CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 aprile 2019, n. 10851
Obbligo per la cooperativa di applicare ai propri soci lavororatori il CCNL Multiservizi in luogo del CCNL Commercio CISAL e del CCNL Portieri e Custodi – Diffide accertative per crediti patrimoniali – Settore merceologico del terziario/servizi solo in parte coincidente con l’oggetto sociale della cooperativa e sottoscritto da un’unica sigla sindacale, non risultante come comparativamente più rappresentativa a livello nazionale – CCNL Portieri e Custodi senza alcuna attinenza al settore o alla categoria del servizio oggetto di appalto – Obbligo ad applicare il trattamento economico e normativo previsto dai contratti collettivi per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni, tanto per il subappaltatore che per l’affidatario diretto dell’appalto
Fatti di causa
1. Con ricorso ex art. 414 cod. proc. civ., depositato il 20 maggio 2011, SSF soc. coop. e il suo legale rappresentante M. A. convenivano in giudizio avanti al Tribunale di Genova la Direzione Provinciale del Lavoro chiedendo che venisse accertata l’insussistenza dell’obbligo, per la cooperativa, di applicare il C.C.N.L. Multiservizi ai rapporti associativi e di lavoro instaurati con i dipendenti addetti ai servizi di portierato presso A.M.T. – A. Mobilità e Trasporti di Genova S.p.A.; che venisse invece accertato il diritto della stessa ad applicare ai propri soci lavoratori, per il trattamento economico minimo, il C.C.N.L. Commercio CISAL nel periodo tra il gennaio 2009 ed il 31 maggio 2009 ed il C.C.N.L. Portieri e Custodi nel periodo dall’1 giugno 2009 in poi, così come rispettivamente previsto dal Regolamento cooperativo del 27/12/2007 e dal Regolamento del 25/5/2009; chiedendo per l’effetto che fosse dichiarata l’illegittimità delle risultanze dell’accertamento ispettivo iniziato con l’accesso in data 12/11/2009 e che l’accertamento medesimo fosse annullato, con il conseguente annullamento degli atti connessi e derivati.
2. Il Tribunale, riuniti altri sei giudizi, respingeva il ricorso, confermando integralmente le diffide accertative della Direzione Provinciale del Lavoro di Genova, il decreto ingiuntivo ed i precetti emessi a favore dei soci lavoratori sulla base di atti di accertamento tecnico per crediti patrimoniali del Direttore della DPL, nonché condannando la Cooperativa a pagare ad altro socio lavoratore le differenze retributive risultanti dalla relativa diffida.
3. La sentenza era confermata, con la sola esclusione del regolamento delle spese di lite, dalla Corte di appello di Genova, con sentenza n. 206/2014, depositata il 17 luglio 2014.
4. La Corte osservava come entrambi i Regolamenti dovessero considerarsi illegittimi, alla stregua di una lettura sistematica delle disposizioni di cui agli artt. 3, commi 1 e 2, l. n. 142/2001 e 7, comma 4, l. n. 31/2008: in particolare, il C.C.N.L. Commercio CISAL riguardava un settore merceologico (quello del terziario/servizi) solo in parte coincidente con l’oggetto sociale della Cooperativa, diretto essenzialmente alla prestazione di servizi integrati nei più diversi ambiti operativi, ed inoltre era stato sottoscritto da un’unica sigla sindacale, che non risultava avere mai assunto nel settore la veste di organizzazione sindacale comparativamente più rappresentativa a livello nazionale; mentre il C.C.N.L. Portieri e Custodi non aveva alcuna attinenza al settore o alla categoria, cui si riferiva il servizio oggetto di appalto, trattandosi di contratto disciplinante il rapporto di lavoro dei dipendenti da proprietari di fabbricati.
5. La Corte rilevava inoltre: – come l’obbligo di adottare il C.C.N.L. Multiservizi, che stabiliva trattamenti economici minimi più favorevoli (secondo gli esiti dell’accertamento ispettivo e della consulenza tecnica d’ufficio disposta in primo grado), discendesse anche dalla concorrente disposizione di cui all’art. 118, co. 6, d.lgs. n. 163/2006, applicabile nel caso di specie per essere la stazione appaltante un’azienda pubblica, prevedendosi, con tale disposizione, l’obbligo di osservare integralmente il trattamento economico e normativo stabilito dai contratti nazionali e territoriali in vigore per il settore e per la zona di riferimento anche da parte dell’affidatario diretto dell’appalto e non da parte del solo subappaltatore; – come il C.C.N.L. Multiservizi fosse anche il contratto collettivo avente maggiore diffusione a livello locale, come risultava provato dalle dichiarazioni testimoniali rese in altra causa e acquisite al giudizio; – come il credito derivante dall’applicazione dello stesso fosse stato correttamente determinato dal consulente d’ufficio, in relazione ai minimi dovuti in relazione a tutti gli istituti, compreso il lavoro straordinario, posto che, sancendo l’art. 3 della l. n. 142/2001 l’obbligo di corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico non inferiore nel minimo a quello previsto dalla contrattazione collettiva, tale livello minimo doveva essere rispettato non soltanto per la retribuzione tabellare in senso stretto ma anche per le altre voci retributive che concorrono a formare il trattamento economico complessivo.
6. Hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza, con cinque motivi, SSF soc. coop. e M. A., in proprio e quale rappresentante della società.
7. Ha resistito con controricorso il Ministero del Lavoro – Direzione Territoriale del Lavoro di Genova.
8. Hanno altresì resistito con distinti controricorsi M. C. nonché G. S. e gli undici lavoratori indicati in epigrafe, gli altri essendo rimasti intimati.
9. Risulta depositata memoria illustrativa nell’interesse di S.S.F.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, deducendo la violazione o falsa applicazione dell’art. 118 del decreto legislativo n. 163/2006 e dell’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per avere la Corte territoriale interpretato la disposizione citata come relativa a fattispecie anche diverse dal subappalto, in contrasto con il criterio ermeneutico letterale (nel caso di specie riferito in particolare alla rubrica della norma) e con quello logico-teleologico.
2. Con il secondo, i ricorrenti denunciano la violazione o falsa applicazione dell’art. 2070 cod. civ., degli artt. 36 e 39 Cost., degli artt. 3 e 6 l. n. 142/2001, dell’art. 7, comma 4, l. n. 31/2008, nonché del C.C.N.L. Commercio CISAL e del C.C.N.L. Portieri e Custodi: in particolare, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata (a) per avere la Corte di merito ritenuto non conforme alle indicate disposizioni della l. n. 142/2001 e della l. n. 31/2008 il richiamo del Regolamento interno del 27/12/2007 al C.C.N.L. Commercio CISAL, in relazione al parametro retributivo minimo da riconoscersi ai soci lavoratori, sulla base della mera non perfetta coincidenza del settore merceologico di tale contratto collettivo con quello, più ampio, contenuto nell’oggetto sociale di Sicuritalia, sebbene nessuna delle norme richiamate contenesse un simile precetto e sebbene l’effettiva attività della società coincidesse con una parte del settore contemplato dal contratto; (b) per avere la Corte ritenuto non conforme alle medesime disposizioni il richiamo del Regolamento interno del 25/5/2009 al C.C.N.L. Portieri e Custodi, in relazione al parametro retributivo minimo da riconoscersi ai soci lavoratori, sull’erroneo rilievo che si tratterebbe di contratto collettivo applicabile ai soli dipendenti da proprietari di fabbricati, e quindi riferibile a settore merceologico diverso da quello cui è riconducibile l’attività della società, con la conseguenza di avere la Corte di appello anche trascurato il dato della sottoscrizione di tale contratto, così come previsto dall’art. 7, comma 4, l. n. 31/2008, dalle sigle sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale, quali le tre sigle sindacali confederali (CGIL, CISL e UIL); (c) per avere la Corte, nel ritenere il C.C.N.L. Multiservizi l’unico contratto collettivo applicabile ai soci lavoratori di Sicuritalia, dato rilievo al fatto che la società non aveva specificamente contestato né la maggiore rappresentatività delle organizzazioni sindacali stipulanti, né la riferibilità del contratto al settore interessato dall’appalto e la sua maggiore diffusività in ambito nazionale, nonché al fatto che lo stesso era economicamente più favorevole ai lavoratori rispetto a quello applicato, senza considerare che nessuna contestazione era necessaria, posto che il C.C.N.L. Portieri e Custodi era stato sottoscritto da organizzazioni sindacali aventi lo stesso grado di rappresentatività ed aveva un ambito di applicazione coincidente con l’attività svolta da Sicuritalia, anche presso l’Azienda appaltante, e senza considerare, quanto ai requisiti della maggiore diffusività e convenienza economica, che gli stessi non erano previsti dalla legge.
3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 2070 cod. civ. e degli artt. 36 e 39 Cost., per avere la Corte di merito imposto alla datrice di lavoro l’applicazione del C.C.N.L. Multiservizi nei rapporti con i soci lavoratori, sancendo in tal modo l’estensione dell’efficacia del predetto contratto a soggetti non vincolati, in contrasto con quanto previsto dall’art. 39 della Costituzione; ha sottolineato al riguardo come la previsione, da parte di alcuni contratti collettivi, di condizioni economiche meno favorevoli per i lavoratori non comportasse automaticamente la non congruità di tali trattamenti rispetto all’art. 36 Cost. e come nel caso di specie ogni verifica di congruità fosse stata omessa dalla Corte di merito.
4. Con il quarto motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. Ili Cost. e degli artt. 101 e 115 cod. proc. civ. in relazione al principio del diritto alla prova e del contraddittorio, in relazione all’art. 118, comma 6, del d.lgs. n. 163/2006, i ricorrenti censurano la sentenza per avere la Corte di appello ritenuto provata in giudizio la maggiore diffusione, anche in Liguria, per i settori di attività oggetto di appalto con A.M.T. S.p.A., del C.C.N.L. Multiservizi, sulla base di dichiarazioni testimoniali rese in altro giudizio e senza ammettere la prova richiesta dalla datrice di lavoro, nonostante la sua decisività, e trascurando di considerare che la norma richiamata, di cui all’art. 118 d.lgs. n. 163/2006, non contiene alcun riferimento a tale requisito bensì al mero vigore del contratto a livello nazionale e a livello locale (e cioè alla sua effettiva applicazione).
5. Con il quinto motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 62 e 191 cod. proc. civ., i ricorrenti si dolgono che la Corte avesse recepito gli esiti contabili della consulenza d’ufficio, nonostante il consulente non si fosse limitato a calcolare le ore come risultanti dalle buste paga ma avesse utilizzato il sistema di conteggio mensilizzato (retribuzione fissa tutti i mesi) ed inoltre avesse ricompreso nei propri conteggi le voci “lavoro festivo” e “lavoro straordinario” non contemplate nel quesito, con conseguente nullità della consulenza stessa.
6. Deve innanzitutto essere esaminata l’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione, formulata dal Ministero del Lavoro sul rilievo che il ricorso per cassazione era stato direttamente notificato alla Direzione Territoriale del Lavoro di Genova, con l’effetto di rendere tardiva – diversamente dall’ipotesi di una prima notifica presso l’Avvocatura distrettuale territorialmente competente in relazione alla sede del giudice di merito – la successiva notifica effettuata (peraltro tempestivamente, il 19/2/2015, a fronte di sentenza di appello notificata il 20/8/2014) presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
7. L’eccezione risulta infondata, alla stregua del principio di diritto, secondo il quale “la notifica del ricorso per cassazione alla parte personalmente e non al suo procuratore non determina l’inesistenza, ma la nullità della notificazione, sanabile ex art. 291, comma 1, cod. proc. civ. con la sua rinnovazione, oppure con l’intervenuta costituzione della parte destinataria, a mezzo del controricorso, secondo la regola generale dettata dall’art. 156, co. 2, cod. proc. civ., applicabile anche al giudizio di legittimità” (cfr., fra le numerose conformi, da ultimo Cass. n. 24450/2017).
8. Ciò premesso, si rileva che il primo motivo è, in primo luogo, inammissibile, avendo la Corte di appello fondato l’obbligo della società di applicare ai propri soci lavoratori un trattamento economico non inferiore a quello del C.C.N.L. Multiservizi sulla base della disciplina di cui agli artt. 3, commi 1 e 2, e 6 l. n. 142/2001, nonché di cui all’art. 7, comma 4, l. n. 31/2008 (cfr. sentenza impugnata, pp. 11-12), e non sulla base del solo art. 118, co. 6, d.lgs. n. 163/2006, alle cui previsioni ha attribuito una portata puramente aggiuntiva (p. 14) di un obbligo già chiaramente e autonomamente delineato alla stregua del predetto contesto normativo.
9. Come più volte precisato da questa Corte, “nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso sia accolto nella sua interezza, affinché si compia lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale mira alla cassazione della sentenza, ossia di tutte le ragioni che autonomamente la sorreggono. È sufficiente, pertanto, che anche una sola delle ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola di esse, perché il motivo di impugnazione debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni” (Cass. n. 4199/2002, fra le numerose conformi).
10. Il motivo in esame è comunque infondato.
11. E’, infatti, di chiara evidenza che l’art. 118 del d.lgs. n. 163/2006 (abrogato dal 19/4/2016), nel prevedere che “l’affidatario è tenuto ad osservare integralmente il trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono la prestazioni” (comma 6), si riferiva sia all’appaltatore che al subappaltatore, anche se la rubrica dell’articolo recava la dizione “subappalto, attività che non costituiscono subappalto e tutela del lavoro”.
12. Lo stesso testo del comma 6 offre, nella sua complessiva articolazione normativa, obiettivi elementi in tal senso, stabilendo che l’affidatario “è, altresì, responsabile in solido dell’osservanza delle norme anzidette da parte dei subappaltatori nei confronti dei loro dipendenti per le prestazioni rese nell’ambito del subappalto” ed inoltre prevedendo che “l’affidatario e, per suo tramite, i subappaltatori, trasmettono alla stazione appaltante prima dell’inizio dei lavori la documentazione di avvenuta denunzia agli enti previdenziali, inclusa la Cassa edile, assicurativi e antinfortunistici” nonché copia del piano di sicurezza: ciò che, unitamente a coerenti proposizioni normative contenute in altre parti dell’art. 118 (commi 1-4, 7 e 8), dimostra in modo univoco che il soggetto obbligato ad applicare il trattamento economico e normativo previsto dai contratti collettivi per il settore e per la zona, nella quale si eseguono le prestazioni, è tanto il subappaltatore come il titolare del contratto originario o affidatario diretto dell’appalto.
13. Converge, d’altra parte, con le conclusioni determinate dall’applicazione del criterio letterale, la considerazione dello scopo perseguito dal legislatore, quale obiettivamente emerge dall’insieme delle disposizioni di cui all’art. 118, e che – come esattamente posto in rilievo dalla Corte territoriale – è quello di evitare che l’aggiudicazione di un appalto, o di un subappalto, attraverso il meccanismo della migliore offerta economica induca un depauperamento delle condizioni economiche e normative dei lavoratori subordinati, che vi sono addetti, e di porre sullo stesso piano – in termini di concorrenza, anche rispetto al costo del lavoro – le imprese locali e quelle operanti su una diversa base territoriale.
14. Il secondo motivo è da ritenersi inammissibile in relazione al profilo sub (a), per le considerazioni già svolte (n. 9), posto che la Corte, nell’escludere la compatibilità del parametro retributivo previsto dal C.C.N.L. Commercio CISAL alle disposizioni di cui agli artt. 3 e 6 della l. n. 142/2001 e all’art. 7, comma 4, l. n. 31/2008, ha espresso due distinte ragioni decisorie e cioè, oltre alla soltanto parziale coincidenza del settore merceologico del contratto rispetto all’oggetto sociale di Sicuritalia, il fatto che esso fosse stato sottoscritto “da un’unica sigla sindacale, la Cisal, che non” risultava “avere mai assunto nel settore che qui viene in rilievo – né ciò” era stato “dedotto a prova dall’appellante – la veste di organizzazione sindacale comparativamente più rappresentativa a livello nazionale” (cfr. sentenza impugnata, p. 12): rilievi, questi, che, sebbene idonei a sorreggere in via autonoma la decisione, non hanno formato oggetto di alcuna censura da parte della società ricorrente.
15. Il secondo motivo è infondato quanto al profilo sub (b), avendo la Corte di merito esattamente definito e circoscritto l’ambito di applicazione del C.C.N.L. Portieri e Custodi come quello volto a regolare i rapporti di lavoro dei dipendenti da proprietari di fabbricati e/o loro consorzi, nonché i rapporti di lavoro degli addetti ad amministrazioni immobiliari e/o condominiali, secondo quanto previsto dall’art. 1 del medesimo contratto, così da esserne esclusa l’estensione ad attività rese in favore di imprese commerciali e rispetto a immobili e aree la cui proprietà faccia capo – come nella specie – a un soggetto diverso dalla datrice di lavoro, non rilevando in senso contrario la destinazione dello stabile ad usi diversi da quello di abitazione (art. 17, lett. a).
16. Il motivo, infine, risulta inammissibile nel profilo sub (c), per difetto di decisività della censura, essendo la Corte di appello pervenuta alla decisione di ritenere il C.C.N.L. Multiservizi l’unico applicabile ai soci lavoratori di Sicuritalia sulla scorta di un accertamento (di rispondenza del contratto ai requisiti di legge) fondato non già esclusivamente sulla mancata contestazione della sussistenza degli stessi ma su di una più ampia e articolata valutazione del materiale istruttorio acquisito al giudizio.
17. Il terzo motivo è infondato.
18. Il fatto che nel tempo sia stata attribuita alla contrattazione collettiva il ruolo di fonte regolatrice nell’attuazione della garanzia ex art. 36 Cost. non impedisce al legislatore di intervenire – come accaduto con le previsioni di cui all’art. 3, comma 1, l. n. 142/2001 e di cui all’art. 7, comma 4, l. n. 31/2008 – a fissare in modo inderogabile la retribuzione sufficiente; né tale attuazione per via legislativa dell’art. 36 comporta il riconoscimento di efficacia erga omnes del contratto collettivo ma la sua utilizzazione quale parametro esterno, con effetti vincolanti (cfr. Corte cost. n. 51/2015).
19. Come affermato dalla Corte costituzionale in tale sentenza, “nell’effettuare un rinvio alla fonte collettiva che, meglio di altre, recepisce l’andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le società cooperative, l’articolo censurato” (art. 7 d.l. n. 248/2007, convertito in l. n. 31/2008) “si propone di contrastare forme di competizione salariale al ribasso, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza (art. 36 Cost.) la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente più rappresentative”.
20. Ne consegue l’insussistenza di alcun rischio di lesione del principio di libertà sindacale e del pluralismo sindacale, posto che la scelta legislativa di dare attuazione all’art. 36 Cost., fissando standard minimi inderogabili validi sul territorio nazionale, e a tal fine generalizzando l’obbligo di rispettare i trattamenti minimi stabiliti dai contratti collettivi conclusi dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative nella categoria, non fa venir meno il diritto delle organizzazioni minoritarie di esercitare la libertà sindacale attraverso la stipula di contratti collettivi, ma limita nei contenuti tale libertà, dovendo essere comunque garantiti livelli retributivi almeno uguali a quelli minimi normativamente imposti. Parimenti, le singole società cooperative potranno scegliere il contratto collettivo da applicare ma non potranno riservare ai soci lavoratori un trattamento economico complessivo inferiore a quello che il legislatore ha ritenuto idoneo a soddisfare i requisiti di sufficienza e proporzionalità della retribuzione.
21. Il quarto motivo è inammissibile, sia perché, sotto un primo profilo, non dimostra la decisività dei capitoli di prova per testi non ammessi dalla Corte di merito, restando di conseguenza esente da censura il rilievo, contenuto nella sentenza impugnata, secondo il quale le relative circostanze sarebbero comunque irrilevanti ai fini del decidere, in quanto dirette a provare l’applicazione del (solo) C.C.N.L. Portieri e Custodi unicamente da parte di due sole aziende appaltatrici operanti nel Comune di Genova, né potendo trarsi conclusione diversa dalla mera evocazione dell’ipotesi, meramente probabilistica, di un accertamento di maggiore diffusione a livello locale fondato sul ricorso a presunzioni (art. 2727 cod. civ.); sia perché, sotto altro profilo, la Corte ha basato la mancata assunzione delle prove dedotte dalla società sul richiamo alla propria ricostruzione e interpretazione di un assetto normativo, rispetto al quale – come già osservato (n. 8) – la previsione, di cui all’art. 118, comma 6, d.lgs. n. 163/2006, si pone in veste puramente rafforzativa di un obbligo già autonomamente e compiutamente delineato, e sulla considerazione, di carattere assorbente, per la quale dette prove, ove pure ammesse, sarebbero ininfluenti, discendendo l’applicazione del C.C.N.L. Multiservizi dall’essere il contratto collettivo nazionale di settore sottoscritto dalle organizzazioni maggiormente rappresentative e, quindi, “obbligatorio ai fini della determinazione del trattamento economico minimo, ex art. 7 l. n. 31/2008” (cfr. p. 16).
22. Egualmente inammissibile è il quinto motivo, non risultando – nell’inosservanza del requisito di specificità di cui all’art. 366, comma Io, n. 6 cod. proc. civ. – che le dedotte critiche alla consulenza tecnica d’ufficio, disposta dal giudice di primo grado, fossero state proposte già nel corso delle operazioni peritali o all’esito delle stesse; ed inoltre dovendo rilevarsi come la questione del mancato rispetto, da parte del consulente d’ufficio, dei limiti del quesito devolutogli dal giudice sia superata alla stregua dell’accertamento della Corte di merito, la quale ha osservato (p. 13) che “avendo riguardo la disposizione di cui all’art. 3 l. n. 142/2001 al trattamento economico minimo non inferiore ai minimi previsti dalla contrattazione collettiva, detti minimali vanno rispettati non solo per la retribuzione tabellare in senso stretto, ma anche per le altre voci retributive, che concorrono a determinare il trattamento economico complessivo, quindi anche per le mensilità aggiuntive, per lo straordinario, il festivo, ecc. (cfr., in termini, ancora Cass. n. 19832/2013)”.
23. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
24. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
25. Delle spese relative a G. S. e altri undici controricorrenti deve essere disposta la distrazione ex art. 93 cod. proc. civ. in favore degli avvocati B. C. e S. B., come da loro dichiarazione e richiesta.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 4.000,00 oltre spese prenotate a debito a favore del Ministero del Lavoro – Direzione Territoriale del Lavoro di Genova; in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, a favore del controricorrente M. C.; in euro 200,00 per esborsi e in euro 6.000,00 per compensi professionali a favore degli altri controricorrenti, oltre spese generali al 15% e accessori di legge, somma di cui dispone la distrazione in favore degli avv.ti B. C. e S. B..
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
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