CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 novembre 2022, n. 33982
Lavoro – Condotta antisindacale – Mancata applicazione medio tempore del contratto collettivo integrativo disdettato – Violazione della clausola di ultravigenza – Illegittimità
Fatti di causa
1. La F.C. di Ascoli Piceno ha proposto ricorso ai sensi dell’art. 28, legge n. 300 del 1970, nei confronti della società C.A. soc. coop. per far dichiarare il carattere antisindacale del comportamento tenuto da quest’ultima e consistito nell’avere, nel periodo tra la disdetta (31.12.2015) del contratto collettivo integrativo aziendale del 26.7.2001 e la firma del nuovo contratto (16.6.2016), disapplicato il citato contratto del 2001, in violazione della clausola di ultravigenza di cui all’art. 23, e così delegittimato la stessa organizzazione sindacale rispetto ai lavoratori, privati del trattamento ivi previsto.
2. Il Tribunale di Ascoli Piceno con decreto dell’1.7.2016 ha respinto il ricorso della F.C. e, con sentenza del 3.2.2017, ha dichiarato inammissibile l’opposizione perché proposta con ricorso depositato in forma cartacea, in violazione dell’art. 16 bis, del decreto legge n. 179 del 2012.
3. La Corte d’appello di Ancona, ritenuto che la nullità del ricorso depositato in forma cartacea fosse stata sanata dal raggiungimento dello scopo, ai sensi dell’art. 156, comma 3, cod. proc. civ., ha respinto nel merito l’impugnazione della F.C..
4. La Corte territoriale, pur ammesso che la mancata applicazione medio tempore del contratto collettivo integrativo disdettato comportasse la violazione della clausola di ultravigenza di cui all’art. 23 cit., ha ritenuto tale comportamento non idoneo a ledere oggettivamente gli interessi di cui è portatrice l’organizzazione sindacale e ad incidere sulle trattative che hanno portato alla sottoscrizione del nuovo contratto. Ha rilevato, in particolare, come il sindacato appellante avesse regolarmente partecipato alla fase delle trattative, come avesse liberamente scelto di non presenziare ad alcune sedute dopo la convocazione effettuata dalla società appellata; ha sottolineato come il referendum svolto avesse dimostrato l’accoglimento da parte dei lavoratori, a larga maggioranza, del nuovo contratto integrativo aziendale. Ha rilevato, in generale, come le organizzazioni sindacali non siano legittimate a tutelare qualsivoglia diritto dei lavoratori che si assuma leso da inadempimenti di natura contrattuale da parte del datore di lavoro e che, nel caso di specie, ciascun lavoratore avrebbe potuto far valere la mancata applicazione del contratto collettivo integrativo disdettato, in quanto violazione di natura contrattuale.
5. Avverso tale sentenza la F.C. di Ascoli Piceno ha proposto ricorso per cassazione affidato a undici motivi. La C.A. società cooperativa ha resistito con controricorso e ricorso incidentale, con un unico motivo. La F.C. ha depositato controricorso al ricorso incidentale.
6. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’accoglimento del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
Ricorso principale di F.C. di Ascoli Piceno
7. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 28, legge n. 300 del 1970, e dei principi del giusto processo, poiché la decisione di appello si basa in modo determinante su fatti allegati e documenti prodotti nel corso del giudizio e non esistenti all’epoca del deposito del ricorso ai sensi dell’art. 28, relativi, ad esempio, alla partecipazione dell’organizzazione sindacale ricorrente alle trattative per il rinnovo del contratto integrativo e allo svolgimento del referendum, senza, peraltro, che la F.C. abbia avuto la possibilità di controdedurre sulle nuove allegazioni e produzioni non essendo stato concesso il termine richiesto, come risulta dal verbale di udienza del 24.6.2016.
8. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 28, legge 300 del 1970 in relazione all’art. 111 Cost. e agli artt. 112, 115, 116, 156, 157, 159 e 161 cod. proc. civ., per avere i giudici di appello consentito a controparte di spostare l’oggetto della decisione dal petitum e dalla causa pretendi enunciati nel ricorso introduttivo della fase sommaria a fatti, circostanze e questioni temporalmente successivi, non rilevanti ai fini della condotta antisindacale denunciata ed inoltre erroneamente valutati.
9. Con il terzo motivo di ricorso la medesima censura è formulata in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
10. Con il quarto motivo di ricorso si addebita alla sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 28, legge n. 300 del 1970, per avere escluso la lesione delle prerogative sindacali in ragione della partecipazione dell’attuale ricorrente alla trattativa di rinnovo del contratto disdettato e in base all’esito del referendum, che ha dato un risultato favorevole al nuovo contratto collettivo osteggiato e non sottoscritto dalla F.C., senza considerare che ad essere determinante ai fini dell’articolo 28 cit. è il modo in cui la trattativa di rinnovo si è svolta e il modo in cui il referendum si è tenuto. La sentenza d’appello ha errato nel ritenere che condurre una trattativa di rinnovo in condizioni di ultravigenza del contratto disdettato o condurla in assenza di qualsiasi contratto applicato sia la stessa cosa e conferisca all’organizzazione sindacale, tra i propri iscritti e nei confronti della controparte, lo stesso livello di autorevolezza, credibilità e forza. Ha parimenti errato nel presupporre che per i lavoratori sia indifferente, in termini di libertà e forza rivendicativa, votare sulla approvazione di un contratto deteriore rispetto a quello disdettato, sapendo che il precedente contratto rimane in vigore almeno fino al termine della trattativa, oppure votare mentre si sono già persi i benefici (economici e non) del precedente contratto.
11. Con il quinto motivo di ricorso la medesima critica è formulata in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, deducendosi inoltre il carattere apparente, e quindi la sostanziale omissione di motivazione, nella parte in cui la sentenza d’appello ha escluso il pregiudizio in danno dell’attività sindacale solo perché il sindacato ha liberamente partecipato alle trattative ed i lavoratori hanno liberamente votato a favore del nuovo contratto integrativo.
12. Con il sesto motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 3 cod. proc. civ., l’ulteriore violazione dell’art. 28, legge n. 300 del 1970, e degli artt. 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., per avere la Corte di merito escluso che la violazione della clausola di ultravigenza di cui all’art. 23 possa avere oggettivamente inciso sulla trattativa di rinnovo, omettendo di considerare che, dopo la disdetta del contratto integrativo, la F.C. aveva “proseguito le trattative tra le forti proteste e le rimostranze dei lavoratori per le perdite di diritti (economici e non solo) dagli stessi subite”, fatto allegato fin dal ricorso in opposizione, in sé significativo della perdita di credibilità dell’O.S., non contestato dalla controparte e su cui, comunque, la ricorrente aveva articolato specifiche richieste di prova.
13. Con il settimo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 28, legge n. 300 del 1970, per avere la sentenza d’appello considerato la violazione della clausola di ultravigenza quale violazione di tipo contrattuale, che ciascun lavoratore avrebbe potuto (e forse dovuto) far valere, ignorando il principio di plurioffensività della condotta datoriale posta in essere in violazione dell’art. 28 cit. Si ribadisce come la violazione della clausola di ultravigenza, nel corso delle trattative per il rinnovo del contratto, abbia delegittimato l’organizzazione sindacale e la sua stessa funzione di soggetto abilitato a contrattare col datore di lavoro per conto dei suoi iscritti.
14. Con l’ottavo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Si assume che la Corte di merito abbia escluso il carattere antisindacale della condotta datoriale sul rilievo che la F.C. avesse regolarmente partecipato alla trattativa, come risultante dal documento avversario n. 7 relativo al verbale di incontro del 31.5.2016, senza considerare le allegazioni e i documenti dell’O.S. idonei a dimostrare una serie di condotte datoriali che hanno reso la trattativa tutt’altro che “regolare” e hanno portato alla stipula di un contratto di rinnovo separato, con modalità concretanti una ulteriore condotta antisindacale; in particolare senza considerare che la convocazione datoriale del 23.6.2016, per il successivo 24 giugno, non era destinata a consentire la discussione sul contenuto del nuovo contratto integrativo bensì solo diretta a far firmare il nuovo contratto, già firmato in data 16.6.2016 dalla società e dalla U.U..
15. Con il nono motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 3 cod. proc. civ., l’ulteriore violazione dell’art. 28, legge n. 300 del 1970, degli artt. 1175, 1337 e 1375 cod. civ. e dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la Corte di merito omesso di considerare i fatti e i documenti di cui al precedente motivo di ricorso, atti a dimostrare la violazione dei principi di correttezza e buona fede in relazione sia alle anomale e ostili modalità di conduzione che alla repentina e ingiustificata interruzione della trattativa di rinnovo da parte della società nei confronti dell’organizzazione sindacale ricorrente, e ad integrare una ulteriore condotta antisindacale non rilevata dalla Corte territoriale che ha omesso di pronunciarsi sulle domande avanzate al riguardo nel ricorso in opposizione.
16. Con il decimo motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1369 e 1373 cod. civ. e dell’art. 28, legge n. 300 del 1970, in relazione all’art. 23 del contratto collettivo integrativo aziendale del 26.7.2001. Si censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha confermato il provvedimento reso dal Tribunale in fase sommaria ove era affermato che il contratto collettivo integrativo del 2001 si sarebbe tacitamente trasformato in contratto a tempo indeterminato per via della sua prolungata applicazione (12 anni) dopo la prima scadenza (31.12.2003), con conseguente legittimità del recesso unilaterale con preavviso da parte della società (in data 18.9.2015) e irrilevanza della clausola di ultrattività.
17. Con l’undicesimo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ. chiedendosi una nuova regolamentazione delle spese di lite in conseguenza dell’accoglimento dei motivi di ricorso.
Ricorso incidentale di C.A. società cooperativa
18. Con l’unico motivo di ricorso incidentale è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 16 bis, decreto legge n. 179 del 2012, convertito dalla legge n. 221 del 2012, in relazione all’art. 156 cod. proc. civ.
19. Sulla premessa che la sentenza d’appello contenga una statuizione passata in giudicato secondo cui “il deposito con modalità cartacea dell’atto di opposizione del processo viola l’art. 16 del decreto legge 179”, si sostiene l’inammissibilità del deposito del ricorso in opposizione con modalità diverse da quelle prescritte come “esclusive” dalla disposizione citata, con conseguente inesistenza dell’atto anziché nullità, dichiarata sanata dai giudici di appello sanata.
20. Il ricorso incidentale, che ha priorità logico-giuridica, è infondato.
21. Deve anzitutto escludersi, proprio in ragione della proposta impugnazione incidentale, la formazione di un giudicato sulla esistenza di un vizio di notifica.
22. In una fattispecie in cui era dedotta la formazione di un giudicato interno sulla inesistenza della notifica della citazione di primo grado, questa Corte (Cass. n. 8645 del 2020) ha escluso “la formazione di un giudicato interno sull’affermata inesistenza della notifica della citazione di primo grado, ancorché il relativo capo del dispositivo non sia stato oggetto d’una propria e autonoma censura – sicché se ne impone la verifica d’ufficio – allorquando la parte impugnante contesti i successivi effetti processuali che il maniera autonoma rispetto a quanto prospettato dalle parti e procedere ad una diversa loro qualificazione giuridica, non occorre un’apposita censura sugli uni o sull’altra, ma è sufficiente che sia contestato anche soltanto l’effetto finale che il giudice “a quo” ne abbia ricavato, rappresentando l’inesistenza – non diversamente dalla nullità di un atto processuale – una “qualificazione” giuridica che questi opera per trarne uno o più effetti concreti sui “tremata decidenda” sostanziali e/o processuali”.
23. La censura è infondata in base ai principi affermati da questa Corte con riferimento al rito introdotto dalla legge n. 92 del 2012, ma con affermazioni estensibili alla fattispecie oggetto di causa relativa al procedimento ex art. 28, legge n. 300 del 1970, strutturato in modo analogo al cd. rito Fornero. Si è stabilito (Cass. n. 2930 del 2019; Cass. n. 25799 del 2019) che “Nel rito cd. Fornero, il giudizio di primo grado, pur unitario, si articola in due fasi procedimentali e l’introduzione della fase di opposizione richiede un’autonoma costituzione delle parti, come è dimostrato dal fatto che l’art. 1, commi 51 e 53, della l. n. 92 del 2012 preveda a loro carico gli stessi incombenti che caratterizzano l’introduzione del giudizio nel rito del lavoro; ne consegue che il ricorso in opposizione può essere depositato in forma cartacea, non ricorrendo i presupposti per l’applicazione dell’art. 16-bis del d.l. n. 179 del 2012 (conv., con modif., in l. n. 221 del 2012), secondo cui il deposito degli atti processuali delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche“.
24. Deve quindi ritenersi infondato l’assunto della ricorrente incidentale che pretende di affermare addirittura l’inesistenza del ricorso in opposizione poiché depositato in forma cartacea anziché telematica.
25. La società controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso principale per intervenuta cessazione della materia del contendere, per avere la segretaria provinciale e legale rappresentante della F.C. di Ascoli Piceno sottoscritto un “verbale di accordo ad integrazione dell’art. 23 CIA del 30.6.2018”, la cui validità è “vincolata alla durata del Contratto integrativo Aziendale del 30 giugno 2016”, di cui col ricorso in esame è chiesta la disapplicazione.
Inoltre, per avere la segretaria provinciale, con e-mail del 17.5.2018, richiesto al responsabile relazioni sindacali della società controricorrente i dati sul premio pattuito con il CIA del giugno 2016, in tal modo manifestando la volontà di fare propri i contenuti di questo contratto.
26. Ha inoltre dedotto l’inammissibilità del ricorso principale sul rilievo che, in base all’accordo interconfederale del 28.7.2015, il contratto integrativo aziendale sottoscritto nel 2016 da C.A. soc. coop. e U.U., approvato a larghissima maggioranza dal referendum dei lavoratori, dovesse considerarsi legittimo ed efficace erga omnes, senza possibilità di disapplicazione.
27. Nessuno dei profili di inammissibilità può trovare accoglimento. Il primo, poiché la dichiarazione di cessazione della materia del contendere “presuppone che le parti si diano atto reciprocamente del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e sottopongano al giudice conclusioni conformi in tal senso” (v. Cass. n. 25625 del 2020; Cass. n. 5188 del 2015) e tali requisiti difettano nel caso in esame. Il secondo, poiché la domanda azionata dall’attuale ricorrente non investe la legittimità ed efficacia del contratto integrativo aziendale sottoscritto nel 2016.
28. I primi tre motivi di ricorso, che si trattano unitariamente perché logicamente connessi e in parte sovrapponibili, non possono trovare accoglimento atteso che costituisce requisito essenziale dell’azione ex art. 28 St. Lav. la attualità della condotta antisindacale o almeno dei suoi effetti (v. Cass. n. 13860 del 2019; Cass. n. 3837 del 2016; Cass. n. 23038 del 2010), con la conseguenza che legittimamente possono introdursi nel giudizio elementi atti a dimostrare l’esaurimento o il protrarsi della condotta o dei suoi effetti. La censura formulata col terzo motivo ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. ed i motivi quinto e ottavo, entrambi riferiti al vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., sono inammissibili in difetto dei presupposti definiti dalle sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte (nn. 8053 e 8054 del 2014) e concernenti l’omesso esame di un fatto inteso in senso storico e decisivo, cioè idoneo a determinare, se considerato, un esito diverso della controversia.
29. I motivi quarto, sesto, settimo e decimo del ricorso principale, anch’essi da trattare congiuntamente, sono fondati nei termini di seguito esposti.
30. La F.C. ha argomentato l’antisindacalità della condotta della società in ragione della violazione della clausola di ultrattività del contratto integrativo aziendale del 2001 e sul rilievo che la violazione di tale clausola avrebbe pregiudicato, nel corso delle trattative per il rinnovo del contratto, l’autorevolezza, la credibilità e la forza dell’organizzazione sindacale ricorrente rispetto ai propri iscritti, in quanto la stessa non sarebbe stata in grado di garantire la protratta applicazione del contratto disdettato nel periodo di tempo necessario al rinnovo e quindi di evitare i correlati pregiudizi anche economici derivati ai lavoratori.
31. In merito alla questione della durata e dell’efficacia del contratto collettivo disdettato, deve ribadirsi l’orientamento espresso da questa Corte con la sentenza n. 3672 del 2021 secondo cui “I contratti collettivi di diritto comune, costituendo manifestazione dell’autonomia negoziale degli stipulanti, operano esclusivamente entro l’ambito temporale concordato dalle parti, atteso che l’opposto principio di ultrattività della vincolatività del contratto scaduto sino ad un nuovo regolamento collettivo, ponendosi come limite alla libera volontà delle organizzazioni sindacali, sarebbe in contrasto con la garanzia prevista dall’art. 39 Cost.; pertanto, alla previsione della perdurante vigenza del contratto fino alla nuova stipulazione dev’essere riconosciuto il significato della indicazione, mediante la clausola di ultrattività, di un termine di durata chiaramente individuato in relazione a un evento futuro certo, benché privo di una precisa collocazione cronologica“.
32. Come precisato nella sentenza appena citata, poiché la “scadenza” del contratto non può che essere quella fissata specificamente e chiaramente dalle parti collettive, la previsione della perdurante vigenza fino alla nuova stipulazione ha il significato della previsione, mediante la clausola di ultrattività, di un termine di durata, benché indeterminato nel “quando”, atteso che il contratto collettivo di diritto comune è regolato dalla libera volontà delle parti, che possono in tal modo regolare gli effetti del contratto scaduto quanto al termine di efficacia. Difatti, nelle obbligazioni da contratto il criterio distintivo tra termine e condizione va ravvisato nella certezza e/o nell’incertezza del verificarsi di un evento futuro che le parti hanno previsto per l’assunzione di un obbligo o per l’adempimento di una prestazione; ricorre l’ipotesi del termine quando detto evento futuro sia certo, anche se privo di una precisa collocazione cronologica, purché risulti connesso ad un fatto che si verificherà certamente (v. Cass. n. 4124 del 1991).
33. In coerenza con tali principi, deve ribadirsi la qualificazione della clausola contenuta nell’art. 23 del contratto integrativo aziendale (“Il contratto scade il 31.12.2003 e resterà in vigore sino alla stipula del successivo contratto integrativo”) come clausola di ultrattività, in quanto espressione della volontà delle parti stipulanti di vincolarsi al contenuto del contratto sottoscritto fino alla nuova negoziazione e sottoscrizione.
34. La Corte d’appello ha escluso che la violazione della clausola di ultrattività abbia determinato una lesione delle prerogative sindacali con specifico riferimento alla fase delle trattative per il rinnovo del contratto aziendale, ciò sul rilievo della partecipazione della F.C. alle trattative medesime e dell’esito del referendum nonché nella convinzione che la violazione della clausola di ultrattività integri una “violazione di natura contrattuale”, che il singolo lavoratore può far valere con autonoma domanda, dubitandosi perfino della legittimazione al riguardo dell’organizzazione sindacale.
35. Tali affermazioni risultano non conformi a diritto.
36. L’assunto della natura contrattuale della violazione della clausola di ultrattività non tiene conto della univoca giurisprudenza di questa Corte in tema di plurioffensività della condotta antisindacale.
37. Si è più volte affermato come l’eventuale plurioffensività di una condotta antisindacale comporti la possibile autonoma coesistenza delle due azioni (quella collettiva ed individuale), senza reciproche interferenze (Cass. n. 18539 del 2015; Cass. n. 16930 del 2013; Cass. n. 10339 del 1997; v. altresì Corte cost. n. 860 del 1988).
Infatti, l’azione esercitabile dai sindacati ai sensi della legge n. 300 del 1970, art. 28, è distinta ed autonoma rispetto alle azioni che possono esercitare i lavoratori a tutela dei propri diritti individuali eventualmente colpiti dagli stessi comportamenti antisindacali denunciati dal sindacato, essendo diversi sia la causa pretendi sia, almeno ontologicamente, il petitum, né l’eventuale giudicato può esplicare efficacia riflessa.
38. Inoltre, come chiarito da questa Corte a partire dalla sentenza delle S.U. n. 5295 del 1997, “Per integrare gli estremi della condotta antisindacale di cui all’art. 28 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970) è sufficiente
che tale comportamento leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, non essendo necessario (ma neppure sufficiente) uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro né nel caso di condotte tipizzate perché consistenti nell’illegittimo diniego di prerogative sindacali (quali il diritto di assemblea, il diritto delle rappresentanze sindacali aziendali a locali idonei allo svolgimento delle loro funzioni, il diritto ai permessi sindacali), né nel caso di condotte non tipizzate ed in astratto lecite, ma in concreto oggettivamente idonee, nel risultato, a limitare la libertà sindacale, sicché ciò che il giudice deve accertare è l’obiettiva idoneità della condotta denunciata a produrre l’effetto che la disposizione citata intende impedire, ossia la lesione della libertà sindacale e del diritto di sciopero”.
39. Questa Corte (Cass. n. 21537 del 2019 non massimata), con riferimento ad un’azione proposta ai sensi dell’art. 28 St. Lav., ha affermato la rilevanza ai fini della condotta antisindacale della “illegittimità della disdetta unilaterale del contratto applicato da parte del datore prima della sua scadenza” ed ha ribadito “quanto al thema disputandum dell’anticipata disdetta e della vincolatività del termine di scadenza del contratto sostituito, e quindi al suo valore ostativo o meno alla stipulazione di nuovo contratto, che nessun principio o norma dell’ordinamento induce a ritenere consentita l’applicazione di un nuovo CCNL prima della prevista scadenza di quello in corso di applicazione, che le parti si sono impegnate a rispettare”.
40. La Corte di merito non si è attenuta a tali principi nel momento in cui ha negato rilevanza, ai fini della antisindacalità della condotta, alla violazione della clausola di ultravigenza da parte della società datoriale, peraltro posta in essere proprio nel periodo di rinnovo contrattuale, ritenendo la portata oggettiva di detta violazione elisa dal dato della mera partecipazione dell’organizzazione sindacale alle trattative per il rinnovo (esitate, peraltro, nella conclusione di un contratto integrativo aziendale non sottoscritto dalla O.S. ricorrente).
41. Risultano quindi fondati, nei limiti appena esposti, i motivi quarto, sesto, settimo e decimo del ricorso principale.
42. Il nono motivo risulta inammissibile in quanto le censure esposte, sotto il profilo di violazione dell’art. 112 c.p.c., fanno riferimento ad una ulteriore condotta antisindacale, relativa alle “anomale e ostili modalità di conduzione e alla repentina e ingiustificata interruzione della trattativa di rinnovo da parte della società intimata verso la O.S. ricorrente”, senza che sia specificato nel ricorso in esame in che termini e in quali atti processuali tali domande e deduzioni, di cui non vi è traccia nella sentenza impugnata, siano state svolte.
43. Costituisce affermazione costante di questa Corte che, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. n. 23675 del 2013; n. 20703 del 2015; n. 18795 del 2015; n. 11166 del 2018).
44. L’undicesimo motivo, concernente la regolazione delle spese di lite, risulta assorbito.
45. Per le ragioni esposte, i motivi quarto, sesto, settimo e decimo del ricorso principale devono essere accolti nei limiti di cui in motivazione, risultando infondati i primi tre motivi, assorbito l’undicesimo motivo e inammissibili i restanti motivi. Va respinto il ricorso incidentale. La sentenza impugnata deve quindi essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla medesima Corte d’appello, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame della fattispecie alla luce dei principi di diritto richiamati, oltre che alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
46. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Accoglie i motivi quarto, sesto, settimo e decimo del ricorso principale, rigetta i primi tre motivi, dichiara assorbito l’undicesimo motivo e inammissibili i restanti motivi. Rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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