CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 settembre 2019, n. 23068
Tributi – ICI – Delibera di applicazione di aliquota maggiorata – Poteri del giudice tributario – Disapplicazione incidentale della delibera tariffaria
Fatti di causa
La Immobiliare P. s.p.a. proponeva ricorso per cassazione articolato in tre motivi avverso la sentenza della CTR della Liguria in data 11.4.2016 che accoglieva parzialmente l’appello (riducendo l’imposta applicata su alcuni immobili) avverso la sentenza di primo grado, reiettiva di impugnazione di avviso di accertamento notificatole dal Comune di Genova per ICI 2008.
Il Comune di Genova resisteva con controricorso e depositando altresì memoria ex art. 378 c.p.c..
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 comma 5 del d.lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Il G.T. ha ritenuto di non poter disapplicare la delibera di giunta comunale di approvazione delle aliquote maggiorate al 9 per mille”, parte ricorrente censurava la sentenza impugnata nella parte in cui aveva respinto il sesto motivo di appello, affermando di non avere il potere di disapplicare la delibera di Giunta comunale di approvazione delle aliquote maggiorate ICI al 9 per mille.
Con il secondo motivo di ricorso, rubricato “Nullità della sentenza o del procedimento in violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. Omessa pronuncia sulla sospensione necessaria del processo per pendenza del giudizio sulle rendite”, parte ricorrente deduceva l’erroneità della sentenza impugnata laddove ometteva qualsivoglia pronuncia sulla dedotta necessaria sospensione del presente giudizio per pregiudizialità del, pure pendente, giudizio sulle rendite.
Con il terzo motivo di ricorso, rubricato “Nullità della sentenza o del procedimento in violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c., omessa pronuncia sulla effettiva sussistenza di obiettive condizioni di incertezza della norma tributaria al fine di escludere le sanzioni”, parte ricorrente deduceva che la CTR aveva omesso di pronunciarsi sulla richiesta della contribuente di essere esclusa dalle sanzioni per sussistenza di obiettive condizioni di incertezza della norma tributaria.
Il primo motivo è infondato.
Va a riguardo premesso che “Il potere del giudice tributario di disapplicare tutti gli atti amministrativi illegittimi costituenti presupposto per l’imposizione, e non soltanto quelli a contenuto normativo o generale, come disposto dall’art. 7, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, costituisce espressione di un principio generale dell’ordinamento, contenuto nell’art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, anche prima dell’espresso riconoscimento, operato dall’art. 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, con l’introduzione del nuovo testo dell’art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, di un generale potere di decidere “incidenter tantum” su questioni attribuite alla competenza di altre giurisdizioni. Peraltro il potere del giudice tributario di disapplicare gli atti presupposti non può prescindere completamente dai motivi di impugnazione dedotti in relazione all’atto impugnato, ma deve essere effettuato con riferimento alla domanda del contribuente, alla luce di quanto disposto dall’art. 7, ultimo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (vedi Cass., Sez. 5, n. 6724/2012)”.
Premesso, quindi, che la CTR ha effettivamente errato nel ritenere di non avere competenza per la disapplicazione incidentale della delibera tariffaria, nella specie, tuttavia, trattandosi di questione di puro diritto, questa disapplicazione va esclusa in questa sede, dal momento che legittimamente il Comune di Genova (ad alta tensione abitativa) aveva applicato l’aliquota massima del 9 x 1000 sugli appartamenti non locati con contratti registrati da almeno due anni, così come consentito dall’art. 2 L. 431/98 e dall’articolo 14 del regolamento comunale lci (unità “non utilizzate”).
Né la legge, né il regolamento prevedevano che questa disposizione non si applicasse alle società immobiliari.
Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.
Parte ricorrente lamenta la mancata pronuncia della Ctr circa il motivo di appello afferente la dedotta pregiudizialità del giudizio di impugnazione delle rendite catastali rispetto al giudizio riguardante la debenza dell’ICI per l’anno 2008.
Sul punto, la sentenza impugnata statuisce che “le rendite prese a riferimento dal comune (A/2) non sono state impugnate e pertanto devono ritenersi valide a tutti gli effetti di legge. Come si desume dagli atti, gli immobili in oggetto sono iscritti in catasto edilizio urbano con assegnazione della categoria catastale in via definitiva e non vi è prova che in epoca anteriore avessero assegnato una categoria diversa”.
A prescindere dal riconoscimento anche nel rito tributario della sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c. (vedi a riguardo Cass., Sez. 5, n. 21765/2017; Cass., Sez. 6-5, n. 421/2014), va tuttavia rilevato che, come eccepito dal Comune di Genova nella memoria ex art. 378 c.p.c., sulla questione pregiudicante della definitività della rendita catastale si è formato un giudicato esterno.
Ed invero, come si ricava dalla sentenza emessa dalla Sez. 5, n. 14910/2016, che si è pronunciata sulla medesima questione in un giudizio tra le stesse parti, riguardante un avviso di accertamento emesso in relazione ai medesimi immobili sia pure per l’annualità 2004, la S.C. ha escluso ogni vincolo di pregiudizialità del giudizio sulla debenza dell’ICI con l’accertamento di rendita, perché quest’ultima doveva ritenersi già coperta da giudicato della CT di I grado di Genova n.260/1982 sull’accertamento lei 2002 per i medesimi immobili di c.so Belvedere.
Nella pronuncia citata la S.C. statuisce invero che “Alla luce di tale correlazione, emerge come il problema della mancata notificazione (in regime previgente l’anno 2000) e della mancata definitività del nuovo classamento catastale da A3 (risalente al 26.7.79) ad A2 debba ritenersi superato dalla definitività con la quale quest’ultimo classamento è stato invece acciarato – su istanza della medesima società contribuente, ed anche nei confronti dell’agenzia del territorio – dalla commissione tributaria di primo grado di Genova (sent.sez.9 dell’il maggio 1982 n.260, su ricorsi nn.rg da 7142/1 a 7142/81). Con conseguente formazione, sul punto, di un giudicato esterno tra le parti; suscettibile di rilievo d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio”.
Pertanto, pur avendo la CTR effettivamente omesso di pronunciarsi sull’istanza di sospensione, tuttavia di tale sospensione non sussistevano i presupposti, essendosi ormai formato un giudicato esterno sulla questione pregiudicante della rendita catastale A2.
Parimenti infondato è il terzo motivo di ricorso.
In punto di applicazione delle sanzioni, invero, non sussiste un’ipotesi di omessa pronuncia, atteso che il giudice di appello ha effettuato una specifica valutazione in ordine all’an dell’irrogazione delle sanzioni in ragione della “gravità delle violazioni”, decidendo altresì sulla congruità della loro misura.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese inerenti al giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico della società ricorrente secondo il principio della soccombenza.
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso;
– condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2900,00, oltre rimborso forfettario ed accessori di legge;
– v.to l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
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