CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 agosto 2022, n. 24888

Dirigente medico – Prestazione professionale intramuraria – Quantificazione del compenso – Determinazione delle tariffe

Fatti di causa

1. Con sentenza del 29 dicembre 2015 la Corte d’Appello di Campobasso, in riforma della decisione resa dal Tribunale di Campobasso, rigettava la domanda proposta da G.V. nei confronti dell’A.S.R.M. – Azienda Sanitaria Regionale del Molise -, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità della trattenuta operata dalla predetta Azienda sanitaria nei confronti dell’istante, tecnico di laboratorio biomedico in servizio presso l’ospedale Cardarelli di Campobasso, a titolo di IRAP sulle somme erogate per le prestazioni rese nell’ambito del progetto «Mimosa» e, in generale, in regime di intra moenia e la condanna dell’Azienda sanitaria alla restituzione dei relativi importi.

2. La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto, disattesa l’eccezione di inammissibilità del gravame proposto dall’A.S.R.M. sollevata dalla V., essere ammissibile, in forza di una legittima e valida clausola di traslazione, far carico del pagamento dell’importo dell’IRAP di cui è gravata l’Azienda sanitaria al dipendente autorizzato all’esercizio dell’attività intra moenia, atteso che le retribuzioni corrisposte dal datore di lavoro, ivi comprese quelle erogate per l’attività libero professionale intramuraria, costituiscono la base imponibile dell’IRAP e, pertanto, la maggiore imposta che grava sull’Azienda integra un costo della prestazione professionale intramuraria che non può ricadere sulla collettività ma va detratta, secondo la previsione del regolamento, dal quantum, in quanto integra un costo per l’ente e che correttamente e con il consenso delle organizzazioni sindacali, risultante dai verbali di riunione del 22 ottobre e del 23 novembre 2004, l’A.S.R.M. aveva avviato, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 466/99, che aveva elevato l’aliquota all’8,5% del fatturato, ‘azione di recupero del costo per quella parte di IRAP pari al 3,5 del fatturato (in precedenza l’imposta era pari al 5%) non percepita dall’1.1.2000.

3. Per la cassazione di tale decisione ricorre la V., affidando l’impugnazione ad un unico motivo, cui resiste, con controricorso, l’A.S.R.M.

4. La causa, dapprima avviata alla trattazione camerale, è stata poi fissata in pubblica udienza in ragione dell’importanza delle questioni giuridiche coinvolte.

5. La Procura Generale ha concluso ex art. 23, comma 8 bis del d.l. n. 137/2020, convertito in legge n. 176/2020, per l’accoglimento del ricorso.

6. La ricorrente ha poi depositato memoria.

Ragioni della decisione

1. La ricorrente denuncia, con un unico motivo formulato ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., violazione dell’art. 1362 cod. civ. e deduce che l’atto negoziale doveva essere interpretato alla luce del quadro normativo vigente, secondo il quale l’IRAP è imposta che grava solo su chi esercita abitualmente un’attività autonoma organizzata e, pertanto, non poteva l’ente, violando la riserva relativa di legge, addebitare l’ammontare dell’imposta al dirigente, non costituendo la stessa un «costo diretto o indiretto» della prestazione. Aggiunge che la formula «imposte e tasse» che compare negli atti adottati dal Direttore Generale è equivalente a quella «imposte di legge» ritenuta da questa Corte, con la sentenza n. 20917/2013, non idonea ad operare una traslazione convenzionale dell’IRAP. Deduce, infine, che in assenza di uno specifico titolo attributivo del diritto «non sono validi gli accordi aziendali in base ai quali l’azienda sanitaria locale recupera dai medici l’IRAP sulle prestazioni rese in regime di intramoenia».

2. Il motivo di ricorso, pur presentando profili di inammissibilità nella parte in cui prospetta una diversa interpretazione degli accordi contrattuali e degli atti unilaterali valutati dal giudice d’appello, nella sostanza sollecita anche una pronuncia di questa Corte sulle modalità, imposte dal legislatore, attraverso le quali si deve giungere, in relazione all’attività libero professionale resa in regime di íntra moenia, alla quantificazione del compenso spettante ai dirigenti medici e sanitari per le prestazioni autorizzate rese.

Si sostiene, infatti, che sarebbe affetto da nullità l’accordo aziendale con il quale è realizzata, di fatto, la «traslazione» di un’imposta che deve gravare esclusivamente sull’Azienda sanitaria e che, di conseguenza, sarebbero illegittimi gli atti «di recupero» delle somme a tale titolo versate dall’Amministrazione e, poi, integralmente poste a carico del dirigente, attraverso la richiesta di restituzione di un importo pari a quello dell’imposta versata.

3. La censura, in tali termini formulata, impone di ricostruire il complesso quadro normativo e contrattuale, snodatosi a partire dalla legge 12 febbraio 1968, n. 132 (Enti ospedalieri e assistenza ospedaliera), che già aveva riconosciuto al personale medico degli istituti di cura e degli enti ospedalieri la possibilità, nelle ore libere dalle attività istituzionali, di svolgere la libera professione, anche nell’ambito della struttura sanitaria di appartenenza.

3.1. Tralasciando gli interventi normativi più risalenti nel tempo, che non rilevano ratione temporis nella fattispecie e dei quali dà conto, in motivazione, Corte Cost. n. 54/2015, occorre prendere le mosse dall’art. 15 quinquíes del d.lgs. n. 502/1992 che, in tutte le versioni succedutesi nel tempo, consente ai dirigenti sanitari con rapporto di lavoro esclusivo l’esercizio delle diverse tipologie di attività professionale, indicate nelle lettere da a) a d) del comma 2, e stabilisce che «le modalità di svolgimento delle attività di cui al presente comma e i criteri per l’attribuzione dei relativi proventi ai dirigenti sanitari interessati nonché al personale che presta la propria collaborazione sono stabiliti dal direttore generale in conformità alle previsioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro.».

3.2. L’art. 28 della legge n. 488/1999, che specificamente disciplina le modalità di determinazione delle tariffe e della partecipazione ai proventi dell’attività libero – professionale, al comma 5 stabilisce che «Le tariffe delle prestazioni libero -professionali, ivi comprese quelle di diagnostica strumentale e di laboratorio, erogate in regime ambulatoriale, sono determinate da ciascuna azienda in conformità ai criteri stabiliti dalle regioni e dai contratti collettivi nazionali di lavoro e sono a totale carico dei richiedenti. Per le predette prestazioni all’azienda compete il rimborso dei costi diretti ed indiretti sostenuti nonché una quota della tariffa nella misura stabilita dai contratti collettivi nazionali» ed al comma successivo aggiunge che, nel rispetto dei principi fissati dal legislatore, è riservato ai contratti collettivi nazionali di lavoro l’indicazione dei criteri per la determinazione dei proventi da corrispondere ai dirigenti sanitari per le prestazioni rese.

3.3. Sul tema della determinazione delle tariffe e della quantificazione dei compensi è poi intervenuto il d.P.C.M. 27 marzo 2000 che, all’art. 5, nell’indicare quale deve essere il contenuto dell’atto aziendale, ribadisce il rinvio alla contrattazione collettiva nazionale ed a quella decentrata, nei limiti delle rispettive competenze, ed aggiunge che una percentuale dei proventi, pari al 5% dell’intera massa, al netto delle quote a favore dell’azienda, deve essere destinato ad un fondo aziendale perequativo in favore delle discipline mediche e veterinarie che abbiano una limitata possibilità di esercizio della libera professione intramuraria.

3.4. Il principio secondo cui la determinazione delle tariffe e la ripartizione dei compensi devono essere concordemente stabilite e devono realizzare «l’integrale copertura di tutti i costi direttamente e indirettamente correlati alla gestione dell’attività libero-professionale intramuraria, ivi compresi quelli connessi alle attività di prenotazione e di riscossione degli onorati» è stato poi ribadito dalla legge n. 120/2007, art. 1, che, anche nella formulazione attuale, successiva alle modifiche apportate dal d.l. n. 158/2012, prevede che gli importi da corrispondere a cura dell’assistito devono, da un lato, remunerare il professionista, l’equipe e il personale di supporto, dall’altro assicurare la copertura di tutti i costi, diretti ed indiretti, sostenuti dalle aziende, ivi compresi quelli di ammortamento delle apparecchiature utilizzate per le prestazioni rese in regime libero-professionale.

3.5. Si tratta di un principio risalente nel tempo, che sta alla base della previsione, dettata dall’art. 3 della legge n. 724/1994, tuttora vigente (cfr. anche deliberazione n. 3/sezaut/2021/qmig della Sezione Centrale delle Autonomie della Corte dei Conti), di una contabilità separata per la gestione delle camere a pagamento e delle prestazioni ambulatoriali, che deve tener conto di tutti i costi, diretti ed indiretti, con obbligo posto a carico del Direttore generale di assumere i provvedimenti necessari in caso di riscontrato disavanzo ( recita il comma 7 della disposizione richiamata: « Nel caso in cui la contabilità separata di cui al comma 6 presenti un disavanzo, il direttore generale è obbligato ad assumere tutti i provvedimenti necessari, compresi l’adeguamento delle tariffe o la sospensione del servizio relativo alle erogazioni delle prestazioni sanitarie. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche alle prestazioni ambulatoriali fornite a pazienti solventi in proprio.»)

3.7. La contrattazione collettiva nazionale ha tenuto conto delle indicazioni date dal legislatore e già con l’art. 57 del CCNL 8.6.2000 per l’area della dirigenza medica e veterinaria del Servizio Sanitario Nazionale nonché con l’analogo art. 57 del CCNL 8.6.2000 per l’area della dirigenza sanitaria non medica, oltre a richiamare significativamente l’art. 3 della legge n. 724/1994 ( comma 2, lett. e), ha ribadito il principio della determinazione concordata delle tariffe e dei proventi (l’art. 57 rinvia all’art. 54, comma 1, che a sua volta richiama la competenza della contrattazione integrativa, legittimata, dall’art. 4, comma 2, lett. g, a stabilire « criteri generali per la definizione dell’atto di cui all’art. 54, comma 1 per la disciplina e l’organizzazione dell’attività libero professione intramuraria nonché per l’attribuzione dei relativi proventi ai dirigenti interessati») e, per quel che qui rileva, ha precisato che le tariffe « devono essere remunerative di tutti í costi sostenuti dalle aziende e devono, pertanto, evidenziare le voci relative ai compensi del libero professionista, dell’équipe, del personale di supporto, i costi – pro quota – anche forfetariamente stabiliti – per l’ammortamento e la manutenzione delle apparecchiature».

3.7. La disciplina contrattuale è rimasta sostanzialmente immutata nel tempo ed è stata ripresa anche dal più recente CCNL per il triennio 2016/2018 che, nel ribadire la necessità di tener conto nella determinazione delle tariffe e dei compensi dei costi sostenuti dall’Azienda, ha rinviato all’art. 1, comma 4, lett. c) della legge n. 120/2007, che, si è già detto, richiama tutti i costi, diretti ed indiretti, connessi all’esercizio dell’attività professionale.

4. Dal quadro normativo e contrattuale sopra richiamato nonché dalle disposizioni, che non rilevano specificamente in questa sede, inerenti alle modalità ed ai limiti nel rispetto dei quali l’attività professionale può essere resa (in relazione alle quali si rinvia alla motivazione di Cass. n. 6153/2022), si desume che attraverso la previsione dell’attività libero professionale intramuraria il legislatore, da un lato, ha inteso incentivare il rapporto di lavoro esclusivo e potenziare le capacità del sanitario, nell’interesse degli utenti e della collettività (così in motivazione la citata Corte Cost. n. 54/2015), dall’altro ha dettato una serie di prescrizioni volte principalmente ad impedire che l’intra moenia possa pregiudicare l’attività istituzionale e risolversi in un aggravio di spesa per gli enti del servizio sanitario nazionale.

Infatti l‘attività, seppure definita libero professionale, rientra fra le prestazioni connesse al rapporto di impiego e svolte in ragione della posizione dirigenziale ricoperta (in tal senso cfr. Cass. n. 4849/2019), sicché la disciplina dettata si risolve in una deroga al principio di onnicomprensività del trattamento economico dirigenziale, fissato dall’art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 165/2001, deroga che in tanto può essere invocata in quanto si sia in presenza delle condizioni richieste dalla legge e dalla contrattazione collettiva e risultino rispettati i limiti da queste imposti.

5. Venendo al tema che più specificamente rileva nella fattispecie, ossia quello dell’incidenza dell’IRAP dovuta dalle Aziende sui compensi corrisposti al personale per le prestazioni rese in regime libero professionale, occorre ribadire in premessa il principio, già affermato da questa Corte, secondo cui l’imposta regionale sulle attività produttive, che presuppone «l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi» ( art. 2 della legge n. 446/1997), grava sull’azienda sanitaria e non sul dipendente che rende la prestazione (Cass. n. 199/2016; Cass. 2333/2016; Cass. n. 155/2020).

Ciò implica che, come affermato dalle pronunce citate, l’ammontare dell’imposta non può essere oggetto di «traslazione», nel senso che l’Azienda non può pretendere di porla ad esclusivo carico del dipendente, una volta determinate le quote rispettivamente spettanti, e detrarla dal compenso a quest’ultimo dovuto, perché in tal caso e, a maggior ragione nell’ipotesi in cui si chieda la restituzione di somme già corrisposte, si finirebbe per far gravare l’obbligo impositivo su un soggetto diverso da quello che esercita l’attività produttiva del servizio.

5.1. Il principio, qui ribadito, va, peraltro, correttamente inteso, perché dallo stesso non discende l’assoluta irrilevanza dell’ammontare dell’imposta ai fini della determinazione delle tariffe e delle quote rispettivamente spettanti all’Azienda e al sanitario che rende la prestazione professionale.

Si è già detto, nel ricostruire il quadro normativo e contrattuale, che l’attività libero professionale in regime di intra moenia non può risolversi in un aggravio di costi per il Servizio Sanitario Nazionale, tenuto, quanto agli aspetti contabili della gestione, al rispetto del principio del necessario pareggio.

Tutte le disposizioni richiamate nei punti che precedono obbligano le aziende e le parti collettive a tener conto, dapprima in sede di contrattazione decentrata e, poi, nell’adozione degli atti datoriali che le indicazioni concordate recepiscono, dell’ammontare complessivo dei costi, diretti e indiretti, che gravano sull’Azienda, ossia di tutte le voci di spesa che, a livello contabile, derivano, direttamente o indirettamente, dall’attività intramuraria, fra le quali rientra il maggior importo dell’imposta che l’Azienda è tenuta a versare in conseguenza dell’aumento della base imponibile determinata ai sensi dell’art. 10 bis della legge n. 446/1997.

Quell’importo va apprezzato sia nella determinazione delle tariffe, che devono essere satisfattive delle spese e delle quote rispettivamente spettanti alle parti del rapporto, sia nella ripartizione di quanto incassato per effetto dell’attività intramuraria, ripartizione che deve essere effettuata sulla quota che residua dopo avere assicurato la copertura delle spese.

In altri termini, così come accade in altri comparti della Pubblica Amministrazione, dell’IRAP occorre tener conto ai fini della copertura degli oneri del personale e della determinazione della provvista (cfr. Cass. n. 21398/2019), nel rispetto dei principi sui quali si incentra il d.lgs. n. 165/2001, le cui disposizioni, pur nella diversità delle formulazioni succedutesi nel tempo, hanno sempre perseguito l’obiettivo di armonizzare l’avvenuta contrattualizzazione del rapporto di impiego pubblico con l’esigenza primaria di garantire il controllo ed il contenimento della spesa, esigenza dalla quale derivano, da un lato, il divieto per il datore di corrispondere trattamenti economici che non trovino fondamento nella contrattazione collettiva o nella legge (ciò, perché entrambe dette fonti presuppongono la previa valutazione della sostenibilità finanziaria), dall’altro la previsione di nullità delle clausole della contrattazione integrativa non compatibili con i vincoli di bilancio delle amministrazioni.

5.2. Sulla base dei richiamati principi, pertanto, non si ravvisa alcuna violazione di norma imperativa nell’ipotesi in cui la contrattazione integrativa e gli atti regolamentari che la stessa recepiscono prevedano la detrazione dal quantum ripartibile del maggior importo gravante sull’Azienda a titolo di IRAP, posto che una previsione siffatta non realizza una non consentita traslazione dell’imposta, che resta a carico dell’ente, bensì attua il principio, al quale più volte si è fatto riferimento, secondo cui dall’esercizio dell’attività libero professionale non devono derivare oneri aggiuntivi per il Servizio Sanitario Nazionale.

5.3. Dei richiamati principi occorre, poi, tener conto per risolvere la questione, che in questa sede viene in rilievo, dell’individuazione della parte sulla quale devono ricadere le conseguenze dell’aumento di costi non apprezzati nella determinazione delle tariffe e, nello specifico, della variazione in aumento dell’aliquota IRAP.

Dal ruolo riservato alla contrattazione collettiva nella determinazione delle tariffe e dei compensi discende, innanzitutto, che gli atti adottati non possono essere modificati unilateralmente dal datore (cfr. Cass. n. 22692/2018 e Cass. n. 32333/2018), il che esclude che l’Azienda possa, senza previo intervento della contrattazione integrativa, ridurre l’ammontare dei compensi dovuti al dirigente per l’attività professionale già prestata.

Ferma la necessaria condizione del rispetto delle forme richieste dalla contrattazione collettiva, è parimenti da escludere che l’aumento dell’aliquota possa gravare solo sul professionista che ha reso la prestazione perché, tenuto conto di quanto si è detto sulle ragioni per le quali l’incidenza IRAP deve essere apprezzata e sui limiti dell’apprezzamento nonché sulle modalità attraverso le quali lo stesso si realizza, affinché non si determini di fatto una non consentita traslazione dell’imposta è necessario che il maggior costo venga ripartito fra entrambe le parti del rapporto, con riduzione proporzionale delle rispettive quote.

5.4. La sentenza impugnata, che ha ritenuto legittima la traslazione dell’imposta, senza verificare l’avvenuto rispetto da parte dell’Amministrazione delle condizioni e dei limiti sopra indicati, va, pertanto, cassata con rinvio alla Corte territoriale indicata in dispositivo che procederà ad un nuovo esame, attenendosi ai principi di diritto che, sulla base delle considerazioni sopra esposte, di seguito si enunciano: a) l’imposta regionale sulle attività produttive grava ai sensi della legge n. 446/1997 sul datore di lavoro pubblico che eroga il servizio e, pertanto, non sono legittimi atti unilaterali del datore di lavoro pubblico o pattuizioni collettive che ne prevedano la «traslazione» a carico del dipendente; b) la determinazione delle tariffe e la ripartizione dei compensi inerenti alle attività libero professionali rese dai dirigenti sanitari in regime di intra moenia, che le Aziende Sanitarie stabiliscono in conformità alle previsioni della contrattazione nazionale ( che a sua volta rinvia a quella integrativa decentrata), devono tener conto dei costi diretti ed indiretti sostenuti dalle Aziende stesse, ivi compreso il maggior esborso a titolo di IRAP derivante dall’aumento della base imponibile per effetto dell’attività libero professionale, importo che va detratto dal quantum ripartibile in quote fra le parti del rapporto; c) le Aziende Sanitarie non possono unilateralmente modificare i criteri di quantificazione dei compensi concordati in sede di contrattazione decentrata; d) il maggiore esborso, non previsto né prevedibile, derivato dalla maggiorazione dell’aliquota IRAP non può gravare sul solo personale medico e sanitario e deve essere ripartito fra il dipendente e l’azienda in rapporto alle rispettive quote di partecipazione alla suddivisione dei proventi dell’attività libero professionale.

6. Alla Corte territoriale è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità Non sussistono le condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Napoli.