previdenziale sorge soltanto allorché il lavoratore perde la possibilità di tutela ordinaria dei suoi crediti retributivi nell’ambito del predetto rapporto di lavoro, proprio per l ‘ insolvenza del datore di lavoro.
Nella specie, la presente vicenda è caratterizzata dal trasferimento d’azienda, ex art. 2112 c.c., tra la L.Q.H. srl (precedente datore di lavoro del lavoratore, che è poi fallito) e il Gruppo S.A. srl (datore di lavoro cessionario dell’azienda) coobbligato solidale nell’adempimento dell’obbligazione della corresponsione del TFR e che era pacificamente in bonis al momento dell’insolvenza, ancorché la società cedente e la società cessionaria avessero stipulato il patto (avente mera efficacia tra le parti) che il debito per TFR maturato presso la cedente dovesse essere adempiuto esclusivamente dalla cessionaria.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “l’inderogabilità della materia previdenziale – giustificata dalla natura degli interessi tutelati come si evince dal disposto degli artt. 2114 e 2115 c. c. – osta alla validità di ogni patto, che valga a modificare la normativa legale sulle forme di previdenza e di assistenza obbligatorie e sulle contribuzioni e prestazioni relative, o che sia suscettibile di eludere gli obblighi delle parti attinenti alle suddette materie” (Cass. n. 24828/11).
Pertanto, le prestazioni che l’Inps è tenuto a riconoscere quale gestore del Fondo di Garanzia non possono essere determinate alla stregua di accordi privatistici, ma devono corrispondere a quanto effettivamente il lavoratore non ha potuto ottenere a titolo di TFR per l ‘insolvenza del proprio datore di lavoro che è insussistente nel caso di specie potendo il lavoratore rivolgersi alla società cessionaria quale coobbligata in solido.
Pertanto, poiché la Corte distrettuale non si è attenuta agli esposti principi, la sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Torino, che riesaminerà la controversia sulla base di quanto esposto, anche il riferimento alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.
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