CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 settembre 2019, n. 23115
Rapporto di lavoro – Dipendente a tempo indeterminato del MIUR – Adesione al “fondo espero” – Passaggio volontario in regime di TFS al regime di TFR
Fatti di causa
1. A.L. ha adito il Tribunale di Nocera inferiore e, premesso di essere dipendente a tempo indeterminato del MIUR in regime di TFR in virtù dell’opzione contrattuale esercitata con l’adesione al cosiddetto “fondo espero” che consentiva, appunto, il passaggio volontario dei dipendenti in regime di TFS al regime di TFR, chiedeva la ripetizione dell’importo del 2,50% mensile che assumeva illegittimamente trattenuto sul proprio stipendio in quanto non più giustificato.
2. La Corte d’appello di Salerno, in riforma della sentenza del tribunale, rigettava la domanda. Argomentava che la trattenuta operata dal Ministero era da considerarsi legittima perché prevista dalla normativa risultante dall’art. 26 comma 19 della I. n. 448 del 1998 e dal successivo DPCM 20/12/1999.
3. Avverso la sentenza A.L. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui ha resistito il MIUR con controricorso.
Ragioni della decisione
4. Con i motivi di ricorso la ricorrente deduce, in via pregiudiziale, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 26 comma 19 della legge n. 448 del 1998, per violazione degli articoli 3 e 36 della Costituzione. Sostiene che tale disposizione, dalla quale è promanato il D.P.C.M. del 20/12/1999 – che stabilisce al comma tre che per assicurare l’invarianza della retribuzione netta complessiva e di quella utile ai fini previdenziali dei dipendenti nei confronti dei quali si applica quanto disposto dal comma due, la retribuzione lorda viene ridotta in misura pari al contributo previdenziale obbligatorio soppresso e contestualmente viene stabilito un recupero in misura pari alla riduzione attraverso un
corrispondente incremento figurativo ai fini previdenziali – confliggerebbe con i richiamati precetti costituzionali.
5. Deduce, quindi, violazione e falsa applicazione dell’articolo 437, secondo comma, cod.proc.civ., in combinato disposto con l’articolo 112 cod.proc.civ., e lamenta che la sentenza gravata abbia omesso di valutare l’eccezione sollevata nella memoria difensiva in appello che rilevava come con la difesa innanzi al giudice di prime cure il MIUR si fosse limitato ad eccepire V estinzione del giudizio ai sensi del d.l. n. 185 del 2012 e della I. n. 228 del 2012 senza contrastare la domanda sulla base della normativa poi applicata nella sentenza gravata.
6. Infine, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 36 della Costituzione e dell’art. 2120 c.c. e lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto legittima l’applicazione di una norma contenuta in un provvedimento di natura regolamentare, che riproduce il contenuto della legge oggetto della pronuncia di incostituzionalità contenuta nella sentenza n. 223 del 2012.
7. Il ricorso non è fondato.
Con riguardo al secondo motivo, da esaminarsi per primo in quanto logicamente preliminare, basta qui ribadire che il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente i fatti posti a base della domanda o delle eccezioni e di individuare le norme di diritto conseguentemente applicabili, anche in difformità rispetto alle indicazioni delle parti, incorrendo nella violazione del divieto di ultrapetizione soltanto ove sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio dalle parti (Cass. n. 13945 del 03/08/2012, n. 5153 del 21/02/2019). Correttamente quindi la Corte d’appello ha sottoposto al proprio vaglio la correttezza della soluzione adottata dal Tribunale, a ciò investita dall’appello del MIUR che la contestava, senza che tale facoltà fosse preclusa al Ministero dalle difese in diritto assunte in primo grado.
8. La problematica posta con gli altri due motivi è stata esaminata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 213 del 2018, che ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 19, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, per violazione degli artt. 3 e 36 Cost., nella parte in cui, nel disciplinare il passaggio dei lavoratori alle dipendenze delle PP.AA. dal trattamento di fine servizio al trattamento di fine rapporto, ha demandato a un D.P.C.M. il compito di definire, ferma restando l’invarianza della retribuzione complessiva netta e di quella utile ai fini pensionistici, gli adeguamenti della struttura retributiva e contributiva conseguenti all’applicazione del trattamento di fine rapporto. La Consulta ha argomentato che il principio dell’invarianza della retribuzione netta, con i meccanismi perequativi tratteggiati in sede negoziale, mira proprio a garantire la parità di trattamento, nell’ambito di un disegno graduale di armonizzazione, e non contrasta, pertanto, con il principio di eguaglianza, né determina la violazione del diritto a una retribuzione sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, in ragione del trattamento complessivo previsto e non già della ponderazione di una sua singola componente.
9. Segue coerente il rigetto del ricorso.
10. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
11. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.200,00 per compensi professionali, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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