CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 agosto 2020, n. 17219
Licenziamento per soppressione del posto di lavoro – Esternalizzazione dell’ufficio di gestione del personale – Elementi probatori – Mancata assunzione di dipendenti e disdetta del contratto di software in uso per l’elaborazione delle retribuzioni – Nesso causale tra l’accertata ragione inerente l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro come dichiarata dall’imprenditore – Riferibilità dell’intimato licenziamento in termini di e di coerenza rispetto all’operata ristrutturazione
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 12 marzo 2018, la Corte d’Appello di Brescia ha confermato la decisione resa in sede di opposizione dal locale Tribunale, che aveva respinto il ricorso proposto da S. F. nei confronti della L. S.p.A. avente ad oggetto il licenziamento per giustificato motivo oggettivo per soppressione del posto di lavoro intimatole sul presupposto dell’esternalizzazione dell’ufficio di gestione del personale cui era precedentemente addetta.
Il giudice di secondo grado, nel reputare congrua la motivazione del Tribunale, ha valorizzato gli elementi probatori raccolti, inerenti, in particolare, la mancata assunzione di dipendenti a partire dall’avvio della procedura, la disdetta del contratto di software in uso per l’elaborazione delle retribuzioni, la regolare assunzione di una delle dipendenti licenziate presso altro studio assegnatario delle relative attribuzioni in seguito alla esternalizzazione.
Ha ritenuto, quindi, il Collegio l’effettività della procedura di esternalizzazione del servizio, anche alla luce dell’intervenuto licenziamento di tutte e tre le addette all’Ufficio di gestione del personale e la conseguente insindacabilità della scelta datoriale al riguardo.
1.1. Per la cassazione della sentenza propone ricorso S. F., affidandolo a due motivi.
1.2. Resiste, con controricorso, la L. S.p.A.
Considerato in diritto
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 111 comma 6 della Costituzione e 132 comma 2, n. 4 cod. proc. civ. per essere la motivazione manifestamente contraddittoria e, sostanzialmente, apparente, in violazione dello stesso minimo costituzionale.
Il motivo non può trovare accoglimento.
1.1. Va rilevato, al riguardo, che, per consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. n. 29721 del 15/11/2019) se è vero che in tema di contenuto della sentenza, la concisione della motivazione non può prescindere dall’esistenza di una pur succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione impugnata, nondimeno, può configurarsi una assenza di motivazione in termini di motivo di nullità della sentenza soltanto qualora non sia possibile individuare il percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione ed alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione.
In particolare, può ritenersi nulla, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., la motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame (sul punto, Cass. n. 27112 del 25/10/ 2018).
1.2. Nel caso di specie, la Corte d’Appello, ha dato conto del proprio iter argomentativo in modo ampio così non incorrendo nel vizio di cui all’art. 132 comma 2, n. 4 cod. proc. civ. ed ha motivato in ordine alla ritenuta insussistenza degli estremi per una falsa esternalizzazione con motivazione che, in quanto immune da vizi logici, è sottratta al sindacato di legittimità. In particolare, nel sottolineare come nessuna assunzione fosse stata operata dalla società controricorrente in seguito all’affidamento della gestione del personale allo studio M., per effetto della procedura di esternalizzazione, la Corte ha evidenziato l’intervenuto licenziamento di tutte e tre le addette all’Ufficio gestione originariamente presenti in azienda e la mancanza di assunzioni a decorrere dal 2014.
Ha poi riportato le dichiarazioni testimoniali assunte in primo grado ed ha escluso che potesse condividersi la tesi di parte ricorrente secondo cui l’Ufficio gestione del personale della L. S.p.A. non sarebbe stato esternalizzato, bensì riorganizzato con il licenziamento della ricorrente F. e dell’altra dipendente, la signora F., ma con il mantenimento in servizio della C. solo formalmente assunta dallo studio M..
A tali conclusioni la Corte è giunta mediante esame delle dichiarazioni rese in giudizio, in particolare da F. G. e G.M., dichiarazioni dalle quali ha evinto l’effettività della procedura di esternalizzazione e, quindi, la legittimità del licenziamento. Il Collegio, ha, poi, ritenuto le conclusioni raggiunte suffragate da ulteriori indici rilevatori di quella che ha reputato qualificarsi come una legittima operazione di esternalizzazione dell’Ufficio deputato alla gestione del personale, quali la disdetta del contratto di fornitura del software in uso per l’elaborazione delle retribuzioni, la cessazione delle assunzioni a seguito dei licenziamenti, il costo aziendale del servizio, notevolmente superiore a quello negoziato con il dottor M..
1.3. Orbene, parte ricorrente, nel riportare interi passi delle testimonianze assunte in primo grado, e nel proporre una diversa interpretazione delle risultanze istruttorie, da cui discenderebbe una fittizia attività di esternalizzazione, chiede al giudice di legittimità di compiere una operazione che è allo stesso preclusa collocandosi interamente nell’ambito della valutazione delle prove, estranea al giudizio di legittimità anche là dove se ne sostenga l’erroneità, trattandosi di vizio non previsto dalla tassonomia di quelli denunciabili con ricorso per cassazione (sul punto, ex plurimis, Cass. n. 25166 del 08/10/2019).
Deve infatti ribadirsi, al riguardo, che è al giudice del merito che spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge, talché, la parte, con il ricorso per cassazione, non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuaii e la ricostruzione delle fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (ex plurimis, Cass. n. 29404 del 7/12/2017).
2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’ art.360 co.1, n. 5 cod. proc. civ..
In particolare, parte ricorrente sostiene di aver evidenziato, sin dal primo grado, che non si fosse mai verificata la soppressione dell’Ufficio del personale e che, in verità, la dipendente C. fosse stata assunta presso lo studio M. solo formalmente in quanto di fatto rimasta alle dipendenze della L. S.p.A.
2.1. Va premesso, con riguardo all’ancoramento delle censure all’art. 360 co.1, n. 5 cod. proc. civ., che non può prescindersi dalla previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 348 ter, comma 5, c.p.c., che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado”. Occorre poi rilevare che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ., disposto dall’art. 54 col, lett. b), del DL 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 è stata limitata la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità ( fra le più recenti, Cass. n. 23940 del 2017).
Nel caso di specie, in realtà, la Corte da conto nella propria motivazione, peraltro con esplicito richiamo alle testimonianze assunte in primo grado, delle ragioni che l’hanno indotta a reputare effettivamente esternalizzata l’attività e la C., licenziata e assunta in seguito dallo studio M..
Nel far ciò, il Collegio ha fatto buon governo dei principi espressi da questa Corte circa il controllo giudiziale sull’effettività del ridimensionamento e sul nesso causale tra la ragione addotta e la soppressione del posto di lavoro del dipendente licenziato, nonché sull’ulteriore limite al potere datoriale costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità e cioè identificato nella non pretestuosità della scelta organizzativa. E’ emerso, altresì, ad avviso del giudice di secondo grado, il nesso causale tra l’accertata ragione inerente l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro come dichiarata dall’imprenditore e l’intimato licenziamento in termini di riferibilità e di coerenza rispetto all’operata ristrutturazione (su cui, ex plurimis, Cass. 15 febbraio 2017, n.4015; Cass. 28 marzo 2019 n. 8661).
Deve, quindi, ritenersi aver la Corte accertato, con motivazione di fatto sottratta al sindacato di legittimità, che la riorganizzazione aziendale sia stata effettiva, che la stessa si ricollegasse causalmente alla ragione dichiarata dall’imprenditore e che il licenziamento si ponesse in termini di riferibilità e di coerenza rispetto all’operata ristrutturazione (sul punto, Cass. n. 31 maggio 2017, n. 13808; Cass. n. 29102 dell’11/11/2019).
3. Alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi, il ricorso va respinto.
3.1. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dell’ articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 4.500,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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